Operazione Vendetta: recensione del film con Rami Malek
Rami Malek, Rachel Brosnahan, Laurence Fishburne e tanti, tanti altri sono i protagonisti di Operazione Vendetta, il thriller di spionaggio nelle sale italiane il 10 aprile 2025.
C’è un’immagine che descrive in maniera abbastanza accurata quello che cerca di fare Operazione Vendetta, l’action/spy story diretto da James Hawes nelle sale italiane dal 10 aprile 2025 per The Walt Disney Company Italia: seguire la corrente e, contemporaneamente, guidare contromano. Il film prova a riscrivere le regole del gioco mentre aderisce in maniera puntuale alle convenzioni del genere, dei generi, anzi, rubando allo spionaggio l’atmosfera di soffusa ambiguità morale, un pizzico di esotismo (invernale) e missioni sopra le righe, e all’action la tensione pulsante e un discorso sui sentimenti scarnificato; amore, rimpianto, rabbia, vendetta. Ha un cast notevole, a partire dal bravissimo Rami Malek per proseguire con Laurence Fishburne, Rachel Brosnahan, Caitríona Balfe, Holt McCallany, Michael Stuhlbarg, Julianne Nicholson e Jon Bernthal.
Operazione Vendetta: il futuro del genere spionistico è nel suo passato

Ci sarebbero da fare alcune precisazioni. La più importante è che il film è l’adattamento del romanzo del 1981 di Robert Littell “The Amateur” – è anche il titolo originale, e ne spiega il meccanismo meglio dell’italiano Operazione Vendetta – che era già stato adattato per il cinema nello stesso anno della pubblicazione. La chiave di volta di questa versione, per Gary Spinelli e Ken Nolan, sceneggiatori, e soprattutto per James Hawes, regista, consiste nel trasportare l’universo geopolitico e l’armamentario morale del romanzo – piena Guerra Fredda, un secolo fa – nella contemporaneità, salvaguardandone spirito e filosofia per farne una spy story deferente verso gli illustri paragoni ma pronta a prendersi le libertà necessarie a rinfrescare il modello.
La strada scelta dai realizzatori – e la scelta non paga del tutto – è di innovare nel rispetto della tradizione. Vincoli del romanzo a parte, si vede già dall’incipit, una dinamica molto hitchcockiana e, d’altronde, con un protagonista immerso in una situazione fuori dal comune dalla quale può uscire contando sulle sue abilità (di dilettante, appunto, amateur) e la fiducia di pochi, generosi, estranei, non ci troviamo di fronte al più classico degli intrighi internazionali? Charlie (Rami Malek) è un geniale, schivo, introverso decodificatore. È un fenomeno nel suo lavoro ma negli scantinati di Langley, la sede della CIA, non se lo fila nessuno. Meglio, non lo ritengono degno d’attenzione, come capitava a Robert Redford in I tre giorni del condor (1975).
Charlie è sposato con Sarah (Rachel Brosnahan), che muore a Londra vittima dell’attentato ordito da Sean Schiller (Michael Stuhlbarg). Distrutto dal dolore, Charlie vorrebbe vendicarsi ma l’agenzia nicchia. Intuito che c’è qualcosa di sporco che coinvolge il capo, Alex Moore (Holt McCallany), contando sull’appoggio indiretto della direttrice Samantha O’Brien (Julianne Nicholson), Charlie ricatta l’agenzia e si fa mandare a un corso d’addestramento per super spie diretto dal vecchio saggio Robert Henderson (Laurence Fishburne). In missione lo aiutano la collaboratrice Inquiline (Caitríona Balfe) e, forse, il collega Jackson O’Brien (Jon Bernhtal). In estrema sintesi: un protagonista ordinario – più o meno – alle prese con una situazione straordinaria (Intrigo internazionale), che lavora da emarginato (Jason Bourne) con gadget e missioni incredibili (007) in un clima di accentuata paranoia interna (I tre giorni del condor) mentre si diverte a fare a pezzi la credibilità della CIA (Hopscotch, commedia del 1980 con Walter Matthau e Glenda Jackson). È tutto molto derivativo, ma fa parte del gioco. Guardare al passato, per (ri)costruirsi il futuro.
Racconto di formazione e racconto di deformazione

Un modo divertente di raccontare Operazione Vendetta: è un film di James Bond girato dal punto di vista di Q. Il film di James Hawes è contemporaneamente un racconto di formazione e la storia di una deformazione. Parlando di deformazione, è quella di un protagonista abituato a schivare il gioco del mondo e a vivere mantenendo una salutare, ma poco credibile, distanza di sicurezza. Un uomo binario, che all’inizio ragiona in termini di assoluti – bianco/nero, bene/male – e poi matura nuotando nelle sfumature, nell’ambiguo grigio della vita. Crescere diventando assassini? È la nera parabola esistenziale della spy story, e forse è questo l’aspetto che il film riesce a cogliere meglio, l’amara ironia della vendetta come strumento di emancipazione personale.
Accanto alla deformazione, c’è il racconto di formazione di un genere, lo spionaggio, che nelle intenzioni di James Hawes dovrebbe muoversi da un passato di virilità tradizionale e di tangibili nemici oltre cortina a un futuro di nemici sfuggenti e di eroi diversi. Non è un caso che, in Operazione Vendetta, ogni esempio di mascolinità tradizionale sia ai margini, si tratti di un mentore carismatico ma forse troppo arrugginito (Laurence Fishburne), di un capo equivoco (Holt McCanny) o di un alleato troppo imprevedibile per contarci sul serio (Jon Bernhtal). Il mondo appartiene ai nuovi, e i nuovi sono gli emarginati: quelli a cui non pensa nessuno.
Se il futuro della spy story appartenga sul serio a uomini insicuri (anche il cattivo Michael Stuhlbarg) e donne, è presto per dirlo. È indubbio che Operazione Vendetta provi davvero a mescolare le carte, puntando su caratterizzazioni femminili più sfaccettate e reattive (Julianne Nicholson e, soprattutto, la spia acquisita in cerca di calore umano Caitríona Balfe) e un’incarnazione di mascolinità estranea allo status quo. Rami Malek è il protagonista che Operazione Vendetta – e per estensione il genere – si merita: un eroe nuovo, diverso, dalla grazia insinuante e la fisicità elettrica e nervosa. Il suo insicuro che impara a camminare da solo si muove in aperto contrasto col suo passaggio da villain, molto più tradizionale, in No time to die, l’ultimo Bond classico prima del tornado Amazon. Rami Malek è il protagonista che serve alla storia, non altrettanto può dirsi di Operazione Vendetta nei suoi rapporti con il genere. Il film cerca di inventarsi il nuovo spionaggio (guidare contromano) saccheggiandone il passato (seguire la corrente), ma non sa dare al citazionismo esasperato un senso innovatore, magari anche iconoclasta. Raccoglie ispirazioni, ma non innesca un rapporto vitale, costruttivo, con l’ingombrante eredità.
Operazione Vendetta: valutazione e conclusione
Un versante poco coltivato da Operazione Vendetta è il thriller tecnologico – da non scordare l’algida fotografia, geometrica e raggelante, di Martin Ruhe – o, meglio, la riflessione su come la tecnologia – smartphone, telecamere a circuito chiuso, dispositivi di tracciamento – renda la realtà più leggibile e insieme anche più opaca. Un’idea interessante, resa in modo abbastanza statico. A conti fatti, Operazione Vendetta è un film di spionaggio dal bel cast, con un protagonista azzeccato, che non sa valorizzare il bagaglio di idee che porta con sé. Immagina, a ragione, che al mondo di oggi serva un nuovo spionaggio, inedito nelle dinamiche e, soprattutto, diverso nei protagonisti. Si lascia però ingolfare dal citazionismo esasperato: cerca di segnare la sua strada guardando ai modelli del passato, limitandosi a esporli in maniera superficiale, senza giocarci con coraggio e creatività.