Vikings – Stagione 5: recensione di metà stagione
La quinta stagione della serie è divisa in due parti ben distinte: ecco la recensione dei primi dieci episodi di Vikings 5.
Chi avrebbe mai immaginato nel marzo del 2013 che Vikings avrebbe potuto reggere la concorrenza delle serie di maggior successo come Game of Thrones, House of Cards, Black Mirror o The Walking Dead? Eppure la serie prodotta da History Channel è riuscita non solo a sopravvivere, ma anche a guadagnarsi un posto di assoluto prestigio, tanto che questa stagione, questa Vikings 5, sarà divisa in ben due diversi segmenti. Noi di Cinematographe.it ci apprestiamo qui a tirare le somme su ciò che abbiamo visto nei primi dieci episodi che costituiscono la prima parte di questa quinta stagione, con le successive dieci puntate che verranno mandate in onda probabilmente nell’autunno di quest’anno.
La quinta stagione di Vikings è divisa in due parti ben distinte: ecco il nostro resoconto della prima
Questa Vikings 5 riparte da dove ci eravamo lasciati, con i figli di Ragnar che avevano vendicato in modo terribile la sua morte, sottoponendo Re Aelle ad una fine orrenda e conquistando vasti territori dell’odierno nord dell’Inghilterra. Inoltre guidati da Bjorn, i norreni avevano invaso anche il Wessex e catturato Re Ecbert, al quale avevano però concesso l’onore del suicidio dopo che questi aveva ceduto con un trattato il suo regno agli invasori. Tuttavia la gioia per il trionfo era stata di breve durata, viste le divergenze d’opinione dei fratelli su cosa fare dopo tanta gloria acquisita sul campo di battaglia. Ivar, sbeffeggiato e umiliato in pubblico da Sigurd mentre cercava di convincerli a continuare l’opera di conquista, era arrivato ad uccidere il fratello tra lo sbigottimento generale. A Kattegat intanto, Lagertha aveva dovuto affrontare non solo il tentativo di regolare i conti da parte di Ivar, ma sopratutto un attacco in forze condotto dal Conte Egil, su mandato di Re Harald. Gli invasori erano stati sconfitti, Egil catturato, ma appariva chiaro che la morte di Ragnar aveva lasciato un pericoloso vuoto di potere, il tutto mentre si profilava all’orizzonte un nuovo nemico in terra inglese: il Vescovo-guerriero Heahmund.
Lo vogliamo anticipare, Vikings 5 è attraversata da una grande potenza, da bellezza e idee ispirate, ma convive con difetti tutt’altro che secondari, ed in generale ha forse sofferto la presenza di un numero incredibilmente alto di personaggi a cui dare profondità rispetto alle serie precedenti, il che ha generato uno script sovente fumoso, discontinuo, monco, che spesso promette ma non mantiene. Un esempio? Beh, basti pensare al viaggio di Bjorn e Halfdan in Sicilia e nel Mediterraneo, che tanto poteva donare alla stagione ma che si è invece rivelato alquanto deludente e banale. Non meglio è andata poi tra le mura di Kattegat, nonostante un incipit che suggeriva uno scontro tra Harald e Lagertha capace di creare qualcosa di unico, tutto invece si è risolto con un semplice ripiego dell’istrionico condottiero doppiogiochista verso altri obiettivi ed altri personaggi. Harald rimane un personaggio però ben strutturato e ben interpretato da Peter Franzén, con il quale gli spettatori hanno sovente un rapporto di amore-odio.
Leggi qui la recensione dell’episodio 5×01 di Vikings
Ed il vescovo Heahmund? Dopo il finale di stagione di Vikings 4, tutto ci aspettavamo tranne che il personaggio interpretato da Jonathan Rhys Meyers si rivelasse una brutta copia di quell’Athelstan che ancora oggi è indicato dai fan come il personaggio più rimpianto, perfetto nel donarci l’immagine di un uomo in perenne mutamento e senza certezze. Heahmund fa fatica ad emergere, se non nelle scene di battaglia, ma rimane il mistero del perché chiamare una star del calibro di Meyers per fargli interpretare un personaggio così poco interessante, e sopratutto poco coerente, i cui cambiamenti e le cui metamorfosi continue confondono e rendono indefinito un personaggio, che poteva e doveva essere sfruttato meglio. Il suo tribolarsi attorno ai sensi di colpa e al concetto di peccato alla lunga stanca e lo rende troppo sopra le righe, quanto inspiegabilmente sotto le righe nel resto della stagione.
Aethelwulf, il figlio di Re Ecbert, non subisce grandi evoluzioni, rimanendo di base uno dei protagonisti meno carismatici, al contrario di un Halfdan il Nero che sovente incarna in modo perfetto il lato più sottovalutato dell’epopea dei vichinghi: quella della curiosità, della scoperta di altri mondi e altri orizzonti, del non volere e sapere mai fermarsi, ma piuttosto il cercare un significato nel prossimo orizzonte da superare. Del resto stiamo parlando di uomini capaci di arrivare nel Nord-America secoli prima degli scopritori ufficiali. La sceneggiatura dicevamo, è sovente il tallone d’Achille di una serie che si nutre però di una regia, una scenografia e un montaggio sempre azzeccati, che riescono comunque a bypassare i difetti e a far emergere in modo preponderante i pregi, i lati forti di Vikings 5, primo tra tutti lui, il protagonista, il personaggio più intenso e interessante: Ivar Senz’ossa.
Spietato, astuto, senza scrupoli, imperscrutabile, sprezzante, domina questa quinta stagione dal primo minuto all’ultimo, grazie ad una performance di Alex Høgh Andersen a dir poco strabiliante, che di stagione in stagione ha saputo calarsi nel personaggio in modo assolutamente unico. Senza mai cadere nel tranello di renderlo ripetitivo o troppo legato ad uno stile sopra le righe, il giovane attore danese in Vikings 5 mostra al pubblico cosa voglia dire sapere cosa si vuole, come ottenerlo e quanto comandare sia il destino di uomini solitari che sovente si sentono in credito con la vita. Feroce nel suo desiderare e ottenere il potere, praticamente privo di empatia o affetti, vive solo per vendicarsi, per elevarsi al di sopra di una deformità che è stata allo stesso tempo benedizione e maledizione per colui il quale rimane (a conti fatti) forse l’unico vero erede di Ragnar. Gli altri due fratelli infatti non sono trascurati quanto semplicemente mostrati per ciò che sono: privi di quella scintilla che Ragnar aveva e che solo il loro deforme fratello ha nell’anima.
L’altro grande protagonista di Vikings 5 rimane Floki, legato ad un destino sempre più solitario, sempre meno connesso ad un certo umorismo un po’ folle che talvolta lo faceva quasi assomigliare ad una sorta di Joker dei secoli bui.
Senza più alcuno da amare, schiacciato dalla perdita di Ragnar, della moglie, viene diretto dall’iter narrativo a impersonare ciò che probabilmente si nascondeva dietro le tante peregrinazioni del passato (così come del presente): la volontà di ricominciare da capo. Per trovare una terra promessa, un mondo diverso, oppure per cercare una risposta, una soluzione al perché dei suoi fallimenti, al perché il Floki di una volta non esiste più. Gustaf Caspar Orm Skarsgård fa del suo strano eremita, creatore di una colonia sui generis, probabilmente l’unico che sia davvero dentro il cuore di Ivar. Come lui infatti è condannato ad essere sostanzialmente non compreso, non capito, solo, ma mentre nel figlio di Ragnar ciò genera una tremenda determinazione e cupidigia esistenziale, in Floki l’effetto è quello di spingerlo verso una religiosità, un misticismo tanto ferventi quanto slegati dalla realtà che lo circonda.
E le donne? Lagertha è parsa indirizzata in questa quinta stagione verso un percorso che l’ha portata a conoscere la fredda paura dell’avvenire, a mantenere ciò che ha, a cercare di mantenere la pace più che creare una guerra, a comprendere meglio una profezia di disgrazia e morte che grava sulla sua testa. Il finale (SPOILER) ce la mostra distrutta, a pezzi, non solo per una sconfitta che di fatto segna la fine del suo potere, ma anche per il prezzo in termini di affetti personali che ha dovuto pagare, alla visione di un duro lavoro durato anni e condiviso per diverso tempo con Ragnar andato in fumo.
La Regina Judith appare invece un personaggio enormemente cresciuto, non certamente una guerriera indomita come Lagertha (uno dei personaggi femminili migliori visti nell’ultimo decennio), ma non più la povera vittima o semplice donna contesa tra uomini di potere volubili ed egocentrici. Gli sceneggiatori hanno cercato di dare risalto anche a Astrid, Margrethe e Torvi; Astrid in particolare è stata al centro di un’odissea sentimentale e personale tanto complicata quanto inconcludente ai fini della trama.
Alla fin fine si spera che la seconda parte di Vikings 5 sia animata da una maggior cura a livello di sceneggiatura, di scene e dialoghi, perché l’impressione (abbastanza forte) è che la fine di alcuni personaggi, così come l’emergere di altri, siano stati condizionati dal voler mettere troppa carne al fuoco, troppo in fretta e con troppe manie di grandezza. Tuttavia non ci sentiamo di dare un voto troppo severo ad una prima parte della quinta stagione di Vikings che porta comunque sullo schermo battaglie sanguinolente, momenti di grande poesia e una grande energia, solo si spera di avere più continuità e coerenza. Intanto i fan possono tranquillamente esultare per l’annuncio di una sesta stagione per il 2019.