Family Therapy: recensione del film di Sonja Prosenc

Un film che ci fa ridere, ma anche riflettere.

Un’auto prende fuoco lungo il ciglio della strada e una famiglia di tre persone si mette in salvo. Non è questo però il nucleo che dà il titolo a Family Therapy, film di Sonja Prosenc, presentato dalla Slovenia per gli Oscar 2025, anteprima italiana al Trieste Film Festival il 22 gennaio 2025, ad essere centrali sono i Kralj (che si traduce come Re, ovviamente) che sfrecciano su un’auto di lusso, che guardano con (quasi) un senso di superiorità quelle persone, dall’aspetto appartenenti ad un altro ceto sociale, senza fermarsi ad aiutare, atteggiamento che sconvolgerà il venticinquenne Julien (Aliocha Schneider), appena arrivato, giunto lì per una visita. Prosenc vuole con la sua opera, un po’ bizzarra ma non troppo, amante dei colpi di scena che non sempre portano ad un vero cambio di rotta, stupire e scuotere, infatti il film si modifica lungo il corso, mostra nuove facce e sfumature e una satira visionaria che non teme di sporcare il nitore superficie. 

Family Therapy: una famiglia all’apparenza perfetta

Al centro di tutto ci sono i Kralj, un piccolo nucleo, composto da Aleksander, il padre, Olivia, la madre, la figlia Agata e Julien, il figlio avuto dall’uomo da una precedente relazione, che si dimostra essere una famiglia perfetta, invece dietro il velo nasconde molti segreti e ombre, tanto distanti dalla perfezione. L’iperprotettiva e soffocante Olivia (Katarina Stegnar), la ribellione stanca e al tempo stesso sopra le righe di Agata (Mila Bezjak), il folle e rigido Aleksander (Mirko Mandić) che vive in funzione del suo sogno di compiere un viaggio nello spazio (solo una famiglia perfetta, fisicamente, psicologicamente e moralmente, può partire per la missione), si spoglieranno di tutto per mostrarsi brutti, sporchi e cattivi, sbagliati, estremamente sbagliati, pieni di tutti quei vizi, di quei bubboni purulenti che coinvolgono nella caratterizzazione del personaggio.

Questa famiglia slovena “nouveau riche” vive in una casa di vetro da copertina, glamour, perfetta proprio come loro, situata ai margini di una foresta, decorata in uno stile moderno e minimalista, con tecnologia smart progettata per tenere fuori il resto del mondo, ma basta poco per far sgretolare quel castello di “cristallo”, basta anche solo l’arrivo di un giovane “estraneo” per sconvolgere il delicato equilibrio delle dinamiche familiari e rivelare un mondo caotico, le relazioni disfunzionali che li lega.

Julien, elemento estraneo all’interno della famiglia perché di un diverso ceto sociale e perché rappresenta un altro sistema di valori, è un elemento disturbatore, quell’esistenza isolata e rigidamente ordinata viene meno, ad esempio quando apre la porta alla famiglia, atto sordido e proibito per i Kralj che guardano i componenti con disprezzo, che ha avuto l’incidente all’inizio del film, per darle riparo. Forse sono migranti o addirittura rifugiati? Questo diventa momento in cui la questione sociale si fa dirimente: da una parte i Kralj classisti e spaventati dal diverso, dall’altra Julien che accoglie. L’arguzia, l’onestà e la gentilezza del giovane iniziano a rompere il guscio costruito di Agata, che inizia a ribellarsi a quei genitori così legati alle regole e al buon costume, almeno di fronte agli altri, e anche la casa di vetro così ordinata inizia a incrinarsi sotto la pressione del tumulto, diventando più disordinata, riflettendo la situazione familiare.

Il viaggio di un gruppo di personaggi diversi che si scontrano con il mondo

Family Therapy mostra le ragioni dei protagonisti, quattro individui di età e caratteri differenti di cui tre si sono, fino ad ora isolati dal mondo. Quali sono i motivi? Lo fanno per preservare il loro fragile equilibrio o la loro indifferenza verso tutto e tutti è sintomo di qualcosa di ben più profondo o di problemi sociali più ampi?

Prosenc scrive una satira sociale e di classe, un ritratto familiare caustico e fragile, e mette alla berlina i ricchi, ridisegnando così un tipo di racconto ormai diventato certezza, una disamina sul ricco, il cui sottotitolo è disuguaglianze. Come per Bong Joon-ho con il suo Parasite, anche qui la casa è teatro perfetto in cui esplodono e implodono le tensioni e si percepiscono chiaramente la mania del controllo esasperato e inquietante, alla Yorgos Lanthimos e alla Ruben Östlund.

Il cinema di Prosenc è affascinante e spaventoso, tumultuoso e lentissimo, emergono tutte le storture di questi personaggi che si nascondono ma non possono farlo a lungo (una parrucca, un rapporto sessuale e sensuale che non dovrebbe esistere). Diviso in più capitoli, Family Therapy è una commedia nera spietatissima – anche se ad un certo punto un po’ si perde e diventa una classica commedia – ma è anche un racconto cinico e disperato. Mentre la storia procede a spirale, a ciascuno dei quattro personaggi viene dato il tempo di esplorare i propri percorsi, eppure alla fine manca qualcosa.

Family Therapy: valutazione e conclusione

Family Therapy è un racconto per cui si sorride ma anche si riflette, che mette a disagio e anche porta ad urlare con una foga che viene da dentro. Se nella prima parte il film risulta assai riuscito qualcosa poi non torna nella seconda. Dovrebbe essere una storia di scoperta di sé, di liberazione da schemi stantii e da legacci dettati da ceto sociale, dall’etichetta e dalla moralità comune, invece è tante cose insieme ma non ha una sua vena profonda che lo contraddistingua. La tensione c’è ed è molta ma tale forza centrifuga e centripeta si disperde e fa uscire dalla carreggiata personaggi e narrazione, si rifletta anche su altri piani, quello formale, sulla fotografia, nella colonna sonora che mescola contemporaneo e Vivaldi.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.3