Per primo hanno ucciso mio padre: recensione del film Netflix di Angelina Jolie
Per primo hanno ucciso mio padre è un film originale Netflix, di Angelina Jolie. Il lungo nastro rosso è il romanzo che ha ispirato il film, la recensione
Per primo hanno ucciso mio padre è un film originale Netflix, per la regia di Angelina Jolie. Il cast è composto da Phoeung Kompheak, Sveng Socheata, Sareum Srey Moch e Tharoth Sam. Il lungo nastro rosso (First They Killed My Father: A Daughter of Cambodia Remembers) è il romanzo che ha ispirato il film, scritto da Loung Ung, scrittrice cambogiana che ha vissuto sulla propria pelle il regime di Pol Pot, assistendo al genocidio del suo popolo che avvenne tra il 1975 e il 1979.
Phnom Penh, 1975. Loung è una bambina cambogiana che vive nel benessere con i propri genitori e sei fratelli. Il padre è un funzionario di governo e capisce fin da subito che il paese è scosso da due forze politiche opposte che lo lacerano miseramente. Da una parte c’è l’America, alleata del presidente cambogiano Lon Nol, che lentamente ritira le sue truppe dal confinante Vietnam, e dall’altro ci sono i Khmer rossi, un’organizzazione comunista che tenta di ribellarsi al governo e di sottoporre il paese ad un regime d’ispirazione maoista, con l’intento di purificare la Cambogia.
I Khmer rossi riescono ad avere la meglio sul governo, impugnando il fucile e invadendo Phnom Penh. L’organizzazione costringe i cittadini ad evacuare la città, facendo spostare tutti gli abitanti nelle campagne, tra cui anche Loung e la sua famiglia. La promessa è di riportarli nelle casa nel giro di tre giorni, non appena fosse cessato il rischio di un bombardamento, ma più il loro viaggio si fa lungo ed estenuante più comprendono che quella diaspora sia definitiva. La famiglia di Loung allora, per evitare persecuzioni o esecuzioni a causa della propria vita borghese, fugge di villaggio in villaggio fingendo di essere una famiglia di operai.
Vengono annessi ad un campo di lavoro, in cui apprendono per davvero cosa significhi sottostare ad un regime spietato e delirante. All’arrivo nei campi, vengono spogliati di ogni bagaglio, di ogni cimelio, epurati dei propri legami familiari, dei propri colori e resi senza alcuna individualità, senza storia, appartenenza, religione, educati ad amare la Kampuchea Democratica e l’Angkar, entità suprema, unica vera divinità concessa ai compagni in schiavitù.
Tutti lavorano nei campi a ritmi disumani, con un pugno di acqua di riso per ricompensa. La vita in quelle prigioni è insopportabile, tra minacce, sevizie ed esecuzioni; il padre di Loung improvvisamente viene allontanato dal campo per essere giustiziato, i fratelli vengono mandati al fronte e la madre, comprendendo l’inesorabile, decide che i tre fratellini dovranno disperdersi, per poter avere una piccola speranza di sopravvivere.
Loung assieme a sua sorella sfugge via, fingendosi orfana, finendo in un’altro campo di lavoro. Essendo molto resistente e determinata, viene indirizzata in un campo di addestramento militare, in cui vengono istruiti i bambini alla guerriglia, frequentando una scuola deformante, che incita all’odio verso i vietnamiti e al rispetto unico verso la Kampuchea Democratica. Le insegnano ad usare il fucile, ad innescare le mine, ma non appena il governo vietnamita riesce a penetrare in Cambogia, ogni campo di lavoro viene distrutto, lasciando la vita di Loung nuovamente nella tempesta, con una famiglia dispersa e il ricordo onnipresente delle barbarie subite.
Per primo hanno ucciso mio padre è un film che mostra la sofferenza di un popolo attraverso gli occhi di una bambina
Per primo hanno ucciso mio padre è un film che mostra il disagio e la sofferenza di un popolo attraverso gli occhi e il volto di una bambina. Loung è l’unico punto di vista della narrazione, ciò che accade al di fuori, ciò che succede al di là della sua vita non è raffigurato, è solo accennato o presunto, un racconto prettamente a focalizzazione interna. Il film fotografa con estrema linearità e realismo il trauma della Cambogia, una frattura interna che ha paralizzato e sterminato un’intera popolazione.
Il regime di Khmer rossi intendeva fondare una nuova società, che eliminasse ogni ricordo dell’occidente, che distruggesse le classi sociali, seguendo un modello sovietico e cinese attraverso una dittatura strutturata in campi di lavoro forzati sanguinari e mostruosi. Erano veri campi di sterminio, le cui condizioni estreme causavano la morte per fame o per stanchezza, in cui il minimo cenno di errore o indecisione erano puniti con bastonate, colpi di zappa o la morte.
L’individualità era un errore, non aveva alcun valore il singolo uomo, solo la comunità lavoratrice che si sottometteva alla patria era rilevante; questo era l’obiettivo di Khmer rossi: creare un essere e un popolo senza etnia, senza memoria, ateo, senza famiglia o retaggi borghesi. Loung è una bambina che si trova ad affrontare la demolizione psichica e fisica di una nazione, il cui governo regime intendeva perfino controllarne la mente, forgiando bambini come argilla vergine, pronti a immolarsi e a uccidere chiunque andasse contro le loro dottrine.
La fotografia del film passa dall’intensità del pastello alla saturazione, fino all’assenza di colore
Sareum Srey Moch è una forza della natura, con due occhi molto espressivi, un volto oceanico e che dice tutto ciò che la sua voce non può e non riesce ad esporre, tutto il film è sorretto da lei, un corpicino ossuto e debole ma che nasconde una grande forza di volontà, un senso di sopravvivenza e il desiderio di riabbracciare i suoi fratelli scomparsi tra i bombardamenti. Angelina Jolie, affiancata dal noto documentarista cambogiano Rithy Panh, delinea la storia drammatica di un paese oltraggiato nel profondo, che ha subito perdite inenarrabili, vite umane e intere famiglie distrutte. Per primo hanno ucciso mio padre è un film che onora le tradizioni e il popolo cambogiano, un modo di sensibilizzare il pubblico di una storia forse spesso taciuta o poco discussa, un genocidio orribile che ha provocato quasi 2 milioni di vittime, tra il 17 aprile 1975 e il 9 gennaio 1979.
La fotografia del film è incentrata moltissimo sui toni, sul colore, passando dall’intensità del pastello, alla saturazione, fino all’assenza di colore, poi giocando sui contrasti, dividendo i tempi della narrazione, le condizioni di vita, il carattere della scena. Durante il film, nonostante si tratti di un regime di stampo maoista, si può notare come la parola comunista non venga mai usata, probabilmente perché la Jolie non sentiva la necessità di dover marchiare la narrazione, preferendo alludere alla parola attraverso ciò che essa rappresenti all’interno di un regime come quello di Pol Pot.
Si protrae all’interno della narrazione un senso di catastrofe, di caducità, un senso di morte che parte dal titolo, Per primo hanno ucciso mio padre è un discorso in fieri, un inizio, un appello, o un grido che parte da dentro, che dichiara: si, per primo hanno ucciso mio padre, e in seguito hanno ucciso la mia innocenza, la mia memoria.
Angelina Jolie possiede un senso estetico singolare, i personaggi dei suoi film vivono spesso entro confini asfittici o circostanze claustrofobiche, sopraffatti da eventi al di fuori di ogni controllo, ma che nella lotta e per mezzo di essa riescono a trionfare. Con Per primo hanno ucciso mio padre, la Jolie colpisce nel segno, ritraendo la nascita, la morte e la resurrezione di una nazione, con sensibilità e affezione, attraverso la voce di una bambina e la disillusione di una vita che si ricompone, partendo proprio da una storia e da una memoria prima persa e poi ritrovata.