La Preda Perfetta: recensione del thriller di Scott Frank con Liam Neeson
La vita di Matt Scuder (Liam Neeson), protagonista del thriller La Preda Perfetta, non è quella che si potrebbe definire felice e appagante. Matt è un ex poliziotto che convive col vizio dell’alcool, con il quale cerca di scacciare gli incubi di un tragico errore commesso durante una sparatoria fuori servizio.
La sua triste e tormentata esistenza viene scossa improvvisamente quando i fratelli Kenny (Dan Stevens) e Peter (Boyd Holbrook) Kristo chiedono il suo aiuto per trovare gli assassini della moglie di Kenny, rapita e assassinata nonostante il pagamento del riscatto. I fratelli Kristo non sono dei santi, ma dei piccoli trafficanti di droga; tuttavia Matt, dopo i primi tentennamenti, decide comunque di aiutarli, cercando un’occasione per redimersi.
Per farlo si avvale dell’aiuto del piccolo ragazzo di strada TJ (Brian Bradley), che per lui raccoglie voci e informazioni, grazie alle quali arriva a poco a poco a identificare i due rapitori: si tratta degli spietati Ray (David Harbour) e Albert (Adam Thompson). In breve tempo però Matt scoprirà di essere finito in un labirinto di mezze verità, maschere e ferocia, dove l’unica cosa certa è che la morte raccoglierà il suo tributo alla fine del viaggio…
La regia e la sceneggiatura del film La Preda Perfetta sono di Scott Frank, più noto al grande pubblico per gli script di Minority Report, The Interpreter, Wolverine l’Immortale e di quel Logan che sta mietendo consensi nella sale di mezzo mondo.
Scott in effetti può essere definito come un esperto nel raccontare le gesta di uomini disperati, soli, forti e costretti a lottare contro il mondo intero e contro sé stessi. La Preda Perfetta, pur con i difetti di cui parleremo tra poco, è sempre coerente, sempre in linea con le premesse e non tradisce mai il punto di partenza: il cammino nella valle della morte di un Liam Neeson che, dopo le trashate di Taken, finalmente ci mostra ancora quello spessore e quella naturalezza che ne hanno fatto un punto di riferimento indiscutibile per milioni di spettatori.
Il suo Matt è un chiaro omaggio al Philippe Marlowe di Humphrey Bogart concepito a suo tempo da Chandler e l’ottima fotografia di Mihai Màlaimare Jr. è perfetta nel renderlo tutt’uno con il suo habitat: una New York spettrale, grigia, lugubre e dove non sorge mai il sole per nessuno dei suoi protagonisti (buoni o cattivi che siano). Brooklyn, Manhattan e il Queens diventano qualche cosa di più di un’ambientazione, ma un protagonista aggiunto, che sembra quasi respirare sotto i passi di uomini votati alla violenza in tutte le sue forme e giustificazioni.
La Preda Perfetta: un film robusto ma non indimenticabile
La Preda Perfetta tuttavia ha anche dei difetti che lo rendono, inevitabilmente, un film robusto ma non indimenticabile, né lontanamente paragonabile a quel Ghost Dog di Jim Jarmusch che ha segnato un’epoca, entrando tra i grandi cult del noir oltreoceano.
In primo luogo l’eccessiva dose di violenza a fronte di una scarsa penetrazione psicologica e per un’atmosfera sovente monotematica e che tende a prendersi forse un pò troppo sul serio. Le motivazioni dei personaggi (a parte vendetta e denaro) appaiono poco originali, quasi scontate, e sono rese ancora più palesi da una certa mancanza di ritmo in alcune parti del film.
Si può quindi dire che La Preda Perfetta prova ad andare oltre i cliché del genere ma non sempre ci riesce completamente.
Quanto al cast, oltre a Neeson, tutti sono ben utilizzati e ben dosati da Frank, in particolar modo le nemesi di Neeson (Harbour e Thompson); sono distanti dal già visto e rivisto, e sono particolarmente credibili. La presenza del personaggio di Brian Bradley invece non sempre trova giustificazione, ma non è neppure un delitto.
Ciò che rende veramente interessante La Preda Perfetta è il finale, complesso e più sfaccettato di quello a cui lo spettatore è stato abituato in questi anni da tanti film che in comune con questo thriller hanno l’appartenenza al genere ma non la genuinità e la coerenza, perdendosi sovente per strada e non lasciando nulla allo spettatore se non una ben nota sensazione di déjà vu.
Ma per fortuna il film di Frank Scott non è tra questi.