ACAB: recensione della serie tv di Netflix

ACAB, la recensione della serie tv di Netflix con Marco Giallini tratta dal romanzo di Carlo Bonini, disponibile dal 15 gennaio 2024.

Tredici anni dopo si torna nel mondo di ACAB. La serie tv, disponibile su Netflix dal 15 gennaio 2025, ci trasporta di nuovo nel microcosmo della Squadra Mobile di Roma di Mazinga, al secolo Ivano Valenti – interpretato sempre da Marco Giallini. Tratto dal romanzo omonimo di Carlo Bonini (qui in veste di ideatore e co-sceneggiatore), ACAB racconta le storie personali e professionali di un gruppo del Reparto Mobile di Roma. Personaggi complessi e pieni di conflitti, come anche spiegato dal cast nella conferenza stampa di presentazione della serie tv. La storia prende piede come in un fatto di cronaca recente. In una notte di feroci scontri in Val di Susa, una squadra del Reparto Mobile di Roma resta orfana del suo capo, che viene ferito gravemente. Da quel momento inizia un calvario il gruppo di uomini di Valenti, che non solo dovranno avere a che fare con un nuovo comandante, ma si troveranno a gestire le conseguenze di quella brutale notte. Una dinamica che non influirà solo sul lavoro sul campo, ma anche nella vita personale.

ACAB, se questi sono uomini: la complessità del racconto passa attraverso i suoi personaggi

ACAB; cinematographe.it

Cominciamo col dire che i protagonisti di ACAB non sono brave persone. Sono caschi blu, spesso commettono atti discutibili e abusano del loro potere. La serie di Netflix chiede al pubblico di giudicarli in quanto esseri umani, dotati di un cervello pensante ma anche di debolezze, che di fronte a un evento sono in bilico tra il fare la cosa giusta oppure la cosa sbagliata. Lo sa bene Mazinga, il più esperto del gruppo. Un uomo con un passato alle spalle e una situazione familiare che lo hanno reso rude e chiuso in sé. Eppure c’è sempre quando si tratta di proteggere le spalle ai suoi uomini. Marta (Valentina Bellè) è l’unica donna del gruppo di Valenti, ma non si sente esclusa: agisce e pensa come uno di loro. Anche lei è alle prese con una situazione scomoda a casa: è una madre single con una ragazzina di 13 anni a carico, dopo aver messo fine a una storia con un uomo violento. Salvatore (Pierluigi Gigante) è invece un uomo dalle ferite ancora aperte, reduce dal servizio militare ed in conflitto con la sua integrità morale che rischia di farlo esplodere quando non dovrebbe.

Il gruppo ristretto di Valenti subisce una grave perdita durante gli scontri in Val di Susa, quando molti manifestanti no TAV colpiscono al cuore della sua divisione. A quel punto arriva un nuovo comandante a turbare l’equilibrio, tale Michele Nobili (Adriano Giannini), trasferito da Senigallia per stare vicino alla sua famiglia. Il nuovo arrivato fa parte della polizia riformista e segue le leggi della vecchia scuola. Ma Roma è Roma, “non arretra mai.” Per sopravvivere, Mazinga e i suoi hanno creato una sorta di tribù, una famiglia dove vige la fiducia reciproca, il massimo rispetto e soprattutto la segretezza in ogni occasione. Accettare Nobili nella loro cerchia non sarà un’impresa facile: il comandante dovrà guadagnarsi la loro fiducia, e col tempo finirà per mettere in discussione anche se stesso.

ACAB: valutazione e conclusione

Sorretto da una sceneggiatura non banale, in cui spesso poche parole o brevi frasi lasciano spazio agli sguardi (tanti) d’intesa tra Valenti, Nobili e i loro uomini, che sottolineano l’unione di questo gruppo di “reietti”, ACAB è una serie difficile da digerire, che a volte colpisce come un pugno allo stomaco. Non si chiede di accettare questi personaggi, né tantomeno di schierarsi dalla loro parte. Piuttosto il lavoro di Bonini e del comparto tecnico è quello di comprendere le ragioni che li spingono ad agire in determinato modo in certe circostanze. Il tono oscuro di ACAB si riflette nella scelta di una fotografia altrettanto cupa, così come le musiche; cariche di tensione, ma che sfumano come in un lampo.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Sonoro - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Emozione - 4

3.9

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