Toc Toc: recensione del film di Vicente Villanueva
Toc toc di Vicente Villanueva è costituito da una gustosa carrellata di casi di DOC, ovvero di disturbi ossessivo compulsivi. Un titolo azzeccato e un film piacevole!
Nello studio di un luminare della psicoterapia si incontra un gruppo di pazienti. Per un disguido tecnico il dottore ha dato appuntamento a tutti alla stessa ora, e in più quest’ultimo sembra essere in ritardo, di ritorno da Londra per un convegno.
Man mano che i pazienti arrivano, si delineano i disturbi che affliggono ciascuno di essi. C’è Ana María (Rossy de Palma), signora profondamente religiosa che ha la mania di voler controllare sempre tutto, e prima di uscire di casa ricontrolla mille volte se ha preso le chiavi, se ha chiuso il gas e il rubinetto dell’acqua, se tutti i contenitori casalinghi sono ben sigillati, se si è fatta il segno della croce. C’è Blanca (Alexandra Jiménez), maniaca della pulizia e del bianco immacolato – nomen omen – che non fa altro che lavarsi continuamente le mani e non toccare né appoggiarsi a oggetti potenzialmente pieni di germi. C’è Liliana (Nuria Herrero), che manifesta un attaccamento morboso col suo cellulare ed è affetta da un disturbo che la costringe a ripetere continuamente le stesse frasi o le ultime sillabe delle parole pronunciate da altri. C’è Emilio (Paco León), ossessionato dal calcolo aritmetico, e collezionista compulsivo di ciarpame vario. C’è Otto (Adrián Lastra), psicologicamente incapace di calpestare le righe e maniaco della simmetria tanto da adottare un nome palindromo; e infine c’è Federico (Oscar Martínez), affetto dalla sindrome di Tourette, incapace di controllare il turpiloquio.
Gli stereotipi di Toc toc di Villanueva e la bravura degli attori
Toc toc di Vicente Villanueva è costituito da una gustosa carrellata di casi di DOC, ovvero di disturbi ossessivo compulsivi, caratterizzati da anancasmo, cioè dalla necessità percepita da parte del paziente di compiere determinate azioni o avere certi pensieri, pena l’essere divorato dall’ansia. Dal punto di vista cinematografico, Toc toc è spassoso e godibilissimo nel suo voler riprodurre gli stereotipi dei malati, dato che la commedia proprio di stereotipi si nutre. Ma l’idea originale è quella di mettere sei di questi stereotipi nella stessa stanza, e raccontare una storia che ha unità di tempo e di luogo (l’arco di un pomeriggio in un lussuoso studio medico, peraltro pieno di righe, con profondo sconcerto di Otto). I pazienti si ritrovano nel bel mezzo di una terapia di gruppo coatta, e ci vorrà più della metà del film – che ha l’ottima durata di un’ora e mezza – per non screditarsi ed imparare ad andare d’accordo, aiutandosi a vicenda. Ne risulta un film divertente e quasi inaspettato, anche per la bravura degli attori, capaci di rendere i tic e le ossessioni di ogni singolo paziente. Tra questi, meritano un’attenzione particolare Rossy de Palma, per la sua trasformazione in zitella cattolicissima e maniaca del controllo, e soprattutto Oscar Martínez, indimenticata Coppa Volpi a Venezia 73 per la sua interpretazione dello scrittore scorbutico e poco accomodante de Il cittadino illustre.
Toc toc è un titolo tutto sommato azzeccato
L’unico dubbio che rimane riguarda il titolo, che ha senso solo in spagnolo: Toc toc – che riproduce onomatopeicamente le ripetizioni compulsive di Liliana – è in realtà l’acronimo, ripetuto due volte, di Trastorno obsesivo compulsivo, ovvero “disturbo ossessivo compulsivo”. Titolo certamente più evocativo in spagnolo che in italiano, dove filologicamente avrebbe dovuto essere tradotto con Doc doc. Un piccolo scivolone che però si perdona facilmente: per una volta i titolisti hanno salvaguardato l’orecchiabilità e la fascinazione a scapito di improbabili scelte linguistiche.