Wolf Man: recensione del film di Leigh Whannell

Il film con Christopher Abbott e Julia Garner è un reboot de L'uomo lupo del 1941, diretto da George Waggner

La nuova prospettiva di un racconto già noto, la tradizione che si riadatta e si rinfresca, il corpo, la metamorfosi, il genere horror che racconta la scissione tra pericolo e protezione; Wolf Man è il quarto lungometraggio diretto da Leigh Whannell, regista che, nel proprio palmares, vanta la creazione delle saghe Insidious e, soprattutto, Saw (di cui è anche protagonista nel primo capitolo), assieme all’amico e collega James Wan. A oltre 4 anni di distanza dal precedente L’uomo invisibile, con Elisabeth Moss, il cineasta australiano classe 1977 dirige un progetto che pesca dalla tradizione, rielaborandola a suo modo. L’opera è infatti un reboot del film del 1941 L’uomo lupo – diretto da George Waggner e con protagonista Lon Chaney Jr. – e del successivo remake Wolfman di Joe Johnston, con protagonisti Benicio del Toro, Anthony Hopkins ed Emily Blunt. Prodotta da Blumhouse Productions, Motel Movies, Universal Pictures e Waypoint Entertainment e distribuita da Universal Pictures, la pellicola di Whannell vede invece protagonisti Christopher Abbott (Catch-22, Povere creature!) e Julia Garner (Ozark, Il Royal Hotel), in compagnia della giovanissima Matilda Firth (Coma, Subservience).
Il film esce nella sale cinematografiche italiane giovedì 16 gennaio.

Leggi anche Wolf Man: il trailer ufficiale dell’horror con Christopher Abbott e Julia Garner

Wolf Man: la mutazione di Blake

Wolf Man cinematographe.it

Oregon, 1995; l’antefatto presenta un giovane Blake (Zac Chandler, che sarà poi Christopher Abbott in età adulta) che, in compagnia del severo ed iper-protettivo padre, vive isolatamente nelle meravigliose distese boschive dell’Oregon. Il genitore tenta di educare il figlio alla disciplina e soprattutto all’attenzione verso i pericoli che, nella foresta, sembrano incombere minacciosi; i due infatti, nelle prime sequenze, si imbattono in una sinistra e misteriosa figura dalla quale il padre di Blake sembra essere terrorizzato ma, prima che la creatura venga disvelata, un salto temporale ci porta al presente, alla contemporaneità. Nel 2025, a San Francisco, Blake è uno scrittore totalmente dedicato alla figlia Ginger (Matilda Firth), mentre la moglie Charlotte (Julia Garner), giornalista instancabile ed operosa, non riesce a dedicarsi alla famiglia quanto vorrebbe.

Alla misteriosa scomparsa del lontano e quasi dimenticato padre, l’uomo propone alla famiglia di trasferirsi nella sua casa d’infanzia per le vacanze, ma è qui che i tre vivranno la notte più lunga della loro vita. Arrivati in Oregon infatti, Ginger, Charlotte e Blake si imbattono, prima, in un amico d’infanzia di lui, e poi, nella spaventoso licantropo che la famiglia, dopo un grave incidente, si trova costretta a combattere. Rintanatisi in casa però, i protagonisti, sono costretti a far fronte alle particolari condizioni di salute dell’uomo di casa, il quale inizia una lenta metamorfosi che accompagnerà tutto il resto della narrazione.

L’originalità della riproposta

Christopher Abbott cinematographe.it

“Spero che tu vada e dica, ‘Oh wow, non ho mai visto un film sui lupi mannari così prima’, quando si accendono le luci”. Si era espresso così il regista Leigh Whannell nel tentativo di spiegare quanto il suo Wolf Man volesse distinguersi dai precedenti. Come anticipato si tratta di un reboot, ossia un rifacimento che, a differenza del remake, vuole ripartire da zero reiventando il concetto inziale; ed ecco che qui il regista di Melbourne porta al più celebre racconto cinematografico dedicato alla figura del lupo mannaro nuova linfa, nuova estetica, nuova attenzione, porta freschezza e originalità, sviluppando il narrato lungo un’unica notte che si fa teatro della graduale, sapiente ed attenta mutazione che vede il protagonista trasformarsi lentamente nell’antagonista di sé stesso, in un’evoluzione involutiva verso la propria nemesi; il protettore si trasfigura in fonte del pericolo, come da lui stesso profetizzato, in un film che analizza il rapporto genitoriale ed il confronto tra tutela e protezione da una parte, e rischio e minaccia dall’altra.

Wolf Man: valutazione e conclusione

Wolf Man Julia Garner cinematographe.it

Questa ventata d’aria fresca giustifica quindi il prezzo del biglietto di un’opera che, seppur non andrà certo a scardinare le gerarchiche classifiche cinefile, impazzanti tra la fine dell’anno e l’inizio della stagione dei premi nelle sale e nei centri culturali dedicati all’arte settima, trova comunque il suo spazio all’interno del genere e dei suoi sottogeneri. Wolf Man di Leigh Whannell prosegue infatti la lunga striscia di film di genere legati all’horror, che negli ultimi due anni sembrano proliferare, inserendosi all’interno di sottocategorie quali il soprannaturale dark fantasy, come il recentissimo Nosferatu di Robert Eggers, e il repellente body horror, tornato ultimamente sulla bocca dei più grazie a The Substance. L’idea di concentrare il racconto, quasi nella sua interezza, sulla trasformazione del protagonista in uomo lupo, è si un merito ma anche un rischio, poiché da parte si configura come un’operazione ben riuscita sia per la sua originalità sia perché accompagnata da un discreto reparto tecnico e da una buona regia (le soggettive date all’animale sono un meraviglioso ed inaspettato colpo d’occhio), ma, dall’altra, come un’operazione che toglie peso strutturale, narrativo, emotivo, che abbassa il tono di un intreccio dal potenziale drammaturgicamente consistente e complesso, e lo porta ad un piano inferiore, meno pretenzioso. Interessante, a livello di scrittura, il raffronto tematico tra la protezione genitoriale e l’ansia del pericolo ma anche ad esso poteva essere data più profondità, più struttura, sfruttando maggiormente il valore interpretativo di due protagonisti i quali, anch’essi, paiono leggermente contenuti, non a pieno regime. Wolf Man è un film che non travolge lo spettatore ma, se visto con occhi curiosi e non troppo arroganti, sa dare nuove prospettive e aprire a tematiche per niente scontate.

Leggi anche Nosferatu: recensione del film di Robert Eggers

Regia - 3 - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 2.5

3.3