Il Nibbio: perché vedere il film con Claudio Santamaria
Il sequestro di Giuliana Sgrena, ma in una prospettiva diplomatica che è sorprendentemente umana ed emotiva, capace di raccontare la storia di un uomo che cerca di fare del bene.
Il regista Alessandro Tonda sceglie di portare sul grande schermo un episodio di cronaca che, pur avendo sconvolto l’opinione pubblica nel 2005, nel corso degli anni è stato tragicamente relegato ai margini del dibattito: l’omicidio di Nicola Calipari, all’epoca responsabile del servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Attraverso Il Nibbio, Tonda affronta con rigore e sensibilità la ricostruzione di una vicenda complessa, restituendone non solo la portata storica e politica, ma anche il dramma umano che l’ha contraddistinta. Grazie a una narrazione intensa e una messa in scena meticolosa, il film trascina lo spettatore in un viaggio che è al tempo stesso una ricerca della verità e un’esperienza emotiva profonda, capace di riaccendere i riflettori su di un soggetto che è stato accantonato dalla Storia.
1. Il Nibbio, il volto umano dei servizi segreti

Il 4 febbraio 2005, Giuliana Sgrena (Sonia Bergamasco), giornalista de Il Manifesto, si trova in Iraq per documentare le condizioni dei profughi di Falluja, vittime impotenti degli orrori della Seconda guerra del Golfo. Nel tentativo di raccogliere testimonianze dirette, si spinge in una zona non controllata dall’esercito, dove viene rapita da un gruppo jihadista sunnita. Inizia così una lunga e drammatica prigionia che si protrarrà per settimane, mentre in Italia e all’estero si mobilitano sforzi diplomatici e operazioni segrete per assicurarne la liberazione. Nicola Calipari (Claudio Santamaria), alto dirigente dei servizi di sicurezza italiani, viene immediatamente convocato per gestire la delicata crisi.
Uomo di straordinaria intelligenza e sensibilità, si immerge nel labirinto delle trattative, affrontando un contesto in cui diplomazia, strategia militare e politica internazionale si intrecciano in modo complesso e spesso imprevedibile. Il suo operato si sviluppa in una frenetica corsa contro il tempo, coinvolgendo interlocutori di ogni genere: dalla redazione de Il Manifesto agli informatori iracheni, fino ai potenti mediatori che abitano gli hotel di Dubai. Con caparbietà e abilità, Calipari tesse una rete di contatti e negoziazioni, sempre animato da un unico obiettivo: riportare Giuliana Sgrena a casa. La storia ci insegna che i suoi sforzi sono stati coronati da successo, ma anche che quel successo è stato macchiato dal sangue: mentre scorta la giornalista verso l’aeroporto di Baghdad, il veicolo di Calipari viene intercettato da una pattuglia dell’esercito statunitense, la quale apre il fuoco senza preavviso, assassinando l’agente.
2. Il lato umano è il valore aggiunto de Il Nibbio
Come spesso accade nei film storici, la potenza narrativa de Il Nibbio non risiede nella sorpresa degli eventi, ma nella capacità di restituire il lato più umano di una vicenda complessa e dolorosa. L’opera di Tonda si distingue per la meticolosa ricostruzione dei fatti e per l’attenzione ai dettagli, tuttavia il film non si limita a ripercorrere i passaggi cruciali dell’operazione di salvataggio, ma scava nelle emozioni, nei conflitti interiori e nelle tensioni che hanno segnato i protagonisti.
3. L’interpretazione di Claudio Santamaria
In questo contesto, l’interpretazione di Claudio Santamaria risulta straordinariamente intensa e sfaccettata. Il suo Nicola Calipari è un uomo diviso tra il dovere e l’umanità, tra il rigore dell’agente governativo e la sensibilità del padre di famiglia, tra la razionalità diplomatica e la volontà di compiere il bene in un mondo dominato da guerre, interessi politici e ragioni di Stato. La sua presenza scenica è magnetica: il personaggio domina il film con una gravitas che trasmette sia la professionalità del personaggio, sia il suo lato più vulnerabile e intimo, quello che lo vede come padre, come marito, come essere umano che cerca di salvare disperatamente una vita.
4. Sfumature e campi di battaglia: la sceneggiatura di Sandro Petraglia

La riuscita appassionata e coinvolgente de Il Nibbio è considerevolmente merito dell’abilità autoriale di Sandro Petraglia, sceneggiatore di consolidata esperienza, che ha già affrontato la sfida della ricostruzione storica con opere di rilievo come Romanzo di una strage e Pasolini, un delitto italiano, entrambe dirette da Marco Tullio Giordana. Forte di una carriera matura, Petraglia dimostra ancora una volta una capacità rara: selezionare con chirurgica precisione i dettagli reali che devono emergere dalla narrazione e calibrarli in modo da amplificarne il peso emotivo e narrativo. Il risultato è un’esperienza filmica che non solo cattura e trattiene lo spettatore, ma lo guida con sapiente gradualità verso un coinvolgimento profondo e totalizzante.
Vale la pena, a questo punto, evidenziare come ogni film meritevole di tal nome porta in seno un messaggio strutturato sul bagaglio culturale che lo alimenta. Le biopic, in particolare, tendono a filtrare la ricostruzione storica attraverso la sensibilità degli autori e le influenze di chi ne sostiene la realizzazione, indipendentemente dall’aderenza ai fatti. In questo senso, è lecito ipotizzare che anche Il Nibbio abbia subito, almeno in parte, l’influenza delle istituzioni con cui ha interagito. Il film ha infatti ottenuto il patrocinio della Presidenza del Consiglio e il supporto di importanti organi dello Stato, tra cui il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza, l’AISE, la Polizia di Stato, la Prefettura e la Questura di Roma. Inoltre, la Fondazione Med-Or – realtà nata su impulso di Leonardo, colosso dell’industria bellica – ha assunto il ruolo di partner culturale del progetto.
5. Sfumature “ambigue” ma funzionali
Per alcuni spettatori, la consapevolezza di questi legami potrebbe costituire un elemento di disturbo, alimentando il sospetto di una narrazione condizionata. Un’impressione che viene assecondata dal fatto che, focalizzando l’attenzione sulla figura di Nicola Calipari, la pellicola perda di vista gli altri protagonisti della vicenda storica, tratteggiandoli con una certa superficialità. I giornalisti appaiono come idealisti sprovveduti, ostacoli nella prospettiva delle dinamiche della sicurezza internazionale; la società civile è rappresentata come una massa destinata a ingenue manifestazioni di sterile protesta; gli statunitensi emergono come belligeranti incompetenti, mossi più dalla violenta impulsività che dal desiderio di proteggere delle vite. Nel complesso, Il Nibbio costruisce per Calipari il ritratto topico dell’agente segreto “buono”, quello di un uomo che non cela informazioni, ma che le condivide, che si muove in netta antitesi rispetto all’immagine opprimente e opaca dell’intelligence autoritaria e securitaria. Sono scelte narrative che, se rafforzano il carisma del personaggio, ma che finiscono per semplificare eccessivamente la complessità di un contesto storico frastagliato ed estremamente complesso.
6. Giallo, il colore del deserto

Se, da un lato, Il Nibbio si distingue per la sua solidità sul piano narrativo e per una prova attoriale di grande intensità, dall’altro, il comparto tecnico evidenzia diverse criticità che ne limitano l’impatto visivo ed estetico. L’impressione generale è quella di un film realizzato con un budget contenuto e affidato a un team più avvezzo alle produzioni televisive che a quelle cinematografiche. Alessandro Tonda, pur avendo maturato esperienza nel mondo dei cortometraggi e delle serie TV, conta all’attivo un solo lungometraggio, The Shift, e anche il direttore della fotografia, Bruno Degrave, non vanta un pedigree autoriale particolarmente rilevante. Questa combinazione si traduce in un’opera che, dal punto di vista estetico, appare affrettata e poco rifinita.
Le inquadrature si rivelano spesso claustrofobicamente ravvicinate, l’illuminazione nelle scene diurne sembra priva di un disegno strutturale che giochi con luci e ombre per creare profondità e atmosfera, mentre la correzione del colore risulta fin troppo invasiva, al punto da appesantire l’immagine anziché arricchirla. Le riprese sono in grado di raccontare la vicenda con chiarezza, ma mancano di un’identità stilistica definita, suggerendo una fase di pre-produzione poco articolata e una post-produzione forse troppo accelerata. Anche il comparto sonoro, affidato a Paolo Vivaldi, non riesce a imporsi come elemento distintivo del film. La colonna sonora si limita spesso a un ruolo di riempitivo, emergendo con forza soltanto nei momenti finali, ovvero quando la drammaticità degli eventi viene sottolineata da un accompagnamento musicale carico di pathos.
Il nibbio: perché vederlo?
Il Nibbio è un film caratterizzato da un’anima divisa tra luci e ombre. La sceneggiatura, basata su una storia vera, dimostra un’attenzione meticolosa nella ricostruzione dei dettagli storici e riesce a dare vita a un personaggio complesso e sfaccettato, la cui figura, per molti, era rimasta confinata tra le pagine della cronaca. Il merito principale va alla straordinaria interpretazione di Claudio Santamaria, capace di infondere profondità e autenticità al protagonista, generando un forte coinvolgimento emotivo nello spettatore. Tuttavia, a fronte di una solida struttura narrativa e di una convincente prova attoriale, il film non riesce a eguagliare lo stesso livello di cura sul piano visivo e tecnico. L’immagine, anziché esaltare la potenza della storia, appare come un elemento secondario, privo di quello studio e quella raffinatezza che avrebbero potuto elevare l’opera a un livello superiore.
Il Nibbio è una produzione congiunta tra Italia e Belgio facente parte del genere drammatico, biografico. Diretto da Alessandro Tonda, con Claudio Santamaria e Sonia Bergamasco, uscirà al cinema il 6 marzo 2025, sotto la distribuzione di Notorious Pictures.