Fabrizio Sabatucci tra Schiavone e Riccardi: “Il tempo è cura e qualità”

Da Rocco Schiavone a Il commissario Ricciardi, dalla compagnia teatrale da lui fondata alle ambizioni future

La qualità, la cura, la generosità, il valore del teatro, i sogni, le ambizioni; partecipe di due delle serie Rai di maggior successo – Rocco Schiavone e Il commissario RicciardiFabrizio Sabatucci si è concesso ai nostri microfoni per raccontarci le nuove stagioni in uscita di questi due progetti – tra loro molto dissimili ma comunque approcciati con la medesima accortezza e minuziosità – e il fondamentale ruolo giocato dal teatro nel corso della sua carriera.
Nato a Roma il 9 dicembre 1972 e grande appassionato di musica sin dalla giovane età (ha lavorato come DJ fino ai 23 anni), l’attore ha poi studiato presso l’Academy di Beatrice Bracco e ha avuto l’opportunità di lavorare a stretto contatto con Jon Sperry, acting coach, tra gli altri, di Jessica Lange e Russell Crowe. A metà degli anni ’90 Fabrizio Sabatucci si approccia al cinema per le riprese del film Tre mogli, di Marco Risi e, nel 2006, ottiene il suo primo ruolo da protagonista ne Il Punto Rosso, di Marco Carlucci. Tre anni più tardi, nel 2009, fonda la compagnia teatrale Formi 4 assieme ad alcuni colleghi e, da quel momento, porta avanti la carriera teatrale, in parallelo a quella televisiva e cinematografica, per la quale collabora con alcuni grandi nomi dell’industria nostrana, come Carlo Vanzina (La vita è una cosa meravigliosa, Torno indietro e cambio vita) e Ricky Tognazzi (Il padre e lo straniero).
Dopo aver espresso il suo rammarico per l’assenza di film italiani al Festival di Berlino 2025, l’attore ha voluto approfondire diverse questioni inerenti alle due serie tv citate in apertura, concentrandosi soprattutto su quella generosità e quella cura che egli vede come anelli di congiunzione tra le diverse forme d’arte che lo muovono e lo appassionano.

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Fabrizio Sabatucci e Rocco Schiavone: “C’è molto rispetto per la serie

Fabrizio Sabatucci cinematographe.it

1. Partiamo da Rocco Schiavone; cosa dobbiamo aspettarci da questa nuova stagione? E, in particolare, cosa dobbiamo aspettarci dal tuo personaggio?
“Io ero già comparso nel corso della seconda stagione come Ispettore Munifici del quale, nelle stagioni successive, si erano un po’ perse le tracce. Egli ritorna a causa di un dramma che cerca di risolvere con l’aiuto dello stesso Schiavone che, in qualche modo, rappresenta il suo mentore, quello che lui vorrebbe diventare.
Ho ritrovato Simone Spada come regista, con cui avevo fatto ‘Domani è un altro giorno’, assieme Mastandrea e lo stesso Giallini, ma per la seconda stagione ero stato ero stato diretto da Giulio Manfredonia. Con Simone mi sono comunque sempre trovato bene e questa non è stata un’eccezione”.

2. Cosa significa lavorare con Marco Giallini? Come ti trovi al suo fianco?
“Lo conosco da moltissimi anni e ho con lui un ottimo rapporto, anche fuori dal set. È sempre un piacere lavorare con Marco perché il copione non esiste più, è un flusso continuo, si va a sentore, si va a istinto, eppure si sa sempre dove andare a parare. C’è inoltre molto rispetto, perché lui non fa mai il primo attore ma è, anzi, molto generoso. Ripeto: lo conosco da moltissimi anni, e per me lavorare con lui è un vero e proprio spasso”.

3. A proposito del cambio di regia: come l’hai avvertito? Credi la direzione di Spada sia una buona prosecuzione di quella precedente?
“Parliamo di due bravissimi registi con linguaggi diversi e modi di approcciarsi diversi. La cosa positiva di una serie come ‘Rocco Schiavone’ è che c’è più tempo per lavorarla, viene trattata in maniera quasi cinematografica e nel piano di lavoro non si vanno ad affogare cinque, sei o sette scene al giorno, come succede solitamente nella serialità, ma piuttosto un paio, a cui sia l’attore, che soprattutto il regista, hanno la possibilità di dedicare molta più attenzione, più take, più inquadrature. C’è molto rispetto per la serie”.

4. Quale significato ha, vedere una serie RAI italiana tanto seguita da riuscire a proporre una sesta stagione a meno di 10 anni dal suo inizio?
“Sono molti gli elementi che convogliano il tutto, dalla drammaturgia di Antonio Manzini ai libri stessi. Schiavone ha indubbiamente un suo pubblico e Marco, che dal pubblico è molto ben voluto, ha dato un volto a questo personaggio con un DNA simile al suo in molti aspetti. E poi la serie è un crime davvero ben fatto, in c’è cui tempo, c’è dedizione, con quattro episodi realizzati in cinque o sei mesi di riprese (episodi da un’ora e mezza è vero, ma sviluppati con estrema cura). Tutto parte dalla scrittura, poi questa va rispettata e trattata senza fretta. Il tempo è denaro ma il tempo è anche qualità”.

Fabrizio Sabatucci e Il commissario Ricciardi: “Ho trovato una famiglia che mi ha accolto

5. Per quanto riguarda Il commissario Ricciardi, invece, si tratta di un esordio. Com’è andata? Tu chi interpreti?
“Io entro come capitano Rossi, un sovversivo fascista che tenterà un colpo di stato e che si vedrà in più puntate. Abbiamo girato la serie prevalentemente a Napoli, con qualche ricostruzione fatta a Roma, sempre risalente agli anni ’30. Qui ho trovato un cast generoso, con attori che arrivano dal teatro, come Lino Guanciale e Antonio Milo. Molti di loro fanno parte della serie da tre stagioni e, spesso, entrare a freddo non è facile, ma con una compagine così generosa e affiatata – ed è ecco perché ho citato il teatro – rende tutto più semplice. Ho trovato una famiglia che mi ha accolto.
Non avevo mai lavorato con il regista Gianpaolo Tescari, succeduto al grandissimo e compianto Alessandro D’Alatri – per noi è un’enorme mancanza – e come lui molto attento alla cura dei propri progetti; prima di girare ogni scena, raduna tutti gli attori coinvolti e fa delle prove. Questo metodo di lavoro mi è piaciuto molto; è ovvio che, provando prima, ci sia sempre la possibilità di trovare qualcosa di nuovo ed interessante, che invece era previsto in sceneggiatura”.

6. Cosa trovi di affine tra i due progetti?
“Sono due periodi diversi e due tematiche diverse. ‘Rocco Schiavone’ è più irruento, più istintivo, più contemporaneo e rispecchia molto quello che è Marco Giallini; ‘Il commissario Ricciardi’, invece, ha linguaggio totalmente diverso, tratta un’altra epoca, e Lino Guanciale si è calato nella parte in maniera misurata, giusta e rispettosa della scrittura (ricordiamoci che da una parte c’è la penna di Antonio Manzini e dall’altra quella di Maurizio De Giovanni). Entrambe però, anche se declinate in modi differenti, hanno soluzioni crime”.

7. In merito ai tuoi due personaggi: quale ti ha messo maggiormente in difficoltà? Hai ritrovato in loro qualcosa di tuo (sia nell’uno che nell’altro)?
“Probabilmente il personaggio di ‘Ricciardi’, il capitano Rossi, mi ha messo maggiormente in difficoltà perché è un po’ più furbo, più scaltro e, a volte, manipolatorio. L’ispettore Munifici di ‘Schiavone’ è contrariamente più puro, generoso, con un linguaggio più fresco, e qui ritrovo un po’ della mia quotidianità”.

L’imprescindibile ruolo del teatro e le ambizioni

Fabrizio Sabatucci Formi 4 cinematographe.it

8. Passando al teatro, raccontaci del tuo rapporto con esso. Cosa accadrà il 6 marzo?
“Io, Francesco Venditti, Riccardo Scarafoni e Veruska Rossi, circa 15 anni fa, abbiamo messo in piedi una compagnia teatrale che si chiama Formi 4, in omaggio a Daniele Formica che per me è stato, ancor prima che un grande artista, un grande amico, perché ho avuto la fortuna di conoscerlo su un set e abbiamo mantenuto ottimi rapporti.
Negli anni abbiamo realizzato diverse drammaturgie, tutte contemporanee, e il Teatro della Cometa di Roma ci ha fatto da casa prima di passare, a seguito del Covid, al Cometa Off, un polo davvero molto interessante, con una platea talmente a contatto con il palcoscenico che è come se ci fosse un telecamera, di cui il pubblico è cameraman.
Dal 6 al 16 marzo portiamo ‘Il condominio di Giulia’, una sorta di ‘Inside Out’ per un pubblico più maturo, che racconta 6 entità quali, ad esempio, il cuore, la razionalità e il senso di colpa, che divengono personaggi all’interno della mente di una donna alle prese con un’importante decisione. Pertanto c’è sia una messa in scena molto cartoonesca, sia un finale abbastanza forte: arriva il dramma nella commedia. Questa è la terza edizione, la terza volta che portiamo lo spettacolo, e sarà molto interessante vedere la risposta del pubblico che, fino ad ora, si è sempre dimostrato interessato ed è sempre venuto alle serate.
Ci tengo a ricordare che il testo è di Francesca Staasch, che la regia è di Riccardo Scarafoni, uno degli interpreti, e che ci saranno anche Fabiana Bruno, Ughetta D’Onorascenzo, Gabriele Linari e Veruska Rossi”.

9. Ci sono altri progetti all’orizzonte?
“Forse è un po’ prematuro parlarne ma tra ottobre e dicembre sono state girate le riprese di ‘Morbo K’, una miniserie per Rai 1 diretta da Francesco Patierno in cui io interpreto uno dei protagonisti, al fianco di Vincenzo Ferrera, Giacomo Giorgio e tanti altri, per un cast alquanto variegato e una storia molto bella: la vera storia di un medico romano che, verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, inventò un morbo finto per salvare le vite di oltre mille ebrei”.

10. Per concludere: quali sono le tue ambizioni per il futuro? C’è qualcuno in particolare con cui sogni di lavorare un domani?
“Io sogno di lavorare con Paolo Virzì, che ritengo essere un Monicelli 2.0, e con Sergio Castellitto, che amo alla follia e che, oltre ad essere un grande artista, è una persona fantastica; quando si lavora con gli attori più bravi e più interessanti si impara sempre qualcosa, è la stessa cosa che mi accade con Marco (Giallini), sempre dotato di quel graffio, di quell’istinto che ti trasmette e che ti fa entrare a pieno in quello che fai.
Riguardo all’ambizione, c’è un progetto cinema a cui tengo molto che, per ora, è stato solamente opzionato, ma spero si riesca a realizzare; Teniamo le dita incrociate”.

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