My Italy: recensione del film scritto e diretto da Bruno Colella
My Italy è il film scritto e diretto da Bruno Colella, opera che parla di quattro artisti e cerca di conciliare arte contemporanea e cinema.
My Italy racconta tutto – o sarebbe meglio dire niente – tranne che la nostra Italia. Bruno Colella, che nel film in questione è sia regista che interprete, si cimenta nella realizzazione del suo film scomodando arte contemporanea e cinema, per lanciarsi senza corda in un’esperienza evidentemente troppo grande, capitolando fin dal principio a causa della mancanza di una base compatta da cui partire per sviluppare un ambizioso progetto che vorrebbe risultare, senza la minima possibilità di riuscirci, profondo, ma soprattutto unico.
Inseguendo quattro artisti del nostro tempo, in maniera piuttosto confusa e decisamente scollegata, Bruno Colella tenta di plasmare con pochi e insufficienti mezzi una storia che unisce insieme finzione e documentario, andando a creare un mondo al limite del paradossale, legato assieme dall’impresa – del tutto fittizia – di un produttore italiano impegnato nel cercare i soldi per finanziare un film con protagonista l’arte contemporanea e i suoi autorevoli esponenti. È così che ci si imbatte nelle vite, nelle opere e nelle ispirazioni del polacco Krzysztof Bednarski, del danese Thorsten Kirchhoff, dell’americano Mark Kostabi e del malesiano H.H. Lim, riuniti in una cornice bislacca, destinati a dar visibilità alla loro arte a patto di abbandonarsi a gag e scenari non del tutto in linea con le prerogative iniziali.
My Italy – cinema e arte in un matrimonio non del tutto riuscito
Budget contenuto per un film che, seppur uscendo sul grande schermo, può tranquillamente avvalersi dell’epiteto amatoriale. La risoluzione delle riprese infatti – che sembrano a tratti “rovinate” – non sfiora alti livelli e anche la fotografia – curata da Blasco Giurato – non regala nulla al film. Di My Italy è però ammirevole l’idea e il messaggio, nonostante risulti discutibile l’imballaggio e la confezione, un viaggio che vuole aprire alla meraviglia del cinema e dell’arte contemporanea e invece allontana per via della sua natura dimessa e sgraziata.
Senza nulla togliere al valore delle opere di Krzysztof Bednarski, Thorsten Kirchhoff, Mark Kostabi e H.H. Lim, al loro talento e alla passione che li ha spinti ad affidarsi alle mani di Bruno Colella per presentarsi a un più vasto pubblico (il quale magari poco si era precedentemente interessato al loro mestiere e all’universo in cui si sviluppa), i quattro professionisti, lontani tra loro per origini e modalità di esecuzione ma congiunti da una stretta connessione con l’Italia, percorrono strade finte per illustrare la loro vera arte, introdotta dall’analisi fuori luogo benché ben affrontata dal critico Achille Bonito Oliva.
Fiction e realtà, narrazione romanzata e fatti davvero accaduti: in questo gioco dello scoprire il sottile filo della verità che delimita invenzioni e vita concreta manca, facendo sentire pesantemente la propria assenza, una solida sceneggiatura portante (sebbene ne basterebbe anche una fragile). Un canovaccio soltanto sembra muovere i personaggi che si sentono perciò liberi di improvvisare e lasciare che il film si macchi di banali assurdità, permettendo troppo poco all’effettiva arte contemporanea di mettersi in mostra come ci si aspetterebbe e lasciando che siano gli sketch privi di spirito a occupare un consistente spazio nell’intera pellicola.
My Italy – Un’opera unica e fortunatamente inimitabile
Prodotto dalla Mediterranea Productions di Angelo Bassi e dalla Running Rabbit Films di Joanna Ronikier in associazione con Zordan srl, My Italy usufruisce dell’amichevole partecipazione di noti nomi del cinema italiano, da Piera Degli Esposti a Lina Sastri, da Rocco Papaleo a Nino Frassica, per poi passare ancora a Sebastiano Somma, Alessandro Haber e Luisa Ranieri, tutti impegnati in microscopiche parti (sono dopotutto però le uniche effettive personalità impegnate a portare una dimensione recitativa all’interno del film).
Non solo non prestando la dovuta attenzione al racconto generale, ma stereotipando comportamenti italiani e non della nostra penisola, Bruno Colella è riuscito nel proprio intento di rendere inimitabile la sua ultima opera, buona cosa per chi in futuro volesse provare a realizzare simili pellicole.