The Silent Man: recensione del film di Peter Landesman
Nonostante una sceneggiatura fiacca e petulante, The Silent Man non solo racconta la storia di Mark Felt, l'uomo dietro l'alias di Gola Profonda, ma eleva la sua figura a eroe in un'epica contemporanea.
Conoscere la storia attraverso il cinema può essere un’esperienza esaltante, oltre che divertente, in particolar modo quando, film dopo film, un intero periodo storico si dipana completamente davanti ai tuoi occhi permettendoti di avere una visione complessiva di fatti ancora decisamente complessi e oscuri come quelli che scossero gli Stati Uniti durante la Presidenza Nixon. The Silent Man, di Peter Landesman (Parkland, Zona d’Ombra), potrebbe infatti contribuire a comporre un’ideale trilogia insieme a The Post, il film di Steven Spielberg candidato agli ultimi Premi Oscar che racconta la vicenda dei Pentagon Papers e, soprattutto, a Tutti Gli Uomini Del Presidente, il classico di Alan J. Pakula che mise in scena lo scandalo Watergate. Un trittico che, con sorprendente coerenza, sembra voler mettere in guardia, ora più che mai, sulla deriva autoritaria del potere presidenziale e chiarire ancora una volta un punto fondamentale: l’innocenza non fa parte del mondo della politica.
The Silent Man: un biopic fiacco nonostante l’eccellente protagonista
Liam Neeson, come aveva annunciato in occasione dell’uscita del film L’Uomo sul Treno, ha effettivamente abbandonato il cinema d’azione e sembra aver inaugurato con The Silent Man una nuova fase della sua carriera, che si preanuncia non meno ricca di successo. In quest’opera presta il suo volto a Mark Felt, vicedirettore dell’FBI e vera identità di Gola Profonda, l’informatore che fornì al Washington Post le notizie necessarie per rivelare al pubblico i crimini di cui si erano macchiati l’agenzia e la Casa Bianca e che Nixon aveva cercato di insabbiare. In questo nuovo ruolo, Neeson dimostra ancora una volta il suo talento nel calarsi completamente nei panni di un personaggio tormentato e diviso tra la sua indole personale e le aspettative che il suo ruolo gli impone di rispettare. Mark Felt è presentato fin da subito e con un’insistenza forse eccessiva, come un uomo probo, onesto e affidabile che si trova, suo malgrado, ad affrontare una situazione in cui le sue virtù diventano, paradossalmente, un ostacolo alla rivelazione della verità. Il cuore di The Silent Man, in definitiva, è tutto qui: nel dilemma di un uomo onesto costretto a misurarsi contro un sistema di potere corrotto che conta sulla sua fedeltà per portare avanti le proprie macchinazioni, e nella scelta di Felt di andare contro tutto ciò in cui ha sempre creduto in nome di un bene più grande, una decisione sofferta e vissuta come un tradimento non solo verso lo Stato ma anche verso sé stesso.
Per questo motivo, The Silent Man è un film completamente incentrato sul suo protagonista, subordinando l’azione all’analisi introspettiva e privilegiando il suo punto di vista sopra tutti gli altri. Tuttavia, se da una parte il personaggio e l’attore scelto funzionano perfettamente, il resto del film dimostra evidenti problemi, a cominciare dalla sceneggiatura. Il copione di The Silent Man, scritto dallo stesso Peter Landesman, non riesce a imprimere alcun autentico ritmo alla storia, nonostante il contributo di una regia adeguata alla situazione e un buon montaggio. La trama si sviluppa pesantemente, senza fluidità e con dialoghi spesso troppo espositivi, che preferiscono raccontare gli eventi piuttosto che metterli in scena.
Un altro problema nella scrittura del film risiede nella scelta di far convivere due trame principali, quella dedicata allo scandalo Watergate e un’altra incentrata sulla ricerca da parte di Felt della figlia Joan, fuggita da casa e rifugiatasi in una comune hippie. Sebbene l’inserimento dell’elemento Joan ci permetta di comprendere più a fondo il personaggio di Mark Felt, lo sviluppo della trama a lei dedicata risulta decisamente frammentario e discontinuo, quasi una serie di intermezzi per spezzare la trama principale. A questo si aggiunge la marginalizzazione del personaggio di Audrey Felt (Diane Lane, Justice League, L’Ultima Parola – La Vera Storia di Dalton Trumbo), che si ritaglia uno spazio solo all’interno di questi brevi frammenti di sceneggiatura ma senza mai ricoprire un ruolo realmente decisivo.
The Silent Man: l’epica contemporanea dell’uomo integro contro il potere
L’assenza di un vero ritmo fiacca così una storia altrimenti molto interessante che, sebbene non racconti nulla di nuovo sul piano dei fatti storici, ha tuttavia il merito di riconoscere il valore di una figura storica fondamentale per gli Stati Uniti, messi di fronte per la prima volta alla degenerazione della loro democrazia da una figura avvolta nell’ombra che sembra uscita più dalle teorie di un complottista che dalle pagine della storia. The Silent Man è un film che non riesce a trovare una storia da raccontare in mezzo ai fatti che riporta, limitandosi quindi a un’impacciata, per quanto elegante, cronaca degli avvenimenti, privati però di quell’anima che avrebbe permesso loro di pulsare e parlare allo spettatore come hanno invece fatto i film di Pakula e Spielberg.
Lo stile particolare della regia, più che la sceneggiatura, sicuramente molto convenzionale, permettono di ampliare il significato di The Silent Man ben oltre il suo intento biografico: si tratta infatti di un tentativo di portare il racconto epico tra le strade del mondo contemporaneo. Fin dalle sue prime inquadrature, prima che il copione disattendesse qualsiasi aspettativa, il film di Landesman si presenta come un’opera fortemente epica grazie alla scelta delle immagini e al contrasto che generano. Sotto una colonna sonora incalzante e cupa, vediamo prima Felt prepararsi seguendo la sua routine mattutina, immerso nella stessa fotografia gelida che lo accompagnerà in tutte le scene ambientate nelle stanze dell’FBI, per poi proseguire con una lunga sequenza di immagini incentrate sui monumenti storici e i luoghi di Washington in cui è concentrato il potere presidenziale. Fin dall’inizio, quindi, si pongono le basi per una battaglia senza esclusioni di colpi tra due schieramenti opposti ma impari: da un lato l’establishment presidenziale, dall’altro Mark Felt, un uomo che intraprende una solitaria crociata contro quello stesso potere che ha servito e contribuito a consolidare per tanti anni.
Una scelta che accomuna il film alla grande epopea eroica tanto cara al cinema statunitense, che trova ora, con la crisi del sistema politico cui stiamo assistendo e la progressiva sfiducia nei confronti della figura del Presidente, una nuova linfa e nuovo materiale narrativo con cui costruire una versione moderna del viaggio dell’eroe. Se gli Stati Uniti finiscono per raccontare sempre sé stessi, nascosti sotto le metafore più o meno velate del proprio cinema, con The Silent Man le sovrastrutture simboliche vengono meno, e il racconto eroico affronta esplicitamente il suo bersaglio reale, pericoloso e infido come un’idra dalle infinite teste che rende ancora più importante lo scontro ideologico tra l’eroe e il villain e più ampia la portata del sacrificio di Felt, che arriva a rinunciare alla sua libertà per portare alla luce tutti i crimini compiuti dall’FBI e dalla Casa Bianca.
Alla fine, anche contro i soprusi della sua stessa classe dirigenziale, l’eroe è sempre l’America.
The Silent Man sarà nelle sale il 12 Aprile 2018 con Bim Distribuzione.