American Vandal: recensione della serie TV Netflix
Creata da Tony Yacenda e Dan Perrault, fa il suo debutto su Netflix American Vandal, satira grottesca e irriverente del true crime. La nostra recensione
Creata da Tony Yacenda e Dan Perrault e con Dan Lagana come showrunner, la docu-serie American Vandal fa oggi, 15 settembre, il suo debutto su Netflix. Non fatevi ingannare dal quell’etichetta, “docu-serie”. La nuova proposta del servizio di streaming on the demand, è innanzitutto una satira, grottesca e irriverente, che storpia con successo un genere televisivo ormai consolidato, coniugando comicità e giallo investigativo.
American Vandal su Netflix: una satira delle serie true-crime
Tutto comincia in una mattina di fine marzo nella città californiana di Oceanside. Qui, e più precisamente nel liceo locale, l’Hanover High School si svolge un insolito atto di vandalismo: 27 auto nel parcheggio della scuola sono state riempite di immagini falliche. Accusato di aver orchestrato l’osceno scherzo uno studente dell’ultimo anno, Dylan Maxwell (Jimmy Tatro), conosciuto per questo genere di trovate e definito dai suoi stessi compagni come “il ragazzo più stupido della scuola”.
Il caso sembra chiaro fin dall’inizio: il corpo docenti decide all’unanimità di espellere Dylan e di imporgli il pagamento di una costosissima penale. Nessuno sembra avere dubbi circa la colpevolezza del ragazzo, fatta eccezione per uno studente, l’aspirante giornalista di nome Peter Maldonado (quel Tyler Alvarez che interpreta Benny Mendoza in Orange Is The New Black) deciso a condurre una vera indagine per fare chiarezza sulla vicenda. “Who did this?”, questa la domanda a cui, nell’arco di otto episodi di circa mezz’ora, si cerca di dare risposta.
L’intento comico è subito evidente: non solo la trama, ma persino i titoli di testa, in cui si ringrazia l’ “Hanover High School TV Department” e un certo “Mr. Baxter”, fantomatico insegnante della scuola, ci avvertono che quello che abbiamo di fronte è una parodia ben orchestrata, che tuttavia ha solo l’apparenza della realtà.
Non è un caso poi che il protagonista non sia un semplice studente del liceo, ma un grande ammiratore del linguaggio visivo che caratterizza il recente boom delle “docu-serie”, (basti vedere il successo di una produzione HBO come The Jinx-La vita e le morti di Robert Dunst). Un genere sul quale Netflix non ha mancato di investire: produzioni come Making a Murderer sono emblematiche di un nuovo modo di rapportarsi al “true crime”, alle storie vere di crimini, non più come avveniva nei tradizionali programmi televisivi, ma con uno stile e un linguaggio che maggiormente si avvicinano ai nostri tempi: quello delle serie tv. E il fatto che anche Making a Murderer sia la storia, vera stavolta, di una vittima di errore giudiziario, rende la serie il principale riferimento di American Vandal. In questo caso, però, Yacenda e Perrault compiono un passo ulteriore: prendere un genere che riscuote successo e farne una irresistibile caricatura.
American Vandal: una serie TV a metà strada tra la parodia grottesca e irriverente e il giallo investigativo
L’operazione in sé non rappresenta niente di nuovo: da Zelig di Woody Allen a What We Do in the Shadows, l’irresistibile commedia rivelazione di Taika Waititi e Jemaine Clement, che meriterebbe di arrivare anche in Italia, il cinema è costellato di esempi di questo genere ibrido noto come “mockumentary”, una forma sfuggente capace di coniugare commedia e taglio documentaristico.
Sono invece poche le serie televisive girate interamente in questo modo (sebbene tracce di questo stile si possano rintracciare in un cult come Modern Family, nei passaggi in cui i protagonisti dello show dialogano direttamente in camera, come fossero intervistati). American Vandal, in questo senso, rappresenta una grande novità nel catalogo Netflix, che colpisce in pieno il bersaglio: spiazzare lo spettatore attraverso una situazione ai limiti del grottesco, trattata come fosse un’indagine giornalistica, con tanto di ricostruzioni in 3D, interviste ai testimoni, ricerche e indagini sui luoghi del “delitto”.
È in questo contrasto che si gioca l’effetto comico della serie, che funziona non soltanto in quanto satira di un genere, ma anche come “giallo”. Non possiamo fare a meno di seguire il reporter impegnato a mettere insieme le diverse voci che si alternano nel racconto come altrettante tessere di un puzzle, nel tentativo di raggiungere finalmente la Verità, come ogni lavoro giornalistico che si rispetti.
Tra un riferimento a Game of Thrones e un altro ai film di Nolan, American Vandal è anche un ritratto ironico dell’universo liceale americano, all’interno del quale, seppure attraverso la satira, si toccano temi ampiamente affrontati, (un esempio tra tutti, Tredici), come il bullismo e l’invadenza dei social, da Facebook e Instagram fino agli scherzi caricati su YouTube, a cui si aggiunge la disperata ricerca di approvazione e di uno ‘staus sociale’ all’interno dei licei. Tutto questo costituisce la linfa vitale di American Vandal, che, seppure non diventerà la migliore serie dell’anno, è ugualmente un buon prodotto di intrattenimento che sfrutta l’onda del successo di un determinato genere per trarne qualcosa di completamente nuovo.