Black Sea: recensione
Black Sea, un mare ricco di male oscuro quello che inghiotte non solo il sottomarino comandato da Jude Law ma anche i cuori e le menti dell’equipaggio, il cui unico pensiero è la bramosia dell’oro perduto tedesco. Distribuito in Italia da Notorious Pictures e diretto da Kevin Macdonald, già mirabilmente apprezzato in pellicole dove il tema della sopravvivenza in condizioni estreme fa da padrone (L’ultimo re di Scozia), il film vede nell’interpretazione magistrale di Jude Law l’apice di un lavoro minuzioso e sopraffino dove l’esternazione del male dovuta a fattori estrinseci si incornicia perfettamente con l’angustia degli spazi sottomarini rallentando pesantemente il respiro, non solo dei protagonisti, ma anche del pubblico. L’assenza di suoni ci fa rivivere i silenzi terrificanti e pieni di paura di capolavori del genere sci-fi come Alien di Ridley Scott e la mancanza di scene ilari porta di fatto la pellicola ad assumere un tono ricco di enfasi drammatica impedendo la stasi del sistema nervoso. In questo panorama irto e spinoso si inquadra una storia che da subito ci dimostra la sua pienezza e ricchezza di pathòs, una lenta ed inesorabile catabasi spirituale dove ogni singolo uomo riscopre l’istinto omicida e dove il più sciovinisticamente inteso fine giustificante i mezzi muove le coscienze altrui.
Jude Law è il capitano Robinson, un uomo di mezza età, licenziato dalla compagnia di recupero relitti nella quale lavora. Ad aggravare la situazione del capitano, un pesante divorzio e un figlio adolescente con il quale ogni rapporto è andato perduto. Quando la vita sembra voltargli definitivamente le spalle arriva l’occasione per riacciuffare una tanto invocata dignità: a largo nel Mar Nero è stato intercettato un U-Boot tedesco affondato, risalente al periodo nazista, ricco di lingotti d’oro dal valore macroscopico. L’opportunità che si profila davanti gli occhi attoniti di Robinson è quella che potrebbe cambiargli la vita per sempre, non solo la sua, ma quella di tutti i membri da lui scelti per sostenere questa ardua impresa. Uomini vinti dalla vita, ubriaconi, personalità contorte e apparentemente losche dovranno sostenere il viaggio per il recupero del tesoro sommerso. Ma nessuno di loro ha fatto i conti con il più terribile dei nemici: l’avidità di avere la fetta più grande del bottino. L’innesco di questo meccanismo perverso è l’incipit di una strage senza esclusione di colpi.
L’introspezione psicologica di Macdonald è affascinante e magicamente perversa, in alcuni casi è la natura a mettere a dura prova la resistenza umana, in altri è la stessa natura umana ad essere artefice della propria catastrofe. Se la regia si diverte a giocare con la psiche la fotografia ricalca perfettamente la chiusura perfetta di questo oscuro quadro goticheggiante. La luce è rappresentata sempre come lieve e fioca, quasi disturba la quiete del male nascosto nell’ombra, un uso insomma pertinente e mai banale. Se da un lato la scomparsa della luminosità segna l’arrivo delle tenebre marine, dall’altro, quasi con lo stesso andamento, l’inabissarsi del sottomarino segna il lento ed oscuro appannarsi dei sensi. Black Sea è un film che sa gestire nel tempo la sua grandezza, che sa mantenere alto il grado di attenzione senza mai scivolare in nefandezze e che non delude le aspettative. Un pellicola costruita da mani sapienti che sanno come modellare forme artistiche e sinuose stabilendo un canone di bellezza esplicito e dogmatico. Splendido.