No Other Land: recensione del film di Basel Adra sulla distruzione dei villaggi palestinesi
No Other Land è un film di altissimo valore non solo etnografico e politico, ma anche cinematografico.
Il 16 gennaio 2025 verrà distribuito nelle sale italiane con Wanted Cinema il docu-film No Other Land, premiato alla Berlinale 2024 e agli European Film Awards 2024 come Miglior Documentario. La pellicola è opera di un collettivo di registi e fotografi palestinesi e israeliani – Basel Adra, Hamdan Ballal, Yuval Abraham e Rachel Szor -, che hanno documentato l’espulsione di massa degli abitanti dei villaggi di Masafer Yatta, nel sud della Cisgiordania, da parte dell’esercito e dei coloni israeliani.
Leggi anche Berlinale 2024, lavoratori chiedono un “cessate il fuoco immediato”
No Other Land: quali temi affronta il pluripremiato documentario?
Basel Adra, giovane giornalista, avvocato e attivista palestinese, nell’estate del 2019 ha iniziato a filmare i soprusi e le violenze dei coloni e dell’esercito israeliano nei confronti degli abitanti di Masafer Yatta. Questa regione collinare, conosciuta per le sue “case grotta”, è abitata da contadini e pastori arabo-palestinesi sin dal XIX secolo, ma negli anni Ottanta è stata dichiarata da Israele area di addestramento militare; l’occupazione è stata “legittimata” nel 2022, con una sentenza della Corte Suprema di Israele che ordinava la demolizione degli immobili, l’espulsione degli abitanti, e il controllo militare della circolazione stradale.
Le video-testimonianze sono intervallate da momenti di riflessione di Basel con Yuval Abraham, giornalista israeliano e attivista per i diritti dei palestinesi, e da scene di vita quotidiana e ricordi di infanzia del regista/protagonista.
La restanza delle comunità di Masafer Yatta
In No Other Land veniamo immediatamente catapultati nel clima di terrore e angoscia che provano, da decenni, le comunità di Masafer Yatta. Le riprese sono iniziate nell’estate del 2019 e terminate nell’ottobre del 2023. È Basel, con la sua videocamera, a testimoniare giorno dopo giorno le violenze inflitte dall’esercito israeliano ai danni di intere comunità inermi: “Ho cominciato a filmare quando è iniziata la nostra fine”. Il repertorio è arricchito anche da diversi video registrati da Basel e da altri collaboratori, prima e durante la realizzazione del documentario.
Basel è nato in una famiglia di attivisti, per questo motivo se, da un lato, è motivato a portare avanti le sue idee, dall’altro è costantemente in pensiero per i suoi familiari, soprattutto per il padre, attivista e proprietario di una pompa di benzina, arrestato diverse volte, anche durante le riprese.
Il regista/protagonista fa parte di una realtà in cui la demolizione delle abitazioni è all’ordine del giorno, e le targhe degli israeliani e dei palestinesi sono suddivise per colori (gialle e verdi), dal momento che i primi hanno l’autorizzazione a circolare liberamente, mentre i secondi no. Yuval non ha problemi ad andare a trovare la madre, per poi tornare, mentre gli abitanti palestinesi vengono sottoposti a frequenti controlli; ad una donna viene vietato di andare a trovare il figlio in ospedale, un giovane uomo colpito da militari israeliani – e rimasto paralizzato – per aver tentato di riprendersi alcuni attrezzi.
Nonostante la drammaticità degli eventi riportati, lo sguardo dei registi si sofferma anche su momenti di vita quotidiana – scene di convivialità, di attività scolastiche -, che ci mostrano delle comunità che non si arrendono, anche di fronte alla demolizione delle proprie abitazioni e ai continui arresti: “non avere paura di loro, noi abbiamo un super potere”, dice il padre ad un piccolo Basel in un vecchio video mostrato nel film. I protagonisti di No Other Land non vogliono abbandonare i loro ricordi, le loro radici. Per spiegare questo fenomeno potremmo prendere in prestito il concetto di “restanza”, coniato dall’antropologo Vito Teti per identificare quelle comunità, generalmente rurali, che scelgono di restare in contesti in cui tutto sembra andare in pezzi.
“Una goccia non fa la differenza ma goccia dopo goccia si arriva al cambiamento”. Uno degli elementi più interessanti del film è il confronto tra Basel e Yuval. Il giornalista israeliano, specialmente nella prima parte del film, appare demotivato perché i suoi articoli sulle demolizioni non ottengono il successo mediatico sperato. Tra i due il più paziente è proprio Basel, che è consapevole dei problemi che sta affrontando la sua terra ma sa che per cambiare le cose non bastano “dieci giorni”. In effetti, nel corso del film, la risonanza in televisione e sui social arriva: Yuval viene invitato in diverse trasmissioni in cui racconta il dramma che vivono gli abitanti di Masafer Yatta; in una di queste occasioni viene attaccato da un collega di schierarsi contro gli ebrei: “sono intrusi in territorio di addestramento”.
Le interviste, i servizi in TV, i dialoghi, ci danno l’opportunità di ascoltare i diversi punti di vista, e Yuval è un personaggio chiave nella comprensione del contesto: un israeliano che lotta per far conoscere la causa palestinese, e tutte le contraddizioni che questo comporta; più volte gli abitanti di Masafer Yatta lo mettono davanti al riconoscimento del suo status di privilegiato: “Come possiamo rimanere amici se i tuoi amici e fratelli distruggono quello che costruiamo?”.
No Other Land: valutazione e conclusione
No Other Land ci mette di fronte alle responsabilità di Israele nei confronti di moltissime comunità che, inermi, hanno visto le loro case, le scuole, le speranze, andare letteralmente in pezzi. Il film vuole responsabilizzare lo spettatore, portandolo non solo a riflettere, ma anche a capire come fare la differenza: “Le persone magari vedono un video, si commuovono, e poi?”. La risposta a questo quesito è l’attivismo, il sostegno verso cause di cui nessuno parla, perché troppo scomode; non è solo una storia di amicizia, ma è soprattutto una storia di attivismo – partecipano alle proteste non violente donne, uomini, bambini -, di resistenza contro un sistema violento e opprimente, legittimato anche da altri Paesi, tra cui ovviamente gli Stati Uniti.
Per concludere, No Other Land è un film di altissimo valore non solo etnografico e politico, ma anche cinematografico: in un contesto in cui l’arte doveva obbligatoriamente lasciare spazio a riprese dettate dall’urgenza di testimoniare particolari momenti, troviamo anche scelte registiche davvero interessanti.