The White Lotus – Stagione 3: recensione della serie TV Sky

Dopo Maui e la Sicilia, con la terza stagione di The White Lotus, su Sky e in streaming su NOW dal 17 febbraio 2025, è la volta della Thailandia, tra bisogno di spiritualità, amore e morte.

A scanso di equivoci, ci ha pensato Mike White – regista, head writer, creatore, cosa volete di più? – a spiegare di cosa parla l’attesissima terza stagione di The White Lotus, la serie in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW a partire dal 17 febbraio 2025: parla di spiritualità. Le prime due stagioni raccontavano la vita e la morte concentrandosi sulle cose che stanno nel mezzo, si tratti di differenze di classe, di sesso, omicidio e, perché no, persino d’amore. Certo, si potrebbe anche azzardare che, sotto sotto, la spiritualità sia sempre stata il filo rosso che attraversa la storia, una stagione dopo l’altra, per regalarle uniformità e coerenza. The White Lotus è una serie antologica, cioè una serie che, stagione dopo stagione, cambia gli sfondi – prima Maui, poi la Sicilia – e stravolge il cast, mantenendo inalterati i temi, le convenzioni narrative e l’atmosfera generale. Coerenza e cambiamento, ecco le parole chiave: la spiritualità è sempre stata il cuore di The White Lotus (coerenza) ma solo con la terza stagione, la più ambiziosa, la più complessa, acquista un’indiscutibile centralità nel percorso interiore dei personaggi (cambiamento). Tutta colpa, o merito, del nuovo, misterioso, ipnotico, sfondo. Siamo in Thailandia, stavolta.

The White Lotus – Stagione 3: un resort in Thailandia è l’ultima spiaggia (esistenziale) per i personaggi

The White Lotus 3; cinematographe.it

Un gruppo di turisti facoltosi trascorre una breve vacanza in un esclusivo resort, portandosi dietro un bagaglio di nodi irrisolti esistenziali, sentimentali e professionali. Il doppio contatto, con un ambiente estraneo e la gente che lo abita, fa da detonatore per conflitti e tensioni latenti, stravolgendone la vita. Ecco, in estrema sintesi, il cuore e l’essenza di The White Lotus. L’etichetta di genere è dramedy – l’ambiguo e realistico mix di dramma e commedia – mentre i toni sono estremamente satirici. The White Lotus 3 comincia, come da copione, con una simbolica (neanche tanto) goccia di sangue versata a macchiare la purezza di una vacanza da sogno: una morte violenta.

Come da tradizione, ignoriamo chi sia morto e soprattutto perché; ogni pista, fino all’attesa risoluzione, è pura speculazione, e abbandonarsi al gusto della speculazione è uno dei grandi piaceri della serie. Come da tradizione, la storia è il resoconto in flashback della settimana che precede la morte violenta, in un crescendo di umorismo, tragedia, analisi esistenziale e suspense. A differenza delle prime due stagioni, la linea narrativa di The White Lotus 3 è modellata sull’elegante resort thailandese che serve da sfondo, sui ritmi e le necessità della vita lì dentro; la conseguenza è uno storytelling più rigoroso e, forse, più meccanico del necessario. A differenza delle prime due stagioni, per raccontarci l’inevitabilità del destino che bussa alla porta dei personaggi annunciando il cambiamento – sia la morte o no – Mike White va in cerca di toni più cupi.

The White Lotus 3 è una black-comedy e un thriller dagli accenti satirici sulla Thailandia come approdo esistenziale per un gruppo di anime alla deriva. C’è Timothy (Jason Isaacs), cinico uomo d’affari sbarcato in Thailandia con l’instabile moglie Victoria (Parker Posey) e i figli Saxon (Patrick Schwarzenegger), Lochlan (Sam Nivola) e Piper (Sarah Catherine Hook), perché la ragazza deve intervistare un santone per la sua tesi di laurea. C’è Rick (Walton Goggins), turbolento e depresso, insieme alla giovane fidanzata Chelsea (Aimee Lou Wood). Ci sono tre amiche d’infanzia che si ritrovano e fanno i conti con il tempo che passa e i rapporti che cambiano, Kate (Leslie Bibb), Laurie (Carrie Coon) e Jaclyn (Michelle Monaghan). C’è lo staff del White Lotus, dalla direttrice Sritala (Lek Patravadi) alla coppia di dipendenti Gaitok (Tayme Thapthimthong) e Mook (Lalisa Manobal del gruppo K-pop Blackpink). C’è pure una vecchia conoscenza della prima stagione, Belinda (Natasha Rothwell), manager alle Hawai’i (stagione 1) e in Thailandia per un arricchimento spirituale e professionale. Meglio non spingersi oltre. La storia è piena di sorprese che meritano di essere preservate.

S come spiritualità. S come satira. Ecco l’intelligente ambivalenza della serie

The White Lotus 3; cinematographe.it

Prima stagione: sei episodi. Seconda stagione: sette episodi. Terza stagione: otto episodi. Il trend è di facile lettura e aiuta a capire la serie e la sua evoluzione, l’intreccio sempre più complesso e le ambizioni più alte. A Mike White serve tempo, ce lo svela il minutaggio record di The White Lotus 3, per far combaciare i tanti archi narrativi e valorizzare le contorte psicologie dei personaggi, soggiogati da un comune bisogno di libertà interiore, perfezionamento e redenzione. La grande novità di The White Lotus 3 è come sceglie di raccontare il rapporto tra personaggi e ambiente. Il pensiero va alla fortunatissima seconda stagione, forse la migliore, certo la più universalmente amata. Lì l’Italia era, contemporaneamente, un luogo fisico, una cultura e uno stato mentale che avviluppavano i personaggi con scandalosa sensualità e un sapore di morte sotto il sole; il violento contrasto tra le inibizioni intime e l’esuberanza dell’ambiente accendeva la stagione e infiammava la curiosità del pubblico.

The White Lotus 3 cambia le carte in tavola, almeno nei primi sei episodi (di questi si occupa la recensione): questa Thailandia è, letteralmente, uno sfondo. Un baluardo di spiritualità e saggezza da esplorare con curiosità e un pizzico di perplessità; un paradiso desiderato, ma non del tutto compreso. Il senso di distanza tra ambiente e personaggi, coltivato con estrema cura dalla serie, serve due volte. Da un lato, è l’esplicita e onesta ammissione, da parte di Mike White e del team di scrittura, che la Thailandia è un mondo talmente lontano dall’Occidente che non sarebbe giusto, o serio, banalizzarne la complessità con visioni preconcette. Dall’altro, è la satira portata alle estreme conseguenze, perché l’idea della Thailandia – l’Oriente, più in generale – come emblema di spiritualità e perfezionamento interiore è anche il più pigro e superficiale dei luoghi comuni occidentali. The White Lotus 3, in maniera molto coerente con la filosofia della serie, rigorosa e incredibilmente ironica, racconta il bisogno di fuga dalla quotidianità, il potenziale di evasione e scoperchiamento dei tabù offerto dalla vacanza, la stretta commistione tra passione, amore e morte.

La Thailandia è il passe-partout per una vita migliore da ottenere con il perdono, la vendetta, il perfezionamento interiore, il sesso. Ma è anche, il paese da cartolina che oltre la seduzione del resort esclusivo nasconde un volto infinitamente più sfaccettato e interessante, la satira di questo bisogno di redenzione o, per essere più precisi, l’ironica constatazione delle ipocrisie e dei passi falsi che costellano il nostro cammino verso la crescita interiore. Per veicolare il messaggio, la serie si affida anima e corpo alla ricchezza di sfumature offerta dal superbo cast. Per amore di spoiler bisogna parlarne il meno possibile ma vanno ricordate, su tutte, le inibizioni e il non detto nell’interpretazione della sempre fantastica Parker Posey, moglie infelice, incompresa ma incapace di lottare per liberare se stessa, e lo sguardo attonito, cinico ma pieno di umanità di uno dei più dotati caratteristi del cinema e della serialità contemporanei, Walton Goggins. Oltre lo sfondo, l’esotismo, il mistero e la satira, The White Lotus 3 è un caloroso omaggio al mestiere dell’attore e alle sue infinite possibilità, d’espressione e di racconto.

The White Lotus – Stagione 3: valutazione e conclusione

The White Lotus 3; cinematographe.it

Il punto di forza di The White Lotus, alla boa prestigiosa della terza stagione (la quarta è in cottura), è l’armonia di commedia, dramma, storytelling di genere – qui il thriller c’è e si sente, tanto – e satira socio-psicologica. L’ambizione di Mike White è di complicare le cose aumentando gli episodi, moltiplicando il numero dei personaggi, lavorando sullo spessore e l’abbondanza di dettagli dell’affresco. Il limite è la fatica, l’impressione di già visto, un modello narrativo talmente rodato da non lasciare troppo spazio all’innovazione. La difficoltà è tangibile e infatti The White Lotus, persino in questa notevole terza stagione, perde qualcosa nel confronto con le due precedenti, in termini di brillantezza e vigore narrativo. Ci mette molto a carburare, ma quando lo fa (e lo fa, fidatevi) ha la potenza e la ricchezza di sfumature dei suoi momenti migliori.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.4

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