Coco: recensione del film d’animazione Disney Pixar
Coco, il nuovo film d'animazione Disney Pixar in uscita il 28 dicembre, ci insegna che l'anima è l'unica vera eredità che possediamo
Coco, l’ultimo film animato targato Disney Pixar, ci traghetta in un mondo fatto di colori, suoni ed emozioni; tradizioni che vibrano di luce autentica e cristallina convogliate in effetti visivi brillanti e dinamici in cui la vita e la morte danzano insieme senza paura, piuttosto con coraggio e armonia.
Trapiantandoci anima e corpo in una terra ricca di tradizioni qual è il Messico, i registi Lee Unkrich e Adrian Molina ci conducono nella vita di Miguel, un bambino di appena 12 anni che sogna di diventare un musicista e di seguire le orme del suo idolo, Ernesto de la Cruz. Ma la strada che deve attraversare per portare a compimento la propria passione è irta di divieti e ostacoli che funzionano bene sia sul piano strutturale che su quello metaforico, insegnandoci cioè che la passione e il raggiungimento di un obiettivo richiedono sacrificio e ci mettono (sempre) davanti a delle scelte ardue.
Nel caso del piccolo protagonista il divieto di dedicarsi alla musica è rappresentato dalla sua trisavola che, come spiega lo stesso Miguel all’inizio del film d’animazione, bandì tutta la musica dalla propria vita e da quella della sua stirpe presente e futura per colpa del marito, che l’abbandonò per seguire la sua carriera di cantautore. Si diede da fare imparando a confezionare scarpe, le famose calzature Rivera! Che poi perché proprio scarpe? È ciò che si chiede il protagonista di Coco e la risposta che ci siamo dati è che le scarpe sono simbolo del viaggio, quello di chi vuole percorrere la propria strada nonostante tutto, incurante della mancanza di mezzi di trasporto, valigie, cappelli per proteggersi dal sole o dalla pioggia… le scarpe bastano e avanzano a chi viaggia davvero e non si lascia fermare.
Con Coco Disney Pixar porta dentro un film d’animazione, raccontando la morte con fare fiabesco
Il nocciolo di Coco, però, non è solo la musica – che certo è onnipresente in tutti i cartoni Disney – bensì la rappresentazione della morte, che si addentra tra le viscere del film creando un intero mondo popolato dai defunti, una specie di Isola che non c’è in cui l’esistenza scorre nelle rimembranze della vita; un mondo fatto di case e palazzi, ma anche di villaggi abbandonati per i poveri non di soldi (che nell’altro mondo non servono a nulla) ma di affetti. Per creare quell’habitat sfavillante la Disney Pixar ha raccolto a piene mani dalla tradizione messicana e in particolare da quello che è per loro il giorno più felice dell’anno, il Dia de los muertos, ricorrenza nella quale i defunti tornano nel mondo dei vivi per trovare amici e parenti, i quali li accolgono con ofrendas (ovvero i loro cibi preferiti), tempestando la strada di fiori color arancio, i cempasúchil.
Quest’ultimi acquistano particolare importanza all’interno della pellicola poiché fungono da ponte tra la vita e la morte, regalano luminosità alle scene e, cosa ancora più bella, ci fanno comprendere quanto i due mondi siano così vicini, talmente tanto da essere separati da un petalo e da essere attraversati da un ragazzino di 12 anni in cerca della propria occasione per gridare a tutti il suo amore per la musica.
Miguel infatti viene catapultato inavvertitamente nel mondo degli spiriti: eccitante si, ma anche molto pericoloso. Convinto che suo nonno sia il defunto Ernesto de la Cruz è intenzionato a incontrarlo per cambiare il suo destino ma, come si dice, non è tutto oro quello che luccica! Nel suo cammino il protagonista avrà modo di conoscere a fondo la sua famiglia e di mettere insieme i diversi pezzi di un puzzle fatto di bugie e parole non dette, amori mai assopiti e speranze che tentano di farsi largo.
Graficamente parlando questo Coco (il cui titolo, se ve lo state chiedendo, coincide col nome della bisnonna di Miguel) ha un po’ di Il Viaggio di Arlo e Inside Out pur risultando artisticamente più affascinante, con colori caldi e accesi che raggiungono l’acme nei suddetti petali di fiori andando però ancor prima a districarsi tra le rappresentazioni quadrettate in carta velina, nonché nella rappresentazione stessa degli scheletri.
Coco: l’amore tra padre e figlia e il desiderio di avverare i propri sogni racchiusi nell’emozionante colonna sonora
Non manca, nella pellicola, il riferimento alle personalità artistiche messicane, come l’amatissima Frida Kahlo e un posto d’onore è senz’altro occupato dalla colonna sonora composta da Michael Giacchino sulla quale melodia vanno a incastonarsi le canzoni scritte da Germaine Franco, Robert Lopez e Kristen Anderson-Lopez e interpretate in italiano da Michele Bravi che con il brano Ricordami vi farà semplicemente rabbrividire.
Per concludere la nostra riflessione su Coco non possiamo non scavare nella morale del film, anche se l’uso del singolare è in questo caso eufemistico. Tutto il film Pixar ruota infatti, come spesso accade nelle opere prodotte dalla casa di Topolino, sul raggiungimento dei propri sogni, sulla determinazione nel raggiungere il proprio obiettivo, ma proprio affianco a questa corsa per l’affermazione di sé scorre il fiume degli affetti e il coraggio della scelta (il successo o la famiglia?) oltre a una bellissima riflessione sull’arte che si spoglia magicamente della luce dei riflettori per divenire semplice mezzo di comunicazione privata, l’unico modo in cui l’artista (quello vero!) riesce a esprimersi senza sentire il bisogno di divulgare al mondo la propria canzone, poiché gli basta che la ricordi la sua bambina.
Così, con naturalezza, allegria e delicatezza, Coco segna nella storia dell’animazione e in quella della Disney Pixar un tassello emotivo ed esplicativo, un’ampolla romantica nella quale andare a meditare circa l’esistenza, i desideri e soprattutto la vita dopo la morte e quel nostro lascito meraviglioso e insondabile che è l’anima: unica vera eredità che possediamo.