Venezia 75 – Zen sul ghiaccio sottile: recensione
Il film di Margherita Ferri affronta l'età adolescenziale con autenticità, lasciando trasparire impeccabilità sotto molti aspetti e passione nella regia; con note di imperfezione che sanno configurarsi come perfette.
Dai tempi di Jack Frusciante è uscito dal gruppo in poi, il cinema italiano ha sovente toppato in modo abbastanza fragoroso nel cercare di creare film incentrati sulle turbe e problematiche adolescenziali e giovanili. Sovente ha lasciato a briglia sciolta il patetismo, abbracciato in modo palese derive commerciali e banali di cui Moccia e Brizzi sono i più noti ed evidenti esempi a nostra disposizione.
Tuttavia da questa Venezia 2018 arriva un piccolo film; pieno di difetti per carità, ma anche di coraggio, sincerità, competenza sulla materia e fantasia.
Stiamo parlando di Zen sul ghiaccio sottile, scritto e diretto da Margherita Ferri, ambientato in un piccolo borgo montano dell’Emilia, e con un cast che comprende Eleonora Conti, Susanna Acchiardi, Fabrizia Sacchi ed Edoardo Lomazzi.
Zen sul ghiaccio sottile: nonostante i difetti, un film coraggioso e sincero
Protagonista è la giovane scorbutica e irascibile Maia (Eleonora Conti) confusa 16enne dal rapporto molto problematico con la madre (Fabrizia Sacchi) e che ha come sola valvola di sfogo l’hockey su ghiaccio.
Maia in questo sport – nonostante sia costretta ad allenarsi con una squadra maschile, data l’assenza di ragazze nel suo piccolo borgo – ha talento e carattere, ma ciò non basta a salvarla da continui atti di bullismo e prepotenza. Confusa circa la propria sessualità ed i propri desideri, perennemente in guerra con il mondo, scopre nella coetanea Vanessa (Susanna Acchiardi) una compagna, un’anima che dietro l’apparente omologazione e perfezione esistenziale, ha gli stessi turbamenti e la stessa sensazione di isolamento e vuoto esistenziale, di confusione ed incertezza. In breve, le due cominceranno un percorso comune alla ricerca di sé stesse e della propria identità.
Diretto con grande passione e sentimento, Zen sul ghiaccio sottile affronta diverse tematiche, ponendo però l’accento su due in particolare: la diversità e l’esclusione. La prima è affrontata per quello che è realmente a quell’età (e non solo), cioè un fardello capace di metterci in crisi, soprattutto nel mondo omologato e banale di oggi, dove tutti devono rispondere come a comando a ciò che la società, il costume, i media impongono.
Coadiuvato da una fotografia di ottimo livello di Marco Ferri, con un montaggio di Mauro Rossi abbastanza efficace, Zen sul Ghiaccio Sottile usa in modo perfetto il paesaggio, i monti emiliani innevati, staccandosi dal cliché italico fatto di sole-mare-amore, sposandolo in modo perfetto alla personalità dei protagonisti e all’iter narrativo.
Zen sul ghiaccio sottile: le esigenze e problematiche adolescenziali attraverso l’appassionata regia di Margherita Ferri
La tematica centrale, la meglio sviluppata, rimane quella della solitudine e dell’esclusione appunto, del sentirsi diversi, del volerlo essere e, ad un tempo, la necessità e il desiderio di essere accettati, di far parte di qualcosa, di colmare il vuoto della propria incertezza con la considerazione del gruppo, della società, del mondo al quale si appartiene.
Maia, piccolo spirito caotico e inquieto, vive ai margini di un qualcosa che la attrae e ad un tempo disprezza, angariata da un microcosmo freddo e ripetitivo, del quale però invidia il calore e la compagnia offerta a chi ne accetta le regole.
Vanessa d’altra parte, si erge a figura forse più complicata, perfetta maschera della menzogna esistenziale di chi finge di essere ciò che non è finché può o finché ci riesce, salvo nascondere dentro di sé uno spirito di ribellione ed indipendenza che aspetta solo di esplodere.
Con un cast di giovani attori guidati verso una naturalezza e una plausibilità di alto livello, sfruttando dialoghi realistici, immediati e ben strutturati, Zen sul Ghiaccio Sottile guida in questo viaggio curioso e sfaccettato lo spettatore finché riesce, finché può. Perché Margherita Ferri, in diversi momenti, perde leggermente il filo del discorso, o forse non preme sull’acceleratore al massimo delle sue capacità, come per esempio sposando per i suoi personaggi una linea linguistica scevra di un dialetto che li priva di quel poco di realismo o genuinità in più che potevano servire a fare un salto di qualità non indifferente nella sua ricerca di naturalismo e autenticità.
A questo “errore” abbastanza comune (il dialetto pare che vada bene solo se romano o toscano nel nostro cinema), si aggiunge talvolta come una mancanza di intensità ad una sceneggiatura globalmente efficace ma che a volte gira a vuoto, si perde in piccoli tempi morti e scene evitabili.
Zen sul ghiaccio sottile: un’imperfezione che calza a pennello
Tuttavia al netto di questi difetti (a cui si aggiunge una colonna sonora abbastanza inadatta, quasi messa lì a caso) Zen sul Ghiaccio Sottile ha il grande merito di aver parlato del mondo adolescenziale e giovanile con onestà, realismo, evitando patetismi, toni paternalistici o di edulcorare il tutto in stile I Liceali o Provaci Ancora Prof!, mostrandoci il lato oscuro e sofferente di un’età troppo spesso descritta come gioiosa e felice in modo stupido e superficiale.
La realtà, la stessa realtà che questo film ci mostra e ci ricorda, vede i ragazzi e le ragazze sballottati tra mille dubbi, ansie, paure, senza alcuna idea di cosa riserverà loro il futuro, sovente intrappolati da convenzioni e aspettative dei più grandi, saggiamente lasciati praticamente in disparte in un film totalmente concentrato sul piccolo grande mondo di questa ragazza strana, misteriosa e sofferente.
Un film imperfetto, senza una chiara identità, ma che forse proprio per questo acquista maggior coerenza rispetto al mondo di cui parla.
L’opera prima di Margherita Ferri uscirà a ottobre nelle sale italiane, distribuita da Istituto Luce Cinecittà.