Venezia 75 – Carmine Street Guitars: recensione del film

Un documentario, un percorso culturale, un sogno. Carmine Street Guitars appassionerà tutti gli amanti della musica.

Greenwich Village, New York, tra piccoli bar e pub, villette strette strette come sardine in scatola, vetrine pulite, alberi, la Manhattan più progressista, artistica, gay-friendly, storicamente più legata al cinema e alla televisione, alla controcultura e ai movimenti giovanili del passato e del presente.
In questo paesaggio da sogno, c’è una bottega che appartiene a Rick Kelly, ed è il Carmine Street Guitars, che produce alcune delle chitarre tra le più apprezzate, ricercate e belle degli Stati Uniti.
Ma il negozio di Rick non è solo un negozio, è qualcosa di più: un simbolo del rock, un punto di ritrovo tra alcuni dei chitarristi più famosi e talentuosi, un tempio dove l’arte, la musica, l’amicizia e il rispetto sono di casa. Il paradiso di ogni chitarrista. E non solo.
Il regista Ron Mann ha creato un documentario (Carmine Street Guitars appunto) nel quale viene mostrata l’anima di un artigiano-artista capace di prendere un comune pezzo di legno e farne un’opera d’arte in grado di regalare emozioni universali. In alcuni casi, per alcune di queste chitarre, si parla di strumenti che hanno estasiato milioni di persone in tutto il mondo, in mano a fuoriclasse assoluti.

Carmine Street Guitars – un documentario per gli amanti della musica

Carmine Street Guitars ci porta dentro un sogno, un percorso culturale di rara raffinatezza, che vede Rick Kelly prendere il legno di alcuni degli edifici più vecchi, storici e storicamente significativi per la vita culturale della Grande Mela e farne chitarre tra le più belle e soprattutto apprezzate non solo da grandi musicisti ma anche da gente comune, appassionati e amanti della musica rock, hard rock, folk, indie, blues e r’n’b.
Il documentario, al netto di alcuni difetti di cui parleremo più avanti, ha l’inestimabile pregio di farci perdere dentro la quotidianità apparentemente ripetitiva ma in realtà straordinaria di un uomo che con le sue mani ha fatto letteralmente la fortuna di tantissimi musicisti (e continua a farla), staccandosi dalla realtà sterile e anonima della produzione di massa, dei centri commerciali ed affini.

Carmine Street Guitars Cinematographe.it

Travolgente nel sorprendere lo spettatore con le visite di gente del calibro di Jim Jarmusch, Charlie Sexton, Eszter Balint, Dave Hill, Jamie Hince, “Captain” Kirk Douglas e Nels Cline, Carmine Street Guitars ci fa riscoprire la gioia del lavoro manuale, fatto di tempi, suoni, ritmi che il terzo millennio ha sostanzialmente cancellato con la sua frenesia, che ha distrutto con la sua cupidigia multifunzionale.
Allo stesso tempo è un viaggio nella storia della musica, nella storia di una New York che in alcuni istanti quasi abbraccia ciò che Scorsese, Coppola e tanti altri registi ci hanno mostrato, guidandoci in un viaggio all’indietro nella musica e cultura americane di un tempo, che oggi sopravvivono solo in alcuni artisti, in piccoli templi come quello di Rick.

Perché se c’è un sentimento che viene alimentato fin dall’inizio da Carmine Street Guitars, ebbene quel sentimento è il rimpianto. O l’invidia anche volendo.
Rimpianto per quella musica di una volta, così legata ad un idealismo (quello degli anni della contestazione) che ha permesso al mondo di avere artisti e canzoni irripetibili, molti armati di chitarre che con le loro note guidavano i sogni, le speranze e la marcia comune di una generazione che non voleva solo cambiare il mondo, ma soprattutto farlo assieme.
Invidia per chi faceva parte di quella generazione, e poté vivere dentro un’epoca musicale dove il commerciale non aveva quella preponderanza che oggi soffoca e distrugge e livella talento, creatività e genuinità, che ci costringe a fare i conti con hit estive nauseanti, falsi artisti e fenomeni mediatici da baraccone.

Carmine Street Guitars – un documentario di grande valore, con qualche difetto

Carmine Street Guitars Cinematographe.it

Carmine Street Guitars però nonostante l’interesse che suscita e la grande cura, pecca nel non avere una direzione chiara, nell’incidere talvolta tra l’intento divulgativo e quello più personale e sentimentale, tra il realistico e il costruito (talvolta in modo maldestro) ma senza una direzione precisa, senza variare mai il ritmo o rivelare una struttura chiara, una finalità definita.
A conti fatti poi non ha una grande intensità, si mostra deficiente di quell’energia rock, passionale o anche solo malinconica che la chitarra, grande protagonista, porta con sé da sempre.
Tuttavia al netto di questi peccatucci, rimane un documentario di grande valore, nonché un campanello d’allarme sulla progressiva scomparsa di quei mestieri, di quell’artigianato artistico senza la musica come tutti la amiamo e conosciamo non sarebbe mai esistita.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Sonoro - 3.5
Emozione - 2

2.8