L’evoluzione del ruolo della donna nel cinema: da Marlene Dietrich a Frances McDormand
Come eravamo e verso quale direzione stiamo andando? Un affresco di come si è evoluto il ruolo della donna all'interno della settimana arte dagli anni '30 ai nostri giorni.
Il ruolo della donna nel cinema è sempre in continua evoluzione. La settima arte non ha sempre conferito ai ruoli femminili la giusta identità, ma spesso restituendone l’immagine costruita dagli uomini, deviata ed edificata dal tempo e dalla storia. In occasione della Giornata Internazionale della Donna, noi rendiamo omaggio alla figura della donna con una selezione di film e di attrici che ripercorrono l’evoluzione del ruolo donna nel cinema, attraverso interpretazioni coraggiose che sono riuscite a cambiare la percezione del mondo femminile nella società. L’evoluzione che tratteremo si esprime in un arco temporale che va dagli anni ’30 fino ai giorni nostri, attraversando personaggi femminili ed epoche storiche diverse, selezionando pellicole dalle più celebri alle meno conosciute.
Il mondo femminile ha fin da subito trovato un proprio spazio e un proprio respiro all’interno del cinema, ma la donna, soprattutto sul nascere della settima arte, non viveva di una particolare libertà nei film. La sua unica prospettiva caratteriale era l’amore, l’unico fine a cui poteva adempiere. Per quanto potesse assumere la centralità di una pellicola, il suo personaggio era inesorabilmente legato e intrecciato a quello dell’uomo, quindi sempre subalterno e vincolato. E mentre una donna era soggiogata dalla passione in modo passivo, parallelamente il cinema mostrava un altro lato dell’essere donna, il suo esatto opposto.
Le Donne e il cinema: quando l’unica prospettiva filmica era l’amore
Ciò che emergeva era una realtà femminile divisa in due figure, una donna nel cinema che era sia prostituta, fatale, amante… che donna vergine, madonna, angelo del focolare. A questo primo aspetto appartengono pellicole come Aurora, Il Vaso di Pandora e The Wonderful Lies of Nina Petrovna. Donne senza nome, donne nate per disturbare, per perturbare, donne che si sacrificano per amore o che seducono in modo sfrenato, come nel capolavoro di Pabst: Louise Brooks ha un fascino irresistibile, che attrae uomini e donne, infatti il regista austriaco è stato uno dei primi a mostrare sullo schermo l’attrazione tra due donne (assieme a Ragazze in uniforme, considerato il primo film saffico della storia cinematografica mondiale).
In un secondo periodo, l’evoluzione del ruolo della donna nel cinema è caratterizzata dalla nascita delle flapper girl, primo timido effetto dell’emancipazione femminile, come appare nei film The Women, Volto di donna e Il romanzo di Mildred. Questo cambiamento si evince nella raffigurazione di una donna con meno ostacoli o restrizioni, che si divincola da una sudditanza maschile, per riappropriarsi di una sicurezza, di una libertà fisica e di uno spazio in cui determinarsi. Questa indipendenza porta la donna nel cinema ad affacciarsi nel mondo del lavoro, che dopo il crollo economico diventa necessario e significativo per le industrie. La donna nel cinema è posseduta da un forte desiderio di autoaffermazione, con un’idea ben precisa dello spazio in cui desidera vivere, che non è più il focolare domestico, la donna non è più la sposa e madre felice, cosa che si può ben osservare nel film L’angelo bianco.
L’evoluzione della donna nel cinema: Marlene Dietrich e il divismo di femme fatale
Gli anni trenta però furono adombrati dal Codice Hays e dal 1934 una commissione specificò cosa fosse o non fosse moralmente accettabile nella realizzazione di un film. Grazie al censore Joe Breen, le donne furono relegate nuovamente, cinematograficamente parlando, nei ruoli di madri e mogli fedeli, nel loro focolare e vivendo nuovamente in subordinazione rispetto ai personaggi maschili. Nonostante ciò non mancarono i trasgressori, che con maestria riuscirono ad aggirare le dure restrizioni dello studio system, come John Ford, Orson Welles, Alfred Hitchcock e Josef von Sternberg. Quest’ultimo fu colui che rese immortale Marlene Dietrich, una diva che assunse le sembianze di femme fatale. Il fascino e la bellezza che interpretò la Dietrich sono ineguagliabili, e ciò che va sottolineato è che la donna da lei incarnata riceve lo sguardo dello spettatore senza portare alcuna colpa, senza inibizione, è un nuovo modello femminile forse monodimensionale ma intramontabile, che attraversa la storia del cinema con film come Marocco, L’angelo azzurro, L’imperatrice Caterina e Venere Bionda.
Rita Hayworth e Bette Davis: dark lady intramontabili
Molto affine alla figura della femme fatale è quella della dark lady, appartenente al genere noir, colei che viene raffigurata è una donna maliziosa ma apparentemente angelica, che cela la propria vera natura, come ne Il mistero del falco o La donna del ritratto. Anche nel film La fiamma del peccato Barbara Stanwyck incede mostrandosi con sensualità, soggiogando con il proprio fascino l’uomo per i propri scopi. Un altro esempio di dark lady spregiudicata e letale appare nel film Femmina folle, un un noir-thriller determinato da un personaggio femminile negativo e mentalmente instabile.
Impossibile non citare Rita Hayworth per le interpretazioni di Gilda e La signora di Shanghai, che assume la forma della dark lady infedele, provocatrice, una donna che ricerca la sua libertà tentando di scollarsi di dosso il modello di peccatrice e di femme fatale imposto dalla società e della sguardo distorto dell’universo maschile. Un’attrice che ha saputo imporsi attraverso interpretazioni variegate, grazie anche ad una carriera ampia e duratura è Bette Davis. I suoi personaggi femminili hanno rinvigorito la concezione della donna negli anni ’30-’40, portando sullo schermo donne emancipate, come in Perdutamente tua, o contraddittori, infidi ed epocali come in Eva contro Eva o attraverso personaggi fatali, come in un film che l’ha consacrata ovvero Schiavo d’amore, la cui maschera di incantatrice condizionò la sua carriera negli anni a venire.
Durante il fascismo cambia il ruolo della donna nei film
Non si può certo dimenticare quanto l’avvento del fascismo, in Italia, cambiò l’evoluzione della concezione della donna. Il fascino e la sensualità delle dive sembrarono scomparire, l’idea limitante e plumbea era restituire alle donne le virtù di un tempo, l’essere donna e madre, configurata nel suo microcosmo familiare. Ma se l’Italia era oscurata, sia dentro che fuori il mondo filmico, dall’ombra del fascismo, nel 1939 in America veniva realizzata una pellicola destinata ad essere ricordata per sempre, assieme al suo personaggio principale: Via col vento. La protagonista è Scarlett O’Hara, o Rossella nella versione italiana, una donna nel cinema che ribalta ogni valore e ogni appartenenza ad un genere preciso, non è una dark lady, non è una femme fatale, anzi è un anti eroina. La sua preoccupazione è di apparire come voleva la società del tempo, è superficiale, arrivista ed egoista, ma che sa cambiare, sa affrontare le difficoltà e Vivien Leigh ne incarna le mille sfaccettature in modo sublime, portando questo personaggio e la sua interprete nell’Olimpo del cinema mondiale di tutti i tempi.
In seguito nel 1939 Lubitsch diresse una delle sue commedie più celebri, ovvero Ninotchka, interpretata da Greta Garbo, che ci teniamo a ricordare non solo per il dualismo che appartiene al carattere della protagonista, ma perché l’opera è determinata da un’anticomunismo configurato come un pretesto, infatti la protagonista rinuncia a se stessa e ai suoi ideali in virtù dell’amore per Leon d’Algout. Durante gli anni post bellici la cinematografia mondiale fu molto prolifica e l’avanzare di nuove tecnologie come il CinemaScope, spinse le produzioni di tutto il mondo alla realizzazione di pellicole d’avanguardia, che abbracciavano ogni genere, dal western alla commedia.
La donna nel cinema italiano: da Anna Magnani a Claudia Cardinale
Un film che ha tracciato l’inizio e in un certo senso la fine di un’era fu Viale del tramonto. Norma Desmond (Gloria Swanson) è una donna, un’attrice che apparteneva al cinema muto, un personaggio fuori da ogni tempo, maestoso e spaventoso, che si declinava dolcemente verso la fine, la fine del sogno americano. I personaggi femminili degli anni ’50 hanno tracciato un percorso atipico ed eclettico che ha saputo dominare sul cinema in avvenire, che a volte ha urtato contro se stesso, poiché le donne appartenenti a questo tempo si sono consolidate e specchiate nelle interpretazioni tanto di Anna Magnani in Bellissima, quanto di Joan Crawford in Johnny Guitar, o di Sophia Loren e Marilyn Monroe. Anna Magnani è una delle poche donne della cinematografia mondiale a non voler corrispondere ai canoni di bellezza esplicitati dalle produzioni o dalle mode del tempo, ed è per questo che le sue interpretazioni sono il simbolo di una femminilità che combatte gli stereotipi femminili, che rappresenta sé stessa e la propria arte senza condizionamenti o archetipi prestabili o introdotti.
Il concetto femminile torna nel suo ruolo esibizionista ed erotico
Ma purtroppo gli anni ’50 sono stati percorsi da un vero e proprio ribaltamento del gusto estetico, aderente a simboli femminili figli di concorsi di bellezza e nuovi canoni in divenire. Il concetto femminile torna nel suo ruolo esibizionista, ipersessuale, erotico e in modo da essere oggettualizzato dallo sguardo dello spettatore. Parallelamente un altro modo di raffigurare l’universo femminile si fa strada nel cinema, ovvero la figura della prostituta. Un tema non di certo nuovo ma che ha trovato spazio e un posto rilevante nella settima arte attraverso interpretazioni che si sono riuscite a distinguere: a partire dai più riusciti come Giulietta Masina (Le notti di Cabiria), Silvana Mangano (La grande guerra), Audrey Hepburn (Colazione da Tiffany), Anna Magnani (Mamma Roma), Sophia Loren (Matrimonio all’italiana), Catherine Deneuve (Bella di giorno), Claudia Cardinale (C’era una volta il West).
I ruoli femminili che si sono susseguiti nei primi anni ’60 hanno fatto ritorno ad una particolarità dell’essere femminile, archetipica, dissoluta e sensuale, a volte abbracciando le concezioni di donna-bambina che si concede alle attenzioni dell’uomo, come per esempio per la ninfa Lolita portata al cinema da Kubrick, in cui il divismo del corpo attraversa una età precoce e acerba della femminilità, che in parte si può trovare anche in Che fine ha fatto Baby Jane? in cui il regista mostra l’ambivalenza dei suoi personaggi, raccontando il rapporto tra due sorelle ex-dive, in cui la verità viene camuffata e si tende ad invertire i ruoli di vittima e carnefice. Mentre senza dubbio un ruolo che ha determinato per sempre la concezione della donna nel cinema, questa volta madre e seduttrice fu nel film Il laureato, in cui Anne Bancroft, la donna matura che seduce il giovane laureato, incarna una donna consapevole di ciò che fa, portando sullo schermo un tema e un’immagine molto trasgressivi per l’epoca.
I ruoli femminili nel cinema: la donna è guerriera
Negli ultimi tempi la figura femminile è sempre più stata accostata a quella della guerriera, che andò inizialmente a colmare l’idealizzazione delle qualità maschili, ma che poi ha assorbito i propri caratteri per poter affermare e dare lezioni non solo di uguaglianza, ma anche di diversità rispetto ad uno stereotipo femminile spesso limitato all’idea di donna da salvare. Donne come Leila in Star Wars, o la Ellen Ripley di Alien, e più recentemente la Beatrix Kiddo di Uma Thurman, ma anche la Sarah Connor di Terminator o Margaret Fitzgerald di Million Dollar Baby.
Nel cinema contemporaneo non si può parlare di avanguardia o di evoluzione del ruolo della donna senza citare Thelma e Louise, cult di Ridley Scott con Geena Davis e Susan Sarandon in fuga dagli uomini e dalla propria vita. Thelma e Louise sono due donne che danno via tutto per riappropriarsi della loro vita, Ridley Scott firma la favola moderna di due valchirie che combattono la loro battaglia con il resto del mondo, una realtà che le voleva vittime e incapaci di rischiare il tutto per tutto per la propria libertà. Tematiche molto simili verranno poi affrontate in altri film epocali come Boys Don’t Cry, Eric Brockovich o The Hours, ognuno a suo modo porta avanti una battaglia interiore attraverso il corpo e ciò che attraversa la vita di una donna, dal punto di vista sessuale, lavorativo, materno come rivalutazione del proprio ruolo. Sono donne intelligenti, complesse, i cui ruoli subiscono il tempo in cui esplodono, in cui la sessualità femminile era una caratteristica da tenere celata, che la società si rifiutava di accettare.
Il ruolo della donna nel cinema è una figura in continua evoluzione
Nel nuovo millennio la donna comincia ad essere rappresentata in modi molto diversi al cinema, attraverso sempre più frequenti storie di maternità, o rappresentazioni di donne crudeli, femminilità negate, madri eroiche, che cercando di sopravvivere in un mondo anestetizzato all’essere uomo, spesso con l’obbligo di comportarsi come loro, dando spazio ad un annientamento del proprio carattere o modo di essere in virtù di un sacrificio più alto. Ciò accade in pellicole come Volver, Due giorni, una notte, La Pazza Gioia e il recentissimo Tre manifesti a Ebbing, Missouri, film di donne sbagliate, guerriere, in cui l’esibizione del corpo femminile non rappresenta la propria subordinazione ma il luogo del suo riscatto.
Ad esempio per Almodòvar, le donne sono una risorsa della società, sono personaggi fieri, indipendenti, sanno trovare soluzioni pratiche, attraverso il dialogo, in un mondo matriarcale che vive delle loro alleanze e dei loro dissapori. In Tre manifesti a Ebbing, Missouri la donna non è mai convenzionale, è una donna difficile, forse irrealizzata, spigolosa e disincantata ma che è bella, senza maschere, senza inganno e non ha paura di combattere contro il mondo intero.
In conclusione, dopo alcune considerazioni, una cosa si può dire, ovvero che il tempo e l’epoca storica è riuscita sempre a determinare in modo particolare la concezione e la percezione del ruolo femminile nell’arte e soprattutto nel cinema. Il ruolo della donna e la donna in termini assoluti sono figure in continua evoluzione, il cui cambiamento è conferito sia dalle spettatrici e dagli spettatori, ma anche dalle produzioni e dalle registe, che con il loro occhio libero e anticonformista possono spingere un’intera società a mettersi in discussione, attraverso i ruoli interpretati dalle donne, che sono il termometro di una società che ne misura la temperatura sociale, simbolo dell’emancipazione di un paese e del benessere di uno stato, i cui ruoli e la cui libertà devono essere ogni giorno intensificate e insegnate.