Icaros: A Vision – recensione del film di Leonor Caraballo

Icaros: A Vision è un'opera totalizzante che riempie di senso, spinge e sospinge come un fiume carsico, è un film complesso, filosofico... Il film è nelle sale dal 12 aprile 2018.

Il rumore della natura (le “parole” delle piante, la voce degli animali). La malattia (devastante e maligna) e la paura (coraggiosa e battagliera). Visioni colorate e luminose che invadono gli occhi e lo spirito e chetano. Intorno a questo nucleo ruota e si costruisce Icaros: A Vision (presentato al Tribeca Film Festival del 2016 dopo aver partecipato al Milano Industry Days del 2015), il film dell’argentina Leonor Caraballo – malata lei stessa di tumore e morta prima di vedere l’opera finita – e dell’italo-uruguaiano Matteo Norzi.

Angelina (Ana Cecilia Stieglitz) è una giovane donna malata, intrisa e pervasa da un devastante tumore che la spinge a fare un viaggio disperato in Amazzonia, alla ricerca di un miracolo. Un miracolo che prende le forme dell’Anaconda cosmica, un centro terapeutico in cui trovano rifugio e cure persone affetta da varie malattie o problematiche, e il nome di Ayahuasca, infuso psichedelico che provoca allucinazioni, chiamato anche “la liana del morto” per il sostegno che offre a chi ne fa uso.

Icaros: A Vision – il racconto di una rinascita

Angelina, spaesata e turbata dalla notizia del male che si è impossessato di lei, lontana dalle vertigini del quotidiano, si lascia cullare nel mondo sciamanico – elemento liquido e amniotico di cui e in cui si immerge il film, infatti il termine Icaros, contenuto nel titolo, è il canto ipnotico e performativo degli sciamani – che la accoglie, la soccorre e sostiene, si lascia trasportare dall’infuso allucinogeno che la porta oltre le percezioni umane a lei sconosciute fino ad ora. Partecipa, abbandonate le urgenze della civiltà, con tutta se stessa a questo percorso spirituale, annega nella foresta peruviana che celebra le proprie meraviglie e fa sperare in visioni prodigiose. Quella di Angelina non è una battaglia, non c’è nessun miracolo da cui restare affascinati, ma qualcosa di più profondo e unico, è sentire la voce muta di se stessi, della natura e quindi divenire tutt’uno con il cosmo. Icaros: A vision mostra una donna che, a poco a poco, si denuda del superfluo, abbandona gli schemi, i ruoli, le categorie su cui ha costruito la sua esistenza e, ciò che di lei rimane, è l’io essenziale. La paura – “susto” per i peruviani – si stempera in una calda accettazione, Angelina partecipa all’armonia dell’universo, spinta dal vento che muove i rami degli alberi, scaldata da quella terra calda, salvifica e rigenerante e la donna diventa parte di quel tutto che le sta attorno.

Icaros: A Vision – le visioni di un cinema vitale, curativo e cerebrale

Icaros: A Vision cinematographe

Da una parte Icaros: A Vision si muove come un documentario, asciutto, essenziale, “mostrativo” e quasi divulgativo – basti pensare che parte del cast è costituito da appartenenti alla tribù Shipibo che appunto raccontano se stessi, la propria tradizione, la propria medicina -, dall’altra parte l’opera respira come racconto illusionistico, ipnotico, diventando narrazione unica e “contorta” e quasi anti-narrazione, figlia dell’infuso allucinogeno di cui Angelina “si ciba”. Nel titolo c’è questo doppio filone, in Icaros si può leggere il racconto di un mondo, quello degli sciamani, dei loro canti e della loro cultura terrigna e spirituale, naturistica e di condivisione, in quel A Vision invece c’è tutta la folgorazione luminosa e colorata che accompagna i protagonisti sotto l’effetto dell’Ayahuasca. Occhi iridescenti nella notte, pietre luminose (create con semplici effetti speciali), animazioni in 2D, immagini sintetizzate e fotogrammi proiettati nell’acqua diventano album immaginifico per vivere altro e vivere oltre, aiuti per anime e corpi profondamente malati che vengono così accarezzati, abbracciati.

Icaros: A Vision – un viaggio in cui l’amicizia aiuta a sopravvivere

Icaros: A Vision cinematographeIcaros insegna anche che non si sopravvive da soli, chiusi in un eremo solitario, ma si deve stare nel mondo, partecipare alla vita e alla disperazione degli altri per poi risollevarsi. Infatti Angelina crea un forte legame con Arturo (Arturo Izquierdo), un apprendista sciamano che scopre di essere affetto da una malattia degenerativa degli occhi e che diventa il suo sciamano. Nell’incontro tra i due, uniti da un destino doloroso, anche se diverso, lo spettatore partecipa ad un viaggio, che va di pari passo, di scoperta, di accettazione e di superamento, viaggio che si esplica anche in una corrispondenza narrativa. Lei è una malata terminale, tesa alla ricerca disperata di non si sa bene cosa (pace, cura, affetto e partecipazione) e, come lei, anche Arturo è malato e spaventato: prima tutto preso dal negare ciò che vede, dal dimenticare quel mondo crepato che i suoi occhi registrano e quei colori falsati che non si cancellano mai; l’esistenza di Angelina però coincide e si collega a quella dell’Amazzonia spesso usata e abusata.

Arturo diventa compagno di strada di Angelina e insieme intraprendono un percorso allucinatorio di disarmante accoglienza e attesa, di calmo fatalismo e di bulimico desiderio di farsi invadere dall’istante. Arturo, vince la paura (della malattia, del dolore, della morte) di Angelina ma anche la sua stessa e così possono incamminarsi per l’ultimo viaggio lontani ma insieme, verso il buio, inteso in modo diverso, per l’uno e per l’altra.

Icaros: A Vision è un’opera totalizzante che riempie di senso, spinge e sospinge come un fiume carsico, è un film complesso, filosofico quasi ma inesorabile nella sua lentezza alla maniera di una nenia confortante e spirituale.

Icaros: A Vision è in uscita nelle sale italiane il 12 aprile. Il film in cui è presente anche l’italiano Filippo Timi – che interpreta un balbuziente desideroso di perdere questo difetto – è distribuito dalla casa Lab 80 Film.

 

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 4
Emozione - 3.5

3.8