Neve Nera: recensione
Al cinema dal 24 agosto, Neve Nera è il film di debutto di Martin Hodara, un thriller drammatico ambientato nella fredda e nevosa Patagonia
Avendo lavorato per anni come assistente alla regia, Martín Hodara si siede per la prima volta sulla poltrona del regista nel 2007 assieme all’attore Ricardo Darín con il quale confeziona la pellicola poliziesca La señal. Al suo primo lavoro che porta unicamente la sua firma, in Neve Nera Hodara dimostra sia ambizione che capacità ma nonostante le buone idee e la dedizione alla causa si perde nel suo stesso gioco di analessi finendo per consegnarci un finale blando e assai meno sorprendente di quanto il regista avrebbe voluto.
Neve Nera è un thriller drammatico che tenta una studio di quei recessi in cui un’anima può cadere, un racconto fatale il cui inizio e la cui fine si bagnano nel sangue
Segnati dalla tragica morte del fratello minore durante una battuta di caccia, Marcos (Leonardo Sbaraglia), Salvador (Ricardo Darín) e Sabrina (Dolores Fonzi) da anni hanno preso le distanze l’uno dall’altro. Il primo si è rifatto una vita in Europa e aspetta un bambino dalla moglie Laura (Laia Costa), il secondo vive in quasi totale isolamento nella casa di famiglia sperduta nelle fredde foreste della Patagonia, mentre Sabrina è rinchiusa in un ospedale psichiatrico a causa della shock subito. Le loro storie sono destinate a intrecciarsi di nuovo alla morte del padre, quando Marcos tornerà nella terra natia per affrontare il problema dell’eredità paterna.
Un aspro paesaggio montano innevato lascia il campo a un branco di lupi in cerca di cibo poco prima di mostrarci il giovane Juan un attimo prima di essere ucciso. Hodara svela da subito le sue carte e se il ricorso a un’analessi è una delle tecniche di montaggio predilette per contestualizzare una storia la cui specificità si fonda su un avvenimento passato, nella prima metà di Neve Nera alcuni flashback si innestano perfettamente nella narrazione dando vita a una ben calibrata danza di punti di vista e incursioni indietro nel tempo.
Neve Nera cerca di sopperire a una sceneggiatura che funziona a metà con un montaggio sofisticato che gioca sull’analessi ma che purtroppo non regge sotto il peso delle suo stesse aspettative
Mano a mano che lo spettatore affonda sempre di più nella storia trascinato dal difficile rapporto tra i due fratelli fatto di lunghi silenzi e mancata fiducia, la sosfisticazione registica che aveva caratterizzato la prima parte del film comincia a scemare. Allo stesso tempo, la narrazione accelera all’improvviso provocando qualche stridore nella caratterizzazione dei personaggi, ormai ridotti a burattini che si muovono inerti verso lo scioglimento finale. Scioglimento che punta tutto su una morbosità già precedentemente intuita che invece di dare forza alla storia, la depotenzia nel suo maldestro tentativo di presentare un’evidente origine ontologica di tutti quei mali di cui saremo testimoni.
Nonostante la comprovata esperienza sul campo, Hodara non riesce ad evitare alcuni errori di regia e sceneggiatura nella sua opera prima. Volenteroso di presentarsi come manifesto di sofisticazione e complessità, Neve Nera può essere ricordato come un pregevole tentativo di indagare i recessi dell’animo umano, il cui principale difetto è però quello di dimenticarsi di approfondire la sostanza in virtù di una forma purtroppo non ancora perfetta.