The Grey: la recensione del film di Joe Carnahan con Liam Neeson
Liam Neeson in un dramma struggente tra natura, uomo e Dio
The Grey, film diretto da Joe Carnahan e con protagonista Liam Neeson, tratto dal racconto Ghost Walker di Ian Mackenzie Jeffers (co-sceneggiatore), è uno dei film che più hanno impressionato la critica nel 2011, tanto da far dichiarare al grande Roger Ebert (scomparso nel 2013):
Per la prima volta ho deciso di lasciare una sala cinematografica perché ancora scosso dal film che avevo appena finito di vedere….mi aveva colpito troppo
E in effetti The Grey, girato in Alaska e Canada, è un sontuoso racconto del complesso rapporto tra uomini, animali, la natura e il concetto di trascendenza e divinità, nonché una sofisticata riflessione sulla morte e sul come affrontarla.
Protagonista è un dolente e intenso Liam Neeson, calato perfettamente nei panni del cacciatore John Ottway, alle dipendenze di una compagnia petrolifera ed incaricato di proteggere i lavori dagli attacchi o dalle intrusioni di animali pericolosi od infestanti, lupi in special modo. Il suo lavoro è quindi un costante contatto con la morte e la natura e, come se non bastasse, il protagonista scrive lunghe lettere per la moglie, in cui si dilunga sul tema del suicidio, su come e perché fare quel passo, su quanto si senta solo e sofferente.
Un giorno riceve l’ordine di imbarcarsi con altri tecnici della Compagnia su un volo diretto ad una stazione distante diverse ore di viaggio ma prima di arrivare alla meta, il velivolo precipita per un guasto, lasciando Ottway e altri sette uomini come soli sopravvissuti, dopo che alcuni feriti sono morti immediatamente dopo lo schianto. John nota subito che la zona è popolata da animali selvatici e in men che non si dica lui e i compagni scoprono di essere nel bel mezzo del territorio di caccia di un branco di terrificanti lupi, che non temono l’uomo e anzi cerca di ucciderli con tutti i mezzi, sentendoli come una minaccia.
In brave tempo John e gli altri saranno coinvolti in un’atroce odissea tra le nevi del Nord-America, nel duplice tentativo di distanziare i predatori e di raggiungere un qualche luogo civilizzato.
La pellicola sorprese e non poco la critica, dal momento che a parte Pride and Glory, Carnahan si era contraddistinto per una serie di pellicole alquanto differenti da The Grey e sovente non comprese o non ben accolte, come A-Team, Blood Guts Bullets and Octane, Smokin Aces…invece con questo film Carnahan dimostrò di saper affrontare tematiche alte, complesse, difficili e di saperlo fare in modo potente e unico.
The Grey deve molto della sua bellezza alla stupenda fotografia del giapponese Masanobu “Masa” Takayanagi (Spootlight, Warrior e True Story all’attivo)Perfetta nel valorizzare i potenti paesaggi del nord-ovest selvaggio.
Ottime anche le musiche di Marc Streitenfeld (Prometheus, Robin Hood e Body of Lies tra gli altri), così come gli effetti speciali della Zoic Studios, ma inutile negarlo: fu il cast e la perfetta regia di Carnahan a fare la differenza.
Oltre a Liam Neeson il cast infatti comprende Frank Grillo (Crossbones di Captain America), Dermot Mulroney (Young Guns ve lo ricordate di sicuro!) , Dallas Roberts e Joe Anderson, tutti perfetti insieme agli altri interpreti nel donare verosimiglianza ed energia a personaggi realistici ma non scontati, perfetta metafora dei pregi e difetti dell’uomo di oggi.
Perché alla fin fine The Grey, dietro l’apparente mood del classico survival movie, cela riferimenti abbastanza chiari e riusciti alla poetica di William Blake e del movimento simbolista, con i temi della natura ferina e implacabile, della morte e della sofferenza, del rapporto conflittuale tra gli uomini.
Il film è perfetto nel donarci la visione di quanto gli uomini siano sovente incapaci di essere qualcosa di più di caotiche e paurose creature, più concentrate verso la propria reputazione e le proprie fantasie che sulla solida realtà che li circonda. Gli uomini concepiti da questo violento e truculento racconto tra le montagne dell’Alaska, sono come li aveva immaginati Blake: privi della vitalità e purezza che muove i giovani, i bambini, e abitati da un cinismo e una mancanza di speranza che ne uccide lo spirito molto prima che il corpo sia divorato dai lupi.
Proprio i lupi appaiono una controparte di straordinaria potenza evocativa. Tanto gli uomini appaiono condizionati gli uni dagli altri, tanto quanto l’essenza dell’umanità appare abitato da uno iter debole, incontrollabile, caotico e senza volontà, tanto questo terrificanti inseguitori appaiono disciplinati, infanticabili, coesi e puri. Puri di quella purezza che Ridley Scott aveva dato al suo alien: un tutt’uno tra volontà e predisposizione naturale, creazione sublime di questo Dio che sembra inseguire i protagonisti nei loro sogni e incubi, rammentandone punti deboli e paure da affrontare.
Quindi appare chiaro che ognuno dei protagonisti, ognuno degli uomini, affronterà un personale percorso di formazione, indipendente dall’esito letale o meno, che ne metterà a nudo la reale essenza, il tratto caratterizzante, ma che sarà anche l’occasione per fare i conti con il proprio passato, con ciò che li insegue come un sogno, un dolce ricordo o una maledizione.
The Grey scuote lo spettatore con la sua poetica della morte, della lotta incessante tra uomo e natura, tra uomo e sé stesso, tra uomo e Dio o meglio l’immagine e l’idea del tutto personale che ognuno di loro ha di una trascendenza che si può manifestare nella morte, nell’attesa di essa o nel contemplarla. La fine, sembra suggerirci Liam Neeson con i dolenti passi del suo personaggio, non è la fine, o il principio, ciò non ci è dato sapere. Ma se vogliamo può essere il culmine di un confronto con noi stessi, un modo per scoprire chi siamo, di essere ciò che avremo voluto essere, di fonderci con quel tutto che non abbiamo mai compreso.
The Grey è un film di un potenza spaventosa e toccante, universale, trascendente e che sfugge il deja vu, il banale e il già visto con un passo leggero ma sicuro, lo stesso di un lupo tra la neve.