Cannes 2018 – Dogman: recensione del film di Matteo Garrone
Dogman parte da un atroce fatto di cronaca per sublimare la realtà in un racconto sospeso in un luogo senza tempo, in cui un uomo qualunque, un invisibile, trova un modo per ribellarsi all'eterna subordinazione, affermando la propria dignità.
Nel 1988, Pietro De Negri, soprannominato il Canaro della Magliana, per la sua attività di toelettatore di cani, venne accusato dell’omicidio del pugile dilettante Giancarlo Ricci, sul quale corpo vennero inflitte torture e mutilazioni orribili. La ricostruzione dei fatti portò a identificare il movente nelle perpetue vessazioni che De Negri subiva quotidianamente dal pregiudicato cocainomane Ricci che – forte della sua superiorità fisica e della debolezza anche psicologica del Canaro – aveva portato il Dogman ad essere l’unico processato e carcerato per una rapina dalla quale lui invece uscì impunito e col bottino in tasca. Trent’anni dopo, Matteo Garrone prende spunto da quella vicenda per raccontare una storia di paura, ingiustizia e vendetta, con protagonista l’eccezionale Marcello Fonte.
Dogman: il grido di un invisibile
Dogman racconta la storia di Marcello, un toelettatore di cani mite e gentile, che esercita la sua professione in un quartiere periferico, popolato da gente di malaffare. Separato e padre di una bambina che adora e alla quale sta insegnando amorevolmente il suo mestiere, Marcello instaura un rapporto speciale con gli animali, riuscendo a rendere docili anche i più ribelli alle operazioni di lavaggio. Un uomo non istruito e psicologicamente fragile, che vede nel “farsi voler bene” il suo scopo principale, mentre si prodiga per organizzare momenti di svago e condivisione con la figlia, sognando insieme a lei mete esotiche in cui sfuggire al degrado che li circonda.
Quando il violento pregiudicato Simoncino (Edoardo Pesce) – che Marcello tiene a bada procurandogli la cocaina, forte della propria insospettabilità – gli impone la complicità in una rapina, Marcello sente di non aver scelta, pena rimetterci la pelle. Ma quando, dopo aver scontato la condanna al posto suo, Simoncino non mantiene la promessa di spartire il bottino, qualcosa scatta nel mite lavoratore, che per la prima volta decide impulsivamente di possedere i mezzi per far valere la propria dignità al cospetto della ferocia e superiorità fisica del suo antagonista.
Dogman: il bisogno umano di essere riconosciuti
Dogman parte da un atroce fatto di cronaca per sublimare la realtà in un racconto sospeso in un luogo senza tempo, in cui un uomo qualunque, un invisibile, si ribella all’eterna subordinazione, trovando il modo di imporre se stesso in un mondo in cui la forza e la violenza sembrano l’unico mezzo per esercitare la propria supremazia. Ma Marcello non ci sta e decide di utilizzare tutto quello che conosce in tema di accudimento di animali per tendere una trappola a Simoncino del quale, nonostante la sua scarsa intelligenza, conosce perfettamente i punti deboli.
La regia di Matteo Garrone è chirurgica nel mostrare, non tanto una vera e propria trasformazione, quanto l’affascinante percorso psicologico di un uomo che decide di ribellarsi all’unico scopo di non soccombere, per continuare a vivere da uomo rispettabile nel luogo in cui ha investito tanto per crearsi una posizione sociale. Un’urgenza che, tuttavia, è impossibile raggiungere attraverso il dialogo o le minacce, ma che necessità il dover ricorrere ad un espediente tanto astuto quanto incontrollabile rispetto alle sue conseguenze, laddove – per la prima volta nella vita – Marcello si sente il lato forte della situazione.
Dogman: un uomo che non vuole rinunciare alla propria dignità
Dogman mostra tutta le contraddizioni e le complessità della mente limitata di un uomo che non vuole rassegnarsi a un destino in cui dover sempre abbassare la testa, trovandosi a compiere un atto orrendo che forse – finalmente – gli permetterà di essere visto e riconosciuto per qualcosa, tornando a godere di quel senso di conferma e approvazione di cui sente di aver bisogno per vivere. Un approccio letteralmente geniale a un fatto di cronaca, che non punta a creare miti di discutibile valore o nuovi eroi ma – semplicemente – a sviscerare le ragioni umane dietro le origini di una violenza inaspettata, frutto dell’oppressione e dell’assenza di un’alternativa, in un mondo in cui il più forte finisce troppo spesso per avere la meglio sulla giustizia.
Coronato dalla fotografia di Nicolaj Brüel, le cui immagini appaiono una perfetta metafora visiva delle luci e ombre del personaggio principale, e da una scrittura (a cura di Ugo Chiti, Maurizio Braucci, Matteo Garrone e Massimo Gaudioso), che apre e chiude un cerchio con rara compiutezza narrativa, Dogman arriva nelle sale cinematografiche il 17 maggio, distribuito da 01 Distribuition; nel cast anche Nunzia Schiano, Adamo Dionisi, Francesco Acquaroli, Alida Calabria e Gianluca Gobbi.