Hill House: recensione della serie tv horror originale Netflix
La nostra recensione di Hill House, nuova serie horror Netflix basata sul romanzo di Shirley Jackson L'incubo di Hill House. Disponibile dal 12 ottobre.
Hill House (The Haunting of Hill House il titolo originale) è una serie televisiva horror Netflix del 2018, ideata e diretta da Mike Flanagan (Ouija: L’origine del male, Il gioco di Gerald) e basata sul celeberrimo romanzo di Shirley Jackson L’incubo di Hill House (già adattato per il grande schermo ne Gli invasati e Haunting – Presenze), dichiarata fonte di ispirazione per autori come Stephen King. I protagonisti della serie sono Timothy Hutton, Carla Gugino, Michiel Huisman, Victoria Pedretti, Kate Siegel, Henry Thomas, Oliver Jackson-Cohen ed Elizabeth Reaser. I 10 episodi di Hill House saranno distribuiti su Netflix il 12 ottobre.
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Hill House: fra case infestate, ricordi e disperazione
Hill House racconta la storia della famiglia Crane, composta dai coniugi Hugh (Henry Thomas e Timothy Hutton) e Olivia (Carla Gugino) e dai figli Steven (Paxton Singleton e Michiel Huisman), Nell (Violet McGraw e Victoria Pedretti), Theodora (Mckenna Grace e Kate Siegel), Luke (Julian Hilliard e Oliver Jackson-Cohen) e Shirley (Lulu Wilson ed Elizabeth Reaser). Una famiglia unita ma al tempo stesso tormentata, che viene seguita parallelamente su due piani temporali (gli anni ’80 e i giorni nostri) attraverso ricordi, tensioni, traumi e dolori scaturiti dall’esperienza all’interno di una enorme ed inquietante casa, teatro di bizzarri e inspiegabili fenomeni e popolata da oscure presenze. Due tragici eventi, separati da decenni, diventano l’innesco di rancori e lacerazioni familiari, ma al tempo stesso anche un’occasione per riavvicinarsi e per ritrovare l’amore sepolto sotto la sofferenza e il lutto.
Dopo aver dimostrato doti non comuni nella gestione di atmosfere cupe e sinistre con Il terrore del silenzio, Somnia e Ouija: L’origine del male, Mike Flanagan trova la sua consacrazione in ambito televisivo, dando vita a una rilettura intima, profonda e fortemente personale di un testo che ha influenzato e continua a influenzare il genere ghost story, sia in campo letterario che in ambito audiovisivo. Ciò che stupisce fin dai primi minuti di questo Hill House è infatti il sorprendente tatto del cineasta americano nell’approcciarsi a quello che nasce come un racconto del terrore e del soprannaturale, ma che progressivamente diventa una toccante analisi delle nostre più profonde fragilità e dei sottili equilibri che governano il nucleo sociale più importante di tutti, ovvero la famiglia.
Hill House: un cammino circolare fra i traumi dell’infanzia
Hill House ci ricorda che ciò che siamo è indissolubilmente legato a chi siamo stati e a ciò che abbiamo vissuto, e che i piccoli e grandi traumi dell’infanzia si ripercuotono costantemente nella nostra vita da adulti; lo fa con una narrazione compassata, che cuoce a fuoco lento personaggi e avvenimenti, prendendosi tutto il tempo necessario a fare in modo che ci importi realmente di questa famiglia, dei legami che la governano e dei suoi tanti segreti, attraverso continui e a tratti disorientanti salti temporali, incentrati sul passato e sul presente dei Craine. In questo senso, i primi 5 episodi della serie costituiscono una manifesta dichiarazione d’intenti, focalizzandosi a turno sui 5 figli della famiglia e sul loro modo di superare un doloroso trauma che li ha coinvolti, con una specifica analisi del presente e del passato del singolo personaggio che richiama la modalità narrativa artefice della fortuna di Lost.
Indubbiamente un approccio così schematico e carente dal punto di vista della pura azione può scoraggiare lo spettatore in cerca di emozioni più facili e scontate. L’obiettivo di Mike Flanagan non è però né creare una serie di jump scare né sfociare nel puro splatter. Anche se la narrazione pare a tratti eccessivamente diluita e non c’è sempre il giusto contrasto a livello scenografico e fotografico fra le sequenze ambientate negli anni ’80 e quelle collocate nel presente, il cineasta americano riesce nel ben più difficile intento di creare un’atmosfera di perenne e palpabile tensione e di farci toccare con mano il cammino psicologico e umano di ogni personaggio. Nelle pieghe delle vite dei figli Craine, tutte a loro modo spezzate e in una certa misura votate alla sofferenza e ai traumi, percepiamo però il senso di un cammino circolare, che nasce e inevitabilmente ritorna verso quella sinistra magione.
Hill House non deluderà gli amanti del gotico e di Stephen King
Il crocevia di Hill House, nonché il risvolto di cui probabilmente sentiremo più parlare nei mesi a venire, è certamente rappresentato dal sesto episodio, un vero e proprio gioiello di regia, recitazione, tensione e caratterizzazione dei personaggi. Con un pregevole utilizzo del piano sequenza e una prova di stampo teatrale dei propri interpreti, Mike Flanagan coglie i frutti di quanto seminato in precedenza, riunendo tutti i membri della famiglia e facendo emergere i contrasti, i risentimenti, le connessioni e l’incrollabile amore che li lega. Da questo momento in poi, l’angoscia sale sempre di più e ogni elemento scenografico di Hill House si fa progressivamente più minaccioso, precipitandoci in un vortice di disperazione e rimorso che però non perde mai di vista il nucleo del racconto e il rispetto per l’evoluzione dei propri personaggi.
Si sentiranno quindi a casa sia gli amanti delle atmosfere gotiche, con le loro architetture decadenti e tenebrose, i continui richiami al soprannaturale e le manifestazioni maligne che si annidano nel quotidiano, nello scricchiolio di una porta o nell’ombra di una stanza, sia gli appassionati dei romanzi di Stephen King (non a caso affrontato da Flanagan con Il gioco di Gerald e prossimamente con Doctor Sleep) e del suo ineguagliabile modo di raccontare le nostre debolezze attraverso l’orrore e di presentarci personaggi veri, tangibili e tridimensionali tramite le loro paure, i loro ricordi e le loro ossessioni.
Hill House: fra suspense e il tema della famiglia
A distinguersi fra i numerosi membri del cast è un’eterea Carla Gugino, che dimostra nuovamente il suo carisma e il suo sottovalutato valore nel ruolo di madre amorevole e tormentata, fondamentale nel percorso dei figli. Non sono da meno però gli altri interpreti, da Henry Thomas (l’indimenticabile Elliot di E.T. l’extra-terrestre) alla sempre più convincente Kate Siegel, passando per la rivelazione Victoria Pedretti (prossimamente in Once Upon a Time in Hollywood di Quentin Tarantino) e per i bambini del cast, tutti decisamente promettenti. Tessere di un mosaico complesso e affascinante, che riesce a superare anche i momenti meno riusciti grazie alle evocative musiche dei The Newton Brothers e alla solida regia di Mike Flanagan, ormai una realtà del panorama cinematografico internazionale.
Hill House è in definitiva un nuovo successo di Netflix e di Mike Flanagan, capace di cogliere l’essenza di una pietra miliare della letteratura dello scorso secolo piegandola alla sua volontà, di calarsi nelle rodate dinamiche del filone delle case infestate senza farsi ingabbiare e di fondere un clima di perenne suspense con una lodevole sensibilità nell’approccio ai personaggi e alla trama. I momenti di puro orrore non mancano, ma sono centellinati e funzionali al racconto. Un racconto che non ha solo lo scopo di spaventare e sconvolgere, ma anche e soprattutto quello di farci riflettere sul senso di famiglia, sia come fonte delle nostre insicurezze sia come ineguagliabile appiglio a cui aggrapparsi per non affondare.