Chiamami col tuo nome: la recensione del film di Luca Guadagnino

Dopo aver debuttato al Sundance Film Festival nel gennaio dello scorso anno, Chiamami col tuo nome arriva finalmente nelle sale italiane il prossimo 25 gennaio. Acclamato dalla critica estera, il film racconta del consumarsi della passione tra Elio e Oliver nell'arco di un'estate nella Lombardia degli anni Ottanta

“Is it better to speak or die?” (È forse meglio parlare o morire?) chiede la madre di Elio (Amira Casar) mentre a sua volta traduce da una traduzione in tedesco dell’Eptamerone di Margherita di Navarra, raccolta francese di novelle del XVI secolo. La domanda è una di quelle cui è difficile dare risposta. Non potrei mai porre una domanda del genere, commenta pensieroso Elio (Thimotée Chalamet) e così, il giorno dopo, nel tentativo di rompere lo stallo racconterà a Oliver (Armie Hammer) dei turbamenti del cavaliere e della bella principessa narrati in una delle novelle. E questa domanda è la stessa che informa Chiamami col tuo nome (Call me by your name, 2017), un film che si dipana in un altalenarsi di allusioni e non detto, di sguardi e momenti fugaci di intimità cercata o condivisa per caso.

Nell’arco di un’estate, Chiamami col tuo nome racconta di quell’amore che arriva per caso ma che si insinua con forza nelle pieghe della nostra vita. Di quell’amore egoista che esige attenzioni e talvolta dimentica il buon senso. Di quell’amore che ti travolge intorno ai vent’anni con l’impeto dell’inesperienza e la voglia di darsi senza riserve.

Chiamami col tuo nome: recensione del film

Chiamami col tuo nome, un racconto di formazione guidato dal desiderio

Tratto dal romanzo omonimo di André Aciman e sceneggiato da James Ivory, Luca Guadagnino aggiunge l’ultimo capitolo a quella che potrebbe essere definita come una “trilogia del desiderio”. Dopo Io sono l’amore (2009), che dipinge il dramma di una donna pronta a sacrificare la propria ricchezza per amore, e A Bigger Splash (2015), un thriller in cui desiderio, gelosia e seduzione portano alla rovina una tranquilla vacanza a Pantelleria, con Chiamami col tuo nome, Guadagnino confeziona un Bildungsroman su pellicola, in cui le più viscerali pulsioni sessuali giovanili fanno da propulsore all’intera vicenda. Come i due film precedenti raccontavano dell’attrazione inestinguibile tra due persone, così in questo assistiamo sia ai suoi prodromi che al suo effettivo consumarsi tra i lussureggianti paesaggi della Lombardia degli anni Ottanta.

Studente neolaureato in arrivo dall’America per un tirocinio con il padre di Elio, un docente universitario di archeologia (Michael Stuhlbarg), Oliver è sicuro di sé e del proprio fascino da adone. Al contrario, Elio, giovane ombroso e incredibilmente colto, ancora non si trova a suo agio nelle relazioni sentimentali preferendo la calma placida del suo rifugio sulle rive di un lago dove può divorare i suoi libri o il pianoforte con cui si destreggia in svariati manierismi. Ma l’attrazione tra i due diventa mano a mano sempre più manifesta tanto da chiamare una svolta necessaria per uscire dallo stallo.

Chiamami col tuo nome: recensione del film

Chiamami col tuo nome, o la parabola del primo amore

Film estremamente intimista ma anche dagli statici campi lunghi, Chiamami col tuo nome accorda i propri ritmi alle esigenze della storia narrata regalandoci primi piani che scavano nei volti dei suoi attori alla ricerca dei loro sentimenti più crudi insieme a stille fugaci dalla risonanza simbolica, come le biciclette appoggiate al muro l’una sull’altra, i costumi da bagno casualmente sparsi nel bagno condiviso, o la frutta matura che costella l’enorme terreno tutto intorno alla villa. Su tutto domina la straordinaria recitazione di tutti gli interpreti, in particolare quella di Chalamet in grado di conferire una certa sensualità immatura al corpo di Elio, il cui profilo e le cui forme flessuose sono enfaticamente assimilate a quelle delle statue ellenistiche studiate da Oliver, così tremendamente erotiche nella loro staticità.

Chiamami col tuo nome è un film che si appaga dello struggimento dell’attesa, dell’ansia di non essere ricambiati e di dover abbandonare l’infatuazione prima ancora che possa diventare amore. È un film che, all’amore che non osa pronunciare il suo nome, sostituisce quelli desiderati, ansimanti e sospirati di Elio e Oliver. Un film che, visto in un asettico cinema in Scozia, nel suo miscuglio linguistico di italiano, francese e inglese e nella rigogliosa natura lombarda, trasuda un’intimità e una nostalgia che ti prendono al cuore e ti accompagnano nella lenta e ardente parabola che è il primo amore.

Regia - 5
Sceneggiatura - 4.5
Fotografia - 4.5
Recitazione - 5
Sonoro - 4.5
Emozione - 5

4.8