Venezia 75 – Arrivederci Saigon: recensione del film
Arrivederci Saigon è un documentario ammirevole per l'umiltà con cui racconta qualcosa di così unico. Un film pieno di contenuti e riflessioni di enorme profondità e interesse.
La Guerra del Vietnam ha segnato un punto di non ritorno per tutto il mondo occidentale, inserendosi in modo preponderante in un’epoca storica attraversata da una contestazione che interessava tutta la società, i suo valori, la cultura, la politica, tutto insomma!
Il ributtante inferno del sud-est asiatico cambiò tutto per sempre, mise all’angolo gli Stati Uniti come Impero del Male, portò il sogno di J.F.Kennedy ad essere un incubo dal quale ancora oggi gli Stati Uniti non si sono ripresi.
Grandi star del cinema e della musica visitarono il Vietnam del Nord, portando il loro appoggio e sostegno alla resistenza anti-americana, poi ci fu anche chi si schierò con l’America, dando sostegno alle truppe in ogni modo.
Infine chi si trovò lì per caso, per una strana conseguenza della sorte, e oggi, a tanti anni di distanza, narra di un’incredibile avventura: sono italiane, sono toscane, all’epoca erano quasi tutte minorenni, ed erano Le Stars, un complesso tutto al femminile che suonò per i soldati americani nella basi militari. Arrivederci Saigon, documentario firmato da Wilma Labate, parla di loro, della loro incredibile Odissea.
Arrivederci Saigon e l’Odissea delle Stars
Arrivederci Saigon ci parla dell’incredibile storia di queste ragazze toscane, tutte provenienti dalle zone industriali di Piombino, Livorno o Pontedera, tutte con il sogno di emergere nel mondo del cinema, di fare della musica il loro mondo.
Dopo diversi tour in Italia, ecco che arriva l’occasione della vita: la possibilità di cantare in giro per il mondo, con un contratto che il loro manager gli garantisce sicuro, che le porterà di certo a Hong Kong, in Giappone, a Manila… invece finiscono in Vietnam.
Siamo alla vigilia di quell’Offensiva del Tet che spaccherà la guerra tra un prima e un dopo, che tolse ogni fiducia ad un’opinione pubblica americana che ne aveva già fin sopra le orecchie dei morti, della sofferenza, di sentirsi dalla parte del torto.
Il documentario di Labate usa le voci, i ricordi, le foto, i volti delle ex giovanissime giramondo per parlarci di un’altra epoca, di un’altra Italia anche, di un mondo oggi scomparso e dimenticato.
Arrivederci Saigon e la narrazione di un mondo dimenticato
Niente avventure romantiche, niente amori o grandi amicizie, solo tanta musica, tanti volti di coetanei che spesso di lì a poco tornavano a bordo degli Huey in barella o nei sacchi per cadavere.
Soprattutto tanta paura, tanta sofferenza per delle ragazzine di un’Italia diversa, proletaria e antica, dove la parola emancipazione andava bene nei circoli del Partito Comunista, ma poi era lettera morta nella vita di tutti i giorni, nell’interazione con gli altri.
Intimo, orientato a un viaggio dei ricordi di una gioventù distante dalla contestazione accesa, Arrivederci Saigon si affida del tutto alla verve mai spenta delle protagoniste, al loro rileggere le righe di quell’avventura incredibile dopo tanti anni.
Equilibrato, forse troppo dipendente dalle immagini di repertorio poco attinenti all’iter specifico, è però un’occasione preziosa per fare un bilancio dell’epoca della contestazione, per riscoprire la varietà di possibilità e opinioni che quella guerra creò nell’Italia di quegli anni.
Arrivederci Saigon: un viaggio intimo e sofferto
Arrivederci Saigon ha momenti di tenerezza e malinconia, sorprende con l’incredibile odissea di queste ragazzine finite in qualcosa di così immenso e pericoloso; si distanzia dall’essere un road movie in differita.
Ammirevole per il basso profilo, l’umiltà con cui racconta qualcosa di così unico, difetta forse della costruzione dell’iter narrativo, quasi invertito, che confonde e rende il tutto un po’ asfittico e inutilmente complicato.
In ultima analisi un documentario ben fatto, robusto, pieno di contenuti e riflessioni di enorme profondità e interesse.