Venezia 75 – Pearl: recensione del film di Elsa Amiel

Pearl è un dramma notevole che colpisce per l'accuratezza dei dettagli e le performance del cast.

Qual è il prezzo da pagare per plasmare il proprio corpo, giungendo addirittura a una netta separazione tra la propria fisicità e spiritualità? In Pearl, Elsa Amiel esamina le diverse forme che può assumere la corporalità femminile introducendo l’argomento in un contesto contraddittorio ma fortemente interessante, quello sportivo, e più esattamente del bodybuilding.

Léa Pearl è una giovane bodybuilder professionista, che concorre per diventare la prossima Miss Heaven, tra diete proteiche e stressanti e intensi allenamenti fisici quotidiani. L’unico obiettivo per la protagonista è il raggiungimento di questo traguardo, per cui lavora sodo da anni, fino a quando un “imprevisto” della sua vita passata fa capolinea nella sua attualità, sconvolgendo e mettendo in dubbio tutto ciò che era certo fino a quel momento.

Con incisività viene messa in gioco una duplicità che prima o poi si manifesta nella vita di ogni donna. Léa, fin dalle prime inquadrature, appare più come un automa, una figura superomistica, mancante di tutte quelle classiche connotazioni e tipicità femminili che si possono riscontrare in una donna, ma soprattutto in una madre (nessuna curva accogliente, né espressioni o movenze morbide). Non a caso, più volte nel corso del film, ci sono dei riferimenti ai supereroi dei fumetti e del cinema, come Spider-Man – il superere preferito del bambino co-protagonista – o Hulk (che rappresenta proprio Lèa)

Pearl gioca sulla frattura tra corpo e spirito nel controverso mondo del bodybuilding

Pearl Cinematographe

Elemento motore della vicenda, che dà il via al tormento della protagonista è l’arrivo del piccolo Joseph, suo figlio, da cui Léa si allontanò quando era ancora in fasce. L’introduzione di Joseph contribuisce a puntare l’attenzione su un altro tema particolarmente delicato nella società di oggi: il ruolo della donna nella storia e nella società. La carriera che si è costruita la donna nel bodybuilding rischia proprio di andare in frantumi quando il coach di Léa scopre l’esistenza di un bambino, nato da quella che fino a poco prima non veniva considerata dallo stesso nemmeno una donna, se non per puri fini sessuali e lavorativi.

Léa inizia a riscoprire la propria femminilità fin da quando Joseph appare per la prima volta, e inizialmente da un punto di vista prettamente fisiologico: la vista del figlio è associata automaticamente al ritorno del ciclo mestruale, che la protagonista non aveva ormai da tempo a causa del regime alimentare e atletico seguito. Quella tra corpo e spiritualità è una frattura che si ricompone gradualmente nel corso del film, permettendo a Léa di trovare un giusto equilibrio. Più volte viene evidenziato il malessere di queste donne, la cui anima sembra letteralmente intrappolata in un corpo plasmato ad hoc per un mero culturismo.

Pearl è un debutto alla regia degno di nota per Elsa Amiel

Pearl Cinematographe

Dopo aver diretto due cortometraggi, Elsa Amel esordisce al cinema con un dramma notevole, che colpisce per l’accuratezza dei dettagli e le performance del cast, composto da attori non professionisti. L’interprete di Léa, Julia Föry, appare per la prima volta sul grande schermo, benché sia abituata a calcare le scene come bodybuilder. Occorre realmente tessere le lodi per l’espressività con cui la Föry dà vita al proprio personaggio, come se già avesse recitato in altri film precedenti. In linea coi ritmi e i tempi del film anche la performance del piccolo Vidal Arzoni, che veste i panni di Joseph, creando dei siparietti divertenti e spassosi. Chapeau!

Pearl sorprende anche nell’aspetto visivo, per il modo in cui sono curati i vari ambienti che fanno da cornice alle azioni e alle vicende dei personaggi. Fondamentalmente pure gli spazi sono legati allo sport praticato nel film: una piccola curiosità, infatti, è che le pareti delle camere dell’hotel, in cui si deve svolgere la competizione, sono ricoperte da teli di plastica, usati non solo per una coerenza con la realtà (i corpi dei bodybuilder vengono spesso unti con dell’olio abbronzante per illuminarli e la plastica serve per proteggere l’ambiente dall’azione di questi prodotti), ma anche per esigenze in fase di ripresa (sono state usate tre diverse location per uno stesso hotel e i teli di plastica aiutavano a dare un aspetto uniforme e coerente).

Per essere il suo primo lungometraggio, Pearl è un’opera decisamente riuscita, complessa entro i limiti e godibile, in grado di stupire piacevolmente.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.4