Ozark – Stagione 2: recensione della serie tv Netflix
Jason Bateman torna nella seconda attesa stagione di Ozark. La nostra recensione in anteprima.
Arriva su Netflix il 31 agosto la seconda stagione di Ozark, la serie originale della piattaforma streaming che vede protagonista la famiglia Byrde: un nucleo familiare tanto unito e solido quanto pronto a intraprendere qualunque attività pur di tutelare se stessa e i propri interessi. Avevamo lasciato i nostri protagonisti (ben voluti, nonostante tutto) pronti a iniziare una nuova avventura commerciale in grado di proteggere e far fruttare i loro affari. La nuova stagione si apre infatti con uno studio del panorama umano che circonda i Byrde che è in parte mutato rispetto alle abitudini e che richiede attenzione per riuscire a prendere le giuste decisioni senza pestare i piedi a nessuno.
Ozark nella seconda stagione conferma quanto già ampiamente asserito nella prima, ma sconfigge il demone della noia.
Come già nella prima stagione, però, i Byrde devono fare i conti con il paesaggio dei monti Ozark e con i suoi abitanti, che continuano a scombinare le carte in tavola della felice (si fa per dire) famigliola. La seconda stagione continua il racconto iniziato nella prima, restando fedele a se stessa sia in termini diegetici che stilistici e visivi. La coerenza con il discorso portato avanti nella prima stagione è talmente forte che la pausa temporale tra i due gruppi di episodi è velocemente dimenticabile, anche grazie alla determinazione che Martin e parenti imprimono a ciò che fanno. Accanto ai personaggi che conosciamo già molto bene, la famiglia Byrde appunto, nella seconda stagione Ozark più che introdurre nuove personalità, tornano sullo schermo volti noti delle scorse puntate, pronti a prendere persino il sopravvento in alcuni casi, creando così uno scompiglio contenuto, capace di fornire allo spettatore delle coordinate conosciute per orientarsi nelle vicende narrate. In questo senso il personaggio di Ruth Langmore torna fin dalle prime immagini della nuova stagione, con un ruolo che promette di mettere alla prova la famiglia Byrde.
A mantenere la coesione con la scorsa stagione è anche il dato estetico, che continua a proporre in tutte le puntate alcuni elementi ben riconoscibili: i simboli circoscritti nella O maiuscola lanciano segnali al pubblico, sebbene siano realmente intellegibili quasi esclusivamente a posteriori, ma instaurando lo stesso un gioco con lo spettatore, ingaggiandolo in una sfida dalle mille possibili risoluzioni di cui, di fatto, l’episodio che segue è solo una delle possibili interpretazioni.
Jason Bateman torna dietro l’obiettivo in molti degli episodi della seconda stagione, facendo in qualche modo di Ozark un’opera pervasa in ogni suo aspetto dai suoi stessi protagonisti: ricordiamo infatti che Bateman è anche produttore della serie e questa sorta di onnipresenza artistica e produttiva anche da parte del cast protagonista, accentua il fattore identitario della serie. All’interno del catalogo di Netflix, soprattutto pensando ai suoi prodotti originali, questa è una delle serie che maggiormente mantengono una propria identità e che si distinguono dalle altre produzioni, spesso ripetitive tra loro per impostazione di narrazione e ambientazione. La seconda stagione conferma quanto già ampiamente asserito nella prima, ma sconfigge il demone della noia, sapendo ingaggiare continue situazioni rinnovate per i suoi protagonisti, non perdendo al contempo occasione per strizzare l’occhio al pubblico, invitandolo a prendere parte in prima persona alle vicende, lasciandosi coinvolgere soprattutto a livello cerebrale, mettendosi nei panni dei Byrde. La sensazione di familiarità continua a dominare lo schermo, soprattutto la sottesa asserzione della giustizia di quanto architettato dai personaggi, facendo persino passare in secondo piano la quanto meno opinabile prospettiva con cui vengono prese le decisioni dai nostri beniamini.