Upstream: recensione del film, dal FEFF 2025

Presentato durante la seconda giornata del Far East Film Festival 2025 di Udine, Upstream del regista Xu Zheng offre allo spettatore uno spaccato della durissima vita condotta dai rider in Cina. Un film di denuncia che attraverso la sua umanità fa riflettere sulla condizione di vita degli “invisibili” lavoratori che costellano la nostra società offrendo un servizio impareggiabile che abbiamo ben presto iniziato a dare per scontato.

Un mercato del lavoro spietato

Protagonista del film è lo stesso Xu Zheng, che interpreta Gao Zhilei, un ingegnere informatico di quarantacinque anni che improvvisamente si ritrova disoccupato. Nonostante le sue competenze e i curriculum inviati, a causa dell’età è costretto dalle circostanze a lavorare come rider. Una professione di cui non andare fieri, soprattutto per uno come Gao laureato in una delle prestigiose università di Shangai, città in cui è ambientato il film. 
Sono proprio i sentimenti di inadeguatezza e di vergogna uno dei primi temi che risaltano in questa produzione. La difficoltà di essere nuovamente inseriti nel mondo del lavoro dopo un licenziamento appare evidente fin da subito, tra colloqui di lavoro che nemmeno si avviano dopo aver scoperto l’età del candidato e problemi dovuti a una retribuzione troppo elevata a causa delle competenze acquisite nel tempo.

Il mondo dei rider in Upstream, il film di Xu Zheng

Upstream recensione cinematographe.it

Gao si ritrova suo malgrado a doversi adattare alle nuove condizioni lavorative per mantenere la sua famiglia e assicurare il pagamento del mutuo per non perdere la casa. Il mondo dei rider risulta essere l’opposto di quanto immaginato: consegnare cibo è molto impegnativo! Un’app determina infatti la carriera della persona, che deve destreggiarsi tra puntualità dell’ordine e soddisfazione del cliente. Il protagonista impara ben presto quanto possa essere terribile ricevere una recensione negativa da parte degli acquirenti. Il film ricostruisce con efficacia le condizioni lavorative, mostrando i retroscena e il funzionamento degli ordini, focalizzandosi anche sui rapporti che si sviluppano tra rider e ristoratore, facilitando le consegne in quanto appartenenti a una categoria “privilegiata”. 
La categoria dei rider è una comunità molto unita, in cui una volta superata la diffidenza iniziale si sviluppano relazioni di aiuto reciproco e con i colleghi si creano legami di fratellanza durante le brevi pause tra un ordine e l’altro.  

Upstream: valutazione e conclusione

Upstream trasporta lo spettatore in una favola dolce amara dai ritmi frenetici che scorre piacevole come ascoltare l’assolo di una batteria. A livello stilistico il montaggio richiama la velocità dello stile di vita del protagonista, con le musiche che enfatizzano i momenti di svolta della storia. In una società in perenne e repentino cambiamento, il film offre un faro di speranza a tutti coloro che lavorano duramente per costruire un futuro migliore, sia per se stessi che per gli altri. Accade sempre più spesso infatti che i “colletti bianchi” perdano i privilegi considerati ormai come assodati e si ritrovino nelle stesse condizioni lavorative della classe operaia. 

Un film di denuncia del mercato del lavoro che mette al centro l’importanza dei legami famigliari come perno e punto di svolta nei momenti di crisi. L’unione e il sentimento di fratellanza che si creano emozionano e aiutano a ricordare che anche un lavoro umile come quello del rider è essenziale per gli ingranaggi della società e conferisce dignità.  

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4.5
Sonoro - 4
Emozione - 5

4.3