Jules e Jim: recensione del film di François Truffaut
Se Jules e Jim fosse un treno gli basterebbe la seguente citazione per sfrecciare nel prato fresco, introspettivo e intimo della Nouvelle Vague: “[…] in una coppia basta che uno dei due in fondo sia fedele. L’altro…”.
Ma Jules e Jim è un film – diretto da François Truffaut nel 1962 – anzi è di più: è un manifesto, è la rottura di un’epoca – quella della Hollywood classica – e l’elogio di uno stile di vita e di amore anticonformista; un amore che fece scalpore e scandalo; un amore che disprezza la fedeltà e il “vissero felici e contenti”, che rifiuta i preconcetti e i giochi di ruolo, tuffandosi nel deserto afrodisiaco del ménage à trois.
In un impeccabile bianco e nero, destreggiandosi tra inquadrature spartane e sopraffine e usando tecniche di regia sofisticate per l’epoca François Truffaut mette in scena la pura arte cinematografica, quella che interrogandosi interroga, erogando una crisi esistenziale perenne, capace di sopravvivere al tempo e ai costumi e scavare senza remora il significato più arduo della parola “amore”.
Tratto dall’omonimo romanzo di Henri-Pierre Roché, pubblicato nel 1951 e acquistato dal regista dieci anni più tardi presso un negozio di libri usati, il racconto trasposto nella pellicola è tratto da una storia vera, quella del particolare rapporto tra lo scrittore Roché, lo scrittore tedesco Franz Hessel e una giornalista di moda, tale Helen Grunt.
Nel film di Truffaut quest’ultima porta il nome di Catherine ed è interpretata da una bellissima Jeanne Moreau, che si cala perfettamente nei panni di una donna ribelle, insoddisfatta della vita e volenterosa di rompere le catene della moralità, correndo incontro a un ideale di rapporto amoroso al di sopra delle apparenze, in cui si annullano i ruoli e tutti i partecipanti si ritrovano sullo stesso piano, a soffrire ognuno a modo loro, ma fondamentalmente ad amarsi; amarsi in un modo inspiegabilmente buffo e crudele.
In Jules e Jim Catherine incarna la rivoluzione femminile
In lei si concretizza l’evoluzione della donna, è una femme fatale che si serve del suo fascino da seduttrice e che corre dritta verso il femminismo lasciandosi plasmare da quell’ondata di freschezza nei modi di fare e nelle parole pronunciate.
Una donna che per protestare contro i commenti maschilisti di Jules e Jim si tuffa nella Senna, che si traveste da uomo, che scivola da un letto all’altro postulando relazioni clandestine alla luce del sole. Forse per certi versi Catherine risulterebbe una poco di buono, un’indecisa e una vigliacca, ma la realtà è che in lei si concentrano il fallimento del sentimentalismo e la rottura degli schemi societari.
Attraverso il personaggio interpretato da Jeanne Moreau François Truffaut mette in risalto l’intrecciarsi dell’amore e dell’amicizia e della loro evoluzione fragile e complessa, che pur avendo la volontà di resistere alla vita non sa svincolarsi dalla sofferenza.
In fondo dietro l’allora scandalosa narrazione del ménage à trois aleggia pur sempre la storia di un’amicizia vera, quella tra Jules (Oskar Werner) e (Jim) Henri Serre. Austriaco uno, francese l’altro; appassionati d’arte, letteratura e sesso; due uomini che si districano tra le vie di una città in cui le sorprese sono sempre dietro l’angolo, incontrando per caso la misteriosa Catherine, una donna di origini aristocratiche e dalle idee anticonformiste, che finirà per sposarsi con Jules, da cui avrà una figlia.
Nel mentre trascorrono gli anni, resi sulla pellicola attraverso lunghe corrispondenze e con filmati atti a ritrarre gli avvenimenti della Grande Guerra, in cui i due amici combattono l’uno contro l’altro, vivendo entrambi col terrore di uccidersi a vicenda.
Dopo qualche tempo finalmente si incontrano di nuovo: sono cambiati, segnati dagli avvenimenti storici e familiari, privati di un tempo pacifico e spensierato che non tornerà mai più.
Nella seconda parte del film Truffaut mette nuovamente da parte l’amicizia tra Jules e Jim per dare risalto alla sua stessa idea riguardo l’amore, che non va condiviso in due, pur essendo la coppia l’unica forma plausibile e possibile.
La visita di Jim presso la casa di campagna nella quale vive la coppia innesca una ruota di problematiche e delusioni in cui di fatto Catherine assurge al ruolo di vittima e carnefice al contempo.
La donna, ormai in crisi col marito, ha una relazione con un uomo che vorrebbe sposarla, ma finisce per intraprendere una relazione con Jim sotto gli occhi del marito, che appare sempre più inerme dinnanzi alle trovate della moglie – Jules subisce l’azione, l’amore, la perdita e non proferisce parola, sacrificando l’onore per un bene comune.
Inebriato da una colonna sonora divina, realizzata da Georges Delerue, che alterna musiche soft a marce da guerra, intercalandosi alla canzone Le Tourbillon della stessa Jeanne Moreau, Jules e Jim è un film scandaloso ed estremo, proprio come il gesto finale compiuto dalla donna.
Lei che si getta nel fiume ponendo fine alla sua vita e a quella di Jim davanti agli occhi di Jules che in un momento perde il suo più caro amico e la moglie che ama.
Un’angheria sconvolgente, un atto estremo in cui si impiglia il capriccio di un amore egoista e distruttivo, rivoluzionario quanto privo di equilibrio.
La storia narrata nella pellicola di Truffaut sa travolgere lo spettatore, trascinandolo in quella Parigi poetica, intrigante, libera e idealista in cui persino i rapporti umani acquistano un altro sapore e il bianco e nero acquista un colore particolare, conosciuto in natura come “inebriante fragilità dell’essere”.