Paddington in Perù: recensione del film di Dougal Wilson

Con le new entry Antonio Banderas e Olivia Colman, Paddington in Perù, tra Londra e l'America Latina, è il terzo atteso capitolo della saga dedicata all'orsetto più famoso della storia del cinema.

Di nuovo a casa? Paddington in Perù, regia di Dougal Wilson e nelle sale italiane dal 20 febbraio 2025 per Eagle Pictures, terzo atteso capitolo del franchise cinematografico basato sull’orso creato da Michael Bond, è lo strano ma interessante caso di un film che è tutto quello che uno si aspetta… e il suo contrario. Scritto da Marc Burton, Jon Foster e James Lamont, il film non rinnega la formula preziosa – risate, commozione, mix di live action e CGI, marmellata di arance, anglofilia come se non ci fosse un domani – che ha garantito alla serie il consenso di pubblico e critica (specialmente il sequel) e un appeal davvero trasversale – perché Paddington è un patrimonio di tutti, piccoli e adulti – ma prova lo stesso a ridiscuterne la combinazione. Il titolo racconta tutto quello che c’è da sapere: stavolta Paddington torna nel suo Perù, a quella casa e a quell’identità che credeva smarrite una volta passato l’oceano in direzione dell’amata Inghilterra. Cast (umano): Hugh Bonneville, Emily Mortimer, Olivia Colman, Jim Broadbent, Antonio Banderas e Julie Walters. La voce italiana di Paddington è di Francesco Mandelli. L’originale, di Ben Whishaw.

Paddington in Perù: da Londra insieme alla famiglia Brown, alla ricerca di zia Lucy e dell’El Dorado

Paddington in Perù; cinematographe.it

Se ne va Sally Hawkins, sostituita da Emily Mortimer, e questa è la novità più interessante, restando sul cast. A livello narrativo, il senso del percorso dell’adorabile e peloso protagonista è riassumibile nella frase: una volta ottenuto quello che cerchi, assicurati che sia anche quello di cui hai davvero bisogno. Paddington in Perù comincia con un prestigioso riconoscimento, atteso a lungo, che lega una volta per tutte il protagonista alla sua seconda patria. Proprio nel momento in cui il suo destino sembra segnato una volta per tutte – felice, in Inghilterra, insieme ai Brown – ecco l’inatteso imprevisto.

I Brown, nell’ordine papà Henry (Hugh Bonneville), mamma Mary (Emily Mortimer) i figli Judy (Madeleine Harris) e Jonathan (Samuel Joslin), insieme a Mrs. Bird (Julie Walters), non sanno più immaginare una vita senza Paddington. Una chiamata dal Perù, partita dalla Reverenda Madre (Olivia Colman), direttrice della casa di riposo per orsi dove da un po’ di tempo vive zia Lucy (in originale, la voce è di Imelda Staunton), allarma Paddington, sconcerta i Brown e mette in moto il film. La Reverenda Madre informa il protagonista che l’orsa si sente sola e avrebbe bisogno di calore familiare. Non potrebbe, Paddington, abbandonare tutto e tornare da lei, anche solo per un po’? Il nipote lontano non si fa pregare.

La famiglia è il cuore che batte di Paddington in Perù, la sua storia quello che succede al protagonista e ai Brown una volta scoperto che zia Lucy è misteriosamente scomparsa, che la sua sparizione ha a che fare con il leggendario El Dorado e che sulle sue tracce c’è anche la guida Hunter Cabot (Antonio Banderas), controverso erede di conquistadores accompagnato dalla figlia Gina (Carla Tous) e ossessionato dai fantasmi del (suo) passato. Non bisogna lasciarsi ingannare dalla superficie: Paddington in Perù mescola risate, azione e buoni sentimenti, ma sotto sotto allude a qualcosa di più complesso. Come si riconosce la propria casa? E, soprattutto, è possibile far coesistere dentro di sé due identità diverse? Paddington appartiene a Londra come al Perù, e a volte sembra che la vita lo costringa a scegliere: l’una o l’altro. Non è facile.

Un terzo capitolo coerente con la filosofia del franchise, con qualche aggiustamento

Paddington in Perù; cinematographe.it

La domanda è retorica, ma la risposta il film la dà lo stesso, per amore di chiarezza e perché il target di pubblico – cinema per famiglie – scoraggia qualsiasi pretesa di sottigliezza: è possibile appartenere a due famiglie diverse e sentirle entrambe parte di sé. È l’integrità dei sentimenti, non la distanza, il cemento che tiene insieme una famiglia, e la lezione è valida per tutti, figli e genitori. Lateralmente alla storia, sotto la superficie di un film giocoso che qui e là azzarda un paio di omaggi cinefili, dai capolavori del muto (Buster Keaton, di cui riprende lo stunt più leggendario) a pietre miliari del cinema d’autore (Werner Herzog e il suo Fitzcarraldo), viene fuori la curiosa, contraddittoria natura di Paddington in Perù. Sarebbe a dire, la voglia di Dougal Wilson di girare un film che sia, contemporanemente, un’avventura dalla tenera comicità, tenacemente nel solco dei due fortunatissimi predecessori, e anche qualcosa di leggermente diverso.

Un film dalla natura speculare, due volte speculare. Non solo capovolge la relazione tra protagonisti e ambiente – stavolta sono i Brown in terra straniera, chiamati a adattarsi al mondo di Paddington – ma invita ogni personaggio a prendere molto sul serio la morale (familiare) della favola. Non è solo Paddington a dover imparare a lasciar andare le persone che ama e a costruire un amore a prova di distanza. Anche i Brown, o zia Lucy, devono sforzarsi di capire che voler bene significa accettare l’idea che quelli che amiamo a un certo punto se ne andranno, perché è la cosa più giusta per loro, si tratti di un adorabile orso o di figli umani. Il messaggio, va detto, non si sviluppa in maniera uniforme, perché c’è un certo squilibrio nella gestione del minutaggio dei protagonisti di Paddington in Perù.

Meno presenti rispetto ai genitori Hugh Bonneville e Emily Mortimer, per esempio, i figli Madeleine Harris e Samuel Joslin; potevano servire maggiormente la storia, ma non succede. Va meglio a Julie Walters ma soprattutto alle new entry Antonio Banderas e Olivia Colman. Quest’ultima, in particolare, si prende il film per la tenacia con cui sfrutta ogni spunto – comico, d’azione ma non solo – offerto dalla storia per tenere in equilibrio la Reverenda Madre tra i toni sopra le righe del cartone animato e un’umanità credibile. Appunti che contano relativamente; la forza di Paddington in Perù è di mantenersi fedele al dna del franchise – umorismo, famiglia, azione, malinconia – aggiustandolo ai margini, senza diluire la qualità dell’intrattenimento. L’hanno detto in tanti e vale la pena di ripeterlo. Proprio sul terzo capitolo si misura il valore, indiscutibile, di questo franchise. Perché?

Paddington in Perù: valutazione e conclusione

Paddington in Perù; cinematographe.it

Perché Paddington in Perù è, indiscutibilmente, il meno riuscito dei tre film della saga. E se il meno riuscito dei tre è ugualmente un solidissimo esempio di intrattenimento per tutta la famiglia, abile a dosare senza forzature dosaggio di umorismo, azione e sentimento, non c’è bisogno d’altro per capire fino in fondo il valore di questo universo cinematografico. Paddington in Perù è il primo film della serie non diretto da Paul King e forse manca, al terzo capitolo e alla regia di Dougal Wilson, la forza emotiva e l’inventiva spiazzante dei primi due.

Va ricordato però che l’intreccio tra CGI e personaggi live-action – il marchio di fabbrica del franchise – rimane qualitativamente superlativo e che Paddington 2, il diretto predecessore, è un classico del cinema per l’infanzia, uno dei migliori film per tutta la famiglia della storia del cinema; non è per niente facile stargli alla pari. Anche se Paddington in Perù non riesce a calibrare il mix di esotismo, emozione e avventura al livello di folle e dolce creatività dei precedenti, ha comunque molto da offrire. Il modo migliore per avvicinarsi alla storia è non lasciarsi sopraffare dai paragoni con il passato. Anche lo spettatore, come i personaggi sullo schermo, deve imparare a lasciar andare.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 4
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.9