Oliver Stone a Lucca Film Festival 2017: “il cinema italiano è sensuale, mistico, mi fa sognare”
Il resoconto dell'incontro col grande regista Oliver Stone, che durante il Lucca Film Festival 2017 ha parlato dei suoi film, del cinema italiano e di quello americano
Oliver Stone è uno degli ospiti principali del Lucca Film Festival, che oggi assieme a Silvia Bizio ha incontrato il pubblico e ha dialogato con esso sulla sua carriera, le sue esperienze da regista e da scrittore, sempre molto critico nei confronti della politica americana.
Oliver Stone ha esordito parlando del rapporto fra il suo cinema e la musica, e nello specifico di Alexander:
Alexander è un film che mi è molto caro, di cui è stata proiettata proprio qui a Lucca l’Ultimate Cut, la versione più fedele alle mie idee originali. Amerei vedere proiettata questa versione in Europa. Alexander è concepito come un’opera, impreziosito dalle straordinarie musiche di Vangelis.
Anche Ennio Morricone è un genio: non siamo andati d’accordo, ma solo perché avevamo idee diverse. Ho lavorato molte volte anche con Adam Peters e Craig Armstrong. Quando ho fatto Ogni maledetta domenica ho lavorato con 5 compositori contemporaneamente, che è stato un bel gioco di equilibrismo. Per Snowden invece volevamo una musica che sottolineasse la razionalità ma anche l’introspezione del personaggio stesso. Io non ho una formazione musicale, so solo capire quello che mi piace e che funziona su schermo.
Nei miei documentari l’approccio alla musica è diverso rispetto al cinema di finzione, perché la musica deve metterti nella mentalità giusta per ascoltare il racconto, enfatizzandolo o smorzandolo.
Oliver Stone si è poi soffermato sul suo rapporto con la scrittura e sugli screzi avuti con Dino De Laurentiis:
Ho sempre amato molto scrivere, e ho iniziato a scrivere ben prima di fare film, perché mio padre mi dava 25 centesimi ogni settimana se scrivevo un soggetto. Io ero interessato più ai soldi che al soggetto, perché mi servivano per comprare i fumetti, ma non smetterò mai di ringraziarlo per avermi stimolato in quel modo. La scrittura è una cura per l’anima. L’esperienza da militare mi ha insegnato a vivere sempre con una visuale di 6 pollici, a mantenere una visione a 360° sulla vita. Scrivere mi dà una ragione di vita, perché mi dà libertà. Tuttora tengo un diario giornaliero in cui scrivo i miei pensieri e le mie impressioni.
A Dino De Laurentiis devo il mio più grande successo e ben 4 cause legali. La mia sceneggiatura di Platoon piaceva molto a Michael Cimino, ma Dino De Laurentiis la opzionò; in seguito, non riuscì a trovare i fondi per fare il film e si rimangiò la parola data. Inoltre, non voleva rendermi la mia sceneggiatura. Potevo fare ben poco, perché ero all’inizio della mia carriera, e De Laurentiis non aveva rispetto per gli scrittori.
L’unica arma che avevo era la distribuzione de L’anno del dragone: l’avvocato mi suggerì di fargli causa per aver violato il copyright. A quel punto, con il film in uscita, cambiò idea e mi restituì la sceneggiatura. Due anni dopo sono riuscito a fare Platoon, ma De Laurentiis ha fottuto altre tre volte! Mi ha chiesto di collaborare con lui per fare la Bibbia, ma io non mi sono fidato. Io volevo fare Conan il barbaro con De Laurentiis, lui aveva preso i diritti per tutti i libri, poteva farne una serie alla James Bond, ma riuscì a distruggere tutto. Distruggere tutto era una sua costante. Fellini fece con lui La strada, poi non ci lavorò mai più.
Oliver Stone ha poi fatto un breve excursus sul cinema italiano:
Il cinema italiano per me è diverso: è sensuale, mistico, è un mondo di fantasia che mi fa sognare. Si passa da Fellini a Rossellini o Bertolucci. Ho visto almeno 10-12 volte Novecento.
Sono posseduto dal cinema italiano. Spero che i giovani registi troveranno modo di tramandare questa tradizione, anche se la TV ha tolto molto budget a questo tipo di cinema. L’ultimo imperatore, per esempio, oggi non sarebbe fattibile.
Oliver Stone ha poi parlato della genesi di Scarface, pellicola di Brian De Palma di cui ha scritto la sceneggiatura:
Mi era stato proposto di creare una storia sui gangster, ma non volevo dirigerla io perché credevo che dopo Il Padrino fosse già stato detto tutto. Sidney Lumet mi propose di girarlo in stile cubano. Andammo a esplorare Miami, dove proprio in quel tempo stava cominciando a essere distribuita la cocaina. Lumet lasciò lo script perché lo considerava troppo violento. Entrò nel progetto il regista Brian De Palma, che andò fuori budget e trascinò la produzione per 6 mesi invece dei previsti 3.
È stato un film difficile per linguaggio, pressione, censura. Un film che inizialmente è stato capito e amato solo dalle persone non bianche, ma che poi vide diffusa la sua fama grazie al passaparola. Diventò un film abbastanza popolare anche a Wall Street, ma per i motivi sbagliati, come la cocaina o i soldi che ci giravano. Io volevo scrivere un dramma shakespeariano in stile Riccardo III.
Scarface mi ha poi ispirato a fare Wall Street, perché Wall Street stava cambiando proprio in quel momento, passando all’etica di “Voglio tutti i soldi subito e maledetti” e volevo fissare questo su pellicola. Scarface non ha fatto nulla per la mia carriera all’epoca, anzi, venni ostracizzato perché la gente aveva paura di me.
Oliver Stone ha poi parlato degli inizi della sua carriera:
Quando tornai dal Vietnam nel 1971 mi iscrissi alla scuola di cinema perché si finanziavano gli studi ai veterani. Martin Scorsese era uno dei miei professori. Lì è nata la mia passione per la regia. Godard, Buñuel e Fellini erano i miei eroi. Io ho scoperto che non sono tagliato per fare film horror, perché i registi horror vogliono piantare un chiodo nella fronte del pubblico. Molte persone ritengono che io faccia la stessa cosa nei miei film, ma cerco di farlo in modo da trasmettere emozione. Voi avete comunque una grande tradizione in questo genere, da Mario Bava a Dario Argento.
La prima volta che ho fatto le cose in grande è stato con Fuga di mezzanotte nel 1979. Nessuno mi conosceva, ma il film ha avuto un successo straordinario, al punto da vincere un Oscar. Ma Hollywood è un posto dove non sai chi ti è veramente amico. In quel periodo della mia gioventù ho fatto tanti errori: la cocaina era ovunque e mi levava la lucidità di pensiero.
Dopo che feci flop con La mano, andai in depressione e dal quel periodo sono nati Scarface e Conan il barbaro. Solo dopo qualche anno ricominciai a dirigere con Salvador e Platoon. L’unico motivo per cui riuscimmo a trovare finanziamenti per questi due film fu la distribuzione in VHS, che forniva ulteriori fondi. La carriera a Hollywood è fatta di alti e bassi, anche drammatici.
Oliver Stone ha poi parlato della sua cosiddetta Trilogia del Vietnam (Platoon, Nato il quattro luglio e Tra cielo e terra), basata sulla sua esperienza personale nel conflitto:
Platoon è in realtà un’autobiografia nascosta, perché parlo di ciò che ho vissuto in Vietnam. Appena venne distribuito fu un grande successo in tutto il mondo. Nato il quattro luglio invece scaturisce dal voler raccontare una visione più ampia del conflitto, che includesse anche cosa capitava quando i soldati tornavano in USA. Mi ha portato il mio terzo Oscar e diversi nemici, perché Hollywood è un covo di vipere invidiose. In seguito ho fatto Tra cielo e terra e stavolta la protagonista era una donna vietnamita.
Gli Stati Uniti non erano interessati a questo tipo di storia e fece flop, ma rimane uno dei miei film preferiti: l’ho rivisto recentemente e mi sono commosso. Poi mi è venuta voglia di raccontare la storia degli Stati Uniti. Con i film sui vari presidenti voglio raccontare la mia storia d’amore e odio con gli Stati Uniti, ma ho tante altre storie personali da raccontare. Sento la responsabilità di raccontare il quadro d’insieme degli USA, cosa che ho fatto anche nel documentario Oliver Stone – USA, la storia mai raccontata. Gli Stati Uniti sono un paese che mi lascia tuttora confuso e perplesso.
Oliver Stone in seguito si è concentrato sul suo rapporto con i grandi studios, e sulla sua capacità di essere al tempo stesso dentro il sistema ma anche fortemente critico verso di esso:
Gli studios sono sempre più grandi macchine da soldi che non vogliono rischiare. Non vogliono assumere rischi di fare cose critiche contro gli USA. Oggi non sarebbe possibile fare un film come Nato il quattro luglio. Questo atteggiamento è nato ai tempi di Reagan, ma si è perpetuato fino all’amministrazione Obama, che ha cercato addirittura di nobilitare in qualche modo la Guerra del Vietnam. Si continua a tramandare il ruolo degli Stati Uniti come salvatori del mondo, ma invece siamo isolazionisti e conservatori.
Questa è una forma molto subdola di repressione. Per Snowden non c’era verso di avere finziamentnti per farlo in Usa, perciò siamo dovuti andare all’estero. Non era possibile neanche trovare una distribuzione in Usa, e ci siamo dovuti rivolgere a una piccola compagnia. Ho fatto anche l’errore di rifiutare Cannes, quindi il film è stato affossato in sala.
Dovete capire che è difficile fare film in Usa, non si possono fare film di critica verso gli Usa, neanche se è costruttiva e mossa da amore. W. per esempio ha avuto finanziamenti da un magnate di Hong Kong, Oliver Stone – USA, la storia mai raccontata è stato finanziato dal Brasile, come il mio prossimo documentario su Putin.
Oliver Stone si è poi soffermato proprio su quest’ultimo progetto su Putin, in cui il leader russo si apre per la prima volta agli americani:
Le conversazioni con Putin si sono svolte nell’arco di due anni, e trattano di arte, di filosofia e di vita. Se una persona si vuole dichiarare nemica di un’altra, credo sia giusto avere informazioni su quella persona.
È la prima volta che Putin parla tipicamente con lo stile occidentale e penso di arrivato il tempo di conoscerlo meglio.
Le crisi come quella dei giorni scorsi sono cicliche, c’è una strategia della tensione diretta contro la Russia dal mondo occidentale. Non posso aspettare ancora a pubblicare il documentario, perché queste crisi avvengono continuamente e senza sosta.
Oliver Stone ha poi disquisito dei precari equilibri politici e diplomatici attuali:
Tendiamo a dimenticarci degli arsenali nucleari dei paesi del mondo, la gente ha rimosso. L’ultima volta che siamo stati così vicini a una crisi nucleare è stato con Gorbaciov e Reagan, e creammo il congelamento nucleare per ricordarci dei rischi. Nel 62-63 ci fu la crisi dei missili cubani: in quel caso non è successo niente grazie alla straordinaria umanità di persone come i fratelli Kennedy e Kruscev, che nonostante i rispettivi establishment militari premessero fortemente per andare in guerra, riuscirono a mantenere la calma e a salvaguardare la pace.
Un’altra declinazione della strategia della tensione sono le atomiche in Giappone. Nonostante la mitologia creata nel corso del tempo sul fatto che fosse un bombardamento necessario, non era così. Quelle bombe erano in realtà un monito alla Russia.
Vorrei trasmettere l’emozione degli anni ’80, in cui era esplosa la pace. Cadevano muri e confini, e Gorbaciov aveva firmato il trattato alle Nazioni Unite. Avevamo la sensazione che le cose sarebbero migliorate e che saremmo andati incontro a un periodo bellissimo. Dal 1987 abbiamo avuto tanti anni di pace, terrorismo escluso.
Non c’è motivo per la strategia della tensione che stanno creando: gli Stati Uniti erano la superpotenza mondiale, e hanno attirato l’attenzione di imperi crescenti come quello cinese, quello russo e l’Iran.
Se guardate la cartina dell’Europa, vi accorgerete che la Russia è circondata da missili, dall’Alaska alla Romania e alla Polonia. Un incidente può accadere in qualsiasi momento e temo un escalation molto veloce, viste le armi a disposizione. Credo che la gente si sia dimenticata cosa vuol dire vivere in guerra. Credo anche che sia possibile un mondo diverso: Usa e Russia potrebbero tornare a essere partner, potremmo disarmarci. Ma la proliferazione del nucleare è invece estremamente realistica. Vi consiglio di documentarvi sull’inverno nucleare e sull’impatto sull’ambiente.
Oliver Stone ha poi concluso parlando delle sue ultime esperienze come produttore:
Wall Street – Il denaro non dorme mai è stato fortemente voluto da Michael Douglas e dalla FOX, che appartiene a Murdoch. Gli studios stavano sognando, perché il ritorno di Gekko dopo 30 anni non poteva funzionare. Ma gli studios esercitano un forte controllo, ormai si scrivono le sceneggiature come comitato. I tempi sono cambiati in quanto alla produzione, l’ultima cosa che ho fatto a livello produttivo è Le belve, che invece è stato ben recepito dal pubblico e dalla critica.