Il Palazzo del Viceré: recensione del film di Gurinder Chadha
Con Il Palazzo del Viceré, in sala dal 12 ottobre distribuito da Cinema S.r.l., la regista inglese torna alle sue origini cercando di comprendere una pagina ancora controversa della storia indiana.
L’India, la sua storia e il retaggio culturale che lascia ai suoi abitanti sono i soggetti principali di Gurinder Chadha, che ha esplorato con arguzia e intelligenza la difficile eredità indiana soprattutto in confronto, e in contrasto, con lo stile di vita occidentale. Per il suo ultimo lungometraggio, Il Palazzo del Viceré, la regista di Sognando Beckam torna alle origini della diaspora indiana con un’opera di carattere storico che ha tutti gli elementi della grande epopea nazionale, capace di inscriversi a pieno titolo nel filone dell’epica moderna che mette in scena, giustamente romanzata, la storia di un Paese a partire dalle vicende delle persone che lo abitano. Una pagina di storia che ancora oggi divide nelle interpretazioni e letture che ne vengono date, portando la regista ad aprire il film con l’affermazione, troppo spesso dimenticata o sottovalutata, “La storia è sempre scritta dai vincitori“.
Il Palazzo dei Viceré: Gurinder Chadha racconta la storia dell’India con intelligenza e arguzia
Il Palazzo dei Viceré prende le mosse da un delicatissimo evento storico che ancora oggi riverbera di conseguenze, ossia l’indipendenza dell’India in seguito alla dissoluzione dell’Impero Britannico e la conseguente divisione del Paese in due diverse nazioni, India e Pakistan, dovuta alle spinte indipendentiste della comunità musulmana.
Lo sguardo di Chada riesce nell’impresa di raccontare un avvenimento così complesso e ricco di contraddizioni con ordine e rigore storico, dividendosi tra le stanze del potere in cui vengono prese le decisioni e le strade della città dove le conseguenze di quelle decisioni assumono forme sempre più spaventose. Le diverse posizioni dei personaggi e i contrasti sempre più profondi che li dividono non corrompono mai l’oggettività della regista, la quale mantiene sempre una pregevole lucidità e capacità di mettere in scena senza coinvolgimenti personali le motivazioni dei personaggi evitando di apporre un giudizio sul loro operato o le loro idee.
Il Palazzo dei Viceré: tante linee narrative che si intrecciano nella trama del film
Questo è possibile grazie all’ottima sceneggiatura, firmata, oltre che da Gurinder Chadha, anche dal marito Paul Mayeda Berges (Sognando Beckam, La maga delle spezie) e Moira Buffini (Jane Eyre, Byzantium). La scrittura brillante e perfettamente equilibrata riesce a delineare dei personaggi eccezionali e a portare avanti molte linee narrative contemporaneamente senza sacrificarne nessuna, ma anzi esaltandole l’una con l’altra mettendo continuamente in confronto i risvolti pubblici e privati, sociali e politici, singoli e collettivi della storia raccontata.
Sicuramente il pretesto della storia d’amore tra Jeet (Manish Dayal, Amore, cucina e Curry, Agents of S.H.I.E.L.D.), induista, e Aalia (Huma Qureshi, White, Jolly LLB 2), musulmana, non appare particolarmente originale, ma si rivela decisamente funzionale per mettere in scena i contrasti sociali che lacerano la popolazione indiana; ben più interessante è la descrizione della frenetica vita all’interno del Palazzo, un microcosmo fondato su regole e rituali perfettamente codificati che lascia intravedere sempre più chiaramente le crepe provocate dalle decisioni del Viceré Mountbatten e dei leader politici che si succedono nel suo studio.
Quello de Il Palazzo del Viceré è un mondo che si sfalda, che perde, nel piccolo come nel grande, la sua coesione, e mette in mostra tutti i fragili equilibri su cui si reggeva recidendoli uno a uno.
L’andamento della sceneggiatura accompagna questo processo, assumendo toni sempre più cupi e drammatici fino al nichilismo del climax, in cui non solo la speranza di salvare l’India svanisce nel nulla, ma si scopre che tale speranza era soltanto un’illusione, un inganno inteso a portare il protagonista, Lord Mountbatten (Hugh Bonneville, Paddington, Monuments Men), a condurre le parti in causa verso una conclusione già prestabilita.
Quando le parole non sono più sufficienti a trasmettere le proporzioni della tragedia in corso, allora intervengono le immagini, tra cui spiccano le stupende inquadrature del Palazzo che, come una punteggiatura, scandiscono i diversi capitoli del film; autentico personaggio inanimato, il maestoso Palazzo del Viceré comunica con la sua presenza e le sue trasformazioni l’evoluzione della società indiana e la sua disgregazione, diventando un simbolo della fine dell’ordine imposto dagli inglesi e dell’avvento dell’autodeterminazione indiana.
Le location del film Il Palazzo del Vicerè lasciano trasparire pura magnificenza
La sequenza iniziale che mostra l’arrivo della famiglia Mountbatten a Delhi è improntata alla magnificenza riservata all’epica, con il Palazzo che si apre con le sue meraviglie agli occhi increduli dei protagonisti; la successione dei campi lunghi e dei dettagli sono tutti tesi a sottolineare la magniloquenza del luogo e il senso di soverchiante potere trasmesso dalle stanze, dai marmi e dagli arredi del palazzo. Il profilo dell’edificio riappare con cadenzata frequenza nel corso del lungometraggio con un aspetto significativamente più cupo di volta in volta, fino alla spaventosa inquadratura che corrisponde all’apice del disordine sociale, rappresentato da un Palazzo immerso nell’oscurità della notte, con il fumo delle rivolte popolari che si alza sullo sfondo.
Le immagini del Palazzo costituiscono i momenti più lirici di una regia altrimenti molto posata, che guida i suoi personaggi con lo stesso ordine e la stessa attenzione riservata alla sceneggiatura. Il cast di prim’ordine, su cui spiccano, oltre i già citati, anche Gillian Anderson (X-Files) nel ruolo di Edwina Mountbatten, Michael Gambon (Harry Potter, Vittoria e Abdul) nella parte del Generale Hastings Ismay e la giovane ma promettente Lily Travers (Kingsman: Secret Service, Doctor Who), esalta ogni scena con un’interpretazione caratterizzata dalla compostezza richiesta dai rispettivi ruoli ma capace di trasmettere con una parola o un semplice sguardo un mondo intero di significati sotterranei.
Su tutto emerge chiaro e inequivocabile il desiderio di capire e scoprire, sostituendo la condanna della Partizione con uno sguardo di partecipazione al dolore della popolazione indiana e di comprensione verso gli eventi storici che hanno condotto a quella tragica decisione.
Il Palazzo dei Viceré è un’opera che lascia allo spettatore il compito di trarre le conclusioni dopo aver goduto di un punto di vista privilegiato sugli eventi storici pubblici e privati e sulle loro conseguenze. Non c’è alcuna volontà di imporre un giudizio storico o politico da parte di Gurinder Chadha, questo non le interessa; il suo obiettivo era quello di far toccare con mano al pubblico occidentale contemporaneo la tragedia della Partizione come lei l’ha percepita, pur non avendola vissuta in prima persona, e il suo scopo è sicuramente stato raggiunto.