Orbita 9 – recensione del film Netflix
Orbita 9 fa un pastiche di argomentazioni fantascientifiche, risultando però incapace di perseguirle appieno.
Nella spasmodica corsa alla conquista dello spazio e in una prospettiva cinematografica che vede l’uomo in grado di spostarsi da un pianeta all’altro dell’universo, magari in fuga da una Terra devastata, Orbita 9 ci propone la dura verità del fallimento: il nostro mancato progresso nell’ambito tecnologico e l’inevitabile regresso dal punto di vista umano.
Il film spagnolo, diretto nel 2017 da Hatem Khraiche, di cui Netflix ha acquistato i diritti in esclusiva, fa leva su molte questioni spesso affrontate dal genere sci-fi senza di fatto focalizzarsi su nessuna. La pellicola ruota attorno alla figura di Helena (Clara Lago), nata e cresciuta su un’astronave e lasciata completamente sola da tre anni. La macchina da presa ci mostra in maniera concisa la sua routine: allenarsi, mangiare una centrifuga di insalata, guardare un film, monitorare la situazione del suo corpo; una vita monotona e non vissuta, interamente proiettata al viaggio verso Celeste, la colonia sulla quale la ragazza dovrebbe giungere tra circa altri vent’anni.
Orbita 9 – il confine tra verità e bugia e tra progresso e regresso
L’arrivo di un nuovo essere umano sulla sua astronave, Alex (Álex González), l’ingegnere incaricato di aggiustare le sue apparecchiature, porta nel cuore di Helena un misto di ansia e felicità. Sola ormai da ben tre anni e consapevole che dovrà rimanere in quella condizione almeno per metà della sua esistenza, la ragazza non si lascia sfuggire l’occasione di corteggiarlo. Ma una volta uscito dal set apatico della sua esistenza, Alex si ritrova – e noi con lui – rovesciato nel mondo reale. A un tratto la presunta magia del viaggio sparisce e con essa le idee di scoprire un mondo differente, di scoprire le cause che hanno condotto la specie umana ad abbandonare la Terra; d’un tratto siamo nella normalità e ciò che pensavamo fosse in realtà non è: la bugia è crollata, ma solo per noi!
Orbita 9 sbaglia nel non curare i dettagli, banalizzando le azioni dei protagonisti
Il repentino cambio di rotta aggrada, ci sorprende con quel pessimismo che trasuda di fallimento e ambizione umana; strizzando l’occhio alla genialità di chi, dovendo lavorare con budget irrisori, cerca di mettere in moto la fantasia. Hatem Khraiche, però, dimostra di non saper viaggiare sul treno in cui è saltato su, facendo virare la sua pellicola dal genere fantascientifico al thriller action fino a cullarsi nella sdolcinatezza della love story.
Tanti i temi etici che si rincorrono nel film, dalla clonazione alla distruzione ambientale, ma ciò che emerge maggiormente è un menefreghismo umano di fondo che non tiene conto delle persone ma solo dei fini ultimi. La pecca più grande, tuttavia, sta nel non dare il giusto peso a nessuna di tali questioni che certamente potrebbero destare trambusto nell’animo dello spettatore e che invece vengono solo messe sul piatto, come a far numero.
A questo si aggiunge la poca credibilità di ciò che viene rappresentato in Orbita 9. Molte scelte inerenti la sceneggiatura appaiono banali e prevedili, se non addirittura al di sopra della presunte capacità dei personaggi. Il passaggio dal micro-mondo dell’astronave al macro-mondo reale è quasi indolore e fin troppo semplice, se si considera che la ragazza, vissuta perlopiù da sola, dovrebbe essere come una Tarzan moderna, incapace di comprendere appieno ciò che la circonda. E invece sembra adeguarsi con fin troppa facilità a cibi, abitudini e persino ai mezzi della città in cui vive.
Orbita 9 e il suo finale prevedibile
Il finale di Orbita 9 risulta altrettanto prevedibile e deludente, aggiungendo l’ultimo tassello a un film che purtroppo non convince e non apporta nulla di più a ciò che altre pellicole di discutibile fattura ci hanno già concesso negli anni addietro. Già, perché nonostante i dettagli mancanti ci si poteva anche aspettare il colpo di scena, la rivolta degli ultimi attraverso la quale tutto cambia prospettiva. E invece no: non esiste mutazione tale da essere etichettata come rivoluzione o colpo di scena, solo un flebile compromesso.
Inevitabile trovare nel film riferimenti sparsi (e neanche troppo marcati) al genere cyberpunk; veder strizzare l’occhio a film come Passengers o Equals (e certo non è un pregio), ma il rimando non aiuta e neanche gli interpreti riescono a elevare più di tanto l’opera, limitandosi semplicemente a eseguire la loro parte.
Orbita 9 è, in conclusione, un film che potrà fare compagnia agli spettatori senza pretese. Un’occasione mancata da parte di Hatem Khraiche il quale, se solo avesse concentrato maggiormente l’attenzione su un solo genere o una sola tematica, avrebbe sicuramente goduto dei nostri plausi.