Venezia 75 – The Man Who Surprised Everyone: recensione
Un film che mette a fuoco il senso della solitudine del protagonista attraverso perfezione stilistica e buone idee, che però potevano essere sviluppate diversamente.
La questione dei diritti di chi appartiene alla comunità LGBT è uno dei motivi di maggior attrito tra la Russia e il resto dell’Occidente da moltissimi anni a questa parte, con polemiche che hanno travalicato la politica e sono arrivate a contagiare olimpiadi, mondiali di atletica e di calcio, cinema e tanto altro.
The Man WHo Surprised Everyone di Natasha Merkulova e Aleksey Chupov mira nella sua interezza a dare grande risalto anche a questa tematica, più di tutto sembra voler dare un ritratto critico, feroce e disincantato sull’arretratezza (culturale e non) di un paese che ancora oggi si dibatte tra futuro e passato, un passato per alcuni aspetti quasi da fine ‘800.
Protagonista è l’aitante, silenzioso e rispettato Egor (Evgeniy Tsyganov), padre e marito esemplare, guardia forestale in un piccolo paesello siberiano che si affaccia su una palude e di cui lui è il guardiano dei boschi. La sua maggior attività è fermare i cacciatori di frodo e nel corso di una perlustrazione è costretto, durante un arresto, a ucciderne due; ferito leggermente alla mano si sottopone ad esami ospedalieri che gli rivelano una terrificante realtà: ha un tumore al cervello e gli restano solo due mesi di vita.
La moglie Natasha (Natalya Kudryashova) ed il giovane figlio non accettano la situazione senza speranza di Egor, ma non possono prevedere che egli, spinto da un’antica credenza, cerchi di ingannare la morte travestendosi da donna, con terribili conseguenze per lui ed i suoi familiari, prigionieri della piccola e bigotta comunità di cui fanno parte.
Basato su una sceneggiatura dello stesso Chupov, The Man Who Surprises Everyone è diviso in modo chiaro in due parti, usando due registri assolutamente diversi.Nella prima parte, guida lo spettatore dentro il terribile viaggio di un uomo che sa di dover morire, lasciando tutto ciò a cui tiene molto prima del suo tempo, di non poter far nulla se non ingannare sé stesso e gli altri con il mantenere la routine, le false abitudini rassicuranti.
Tutto questo però non basta e non può scacciare il terrore, il dolore, la sensazione di essere dilaniati che la moglie non sa come arginare o combattere, che il figlio non sa accettare anche per la giovane età.
La parola che si può associare in generale a The Man Who Surprises Everyone è solitudine. Quella del malato, del morente, ma anche quella del diverso, quel diverso che Egor diventa quando, inspiegabilmente, decide di vestirsi da donna.
Se The Man Who Surprises Everyone fosse una parola sarebbe certamente solitudine
Da questo momento però The Man Who Surprised Everyone paradossalmente perde di compattezza, non di espressività o di potenza, grazie ad una regia sempre sul pezzo, ad una fotografia di straordinaria adattabilità, ma proprio a causa di una sceneggiatura poco coerente, assolutamente troppo netta nel non dare alcun punto di riferimento allo spettatore, a non fargli comprendere nulla di ciò che ha di fronte, alterando il percorso di un film da iperrealistico a onirico in men che non si dica.
Operazione rischiosa e coraggiosa assieme, ma che qui è coronata da poco successo. Il film non raggiunge i risultati sperati, tanto che la denuncia contro la realtà sociale e culturale russa così arretrata e primitiva quasi perde di mordente, di efficacia.
Tuttavia l’escamotage narrativo, la sua imprevedibilità, sicuramente catturano l’attenzione dello spettatore, lo rendono totalmente alla mercé del regista, della straordinaria prova d’attore di Tsyganov, della bellissima malinconia di questo piccolo angolo di mondo dimenticato da tutto e tutti.
The Man Who Surprised Everyone colpisce allo stomaco lo spettatore in tutti i modi possibili. Ma davvero è un colpo che serve? Un colpo così importante? Davvero il cinema per parlare di certe tematiche deve per forza mirare all’estremo? O perlomeno ad un estremo così poco chiaro? La sensazione è che dietro la perfezione stilistica, la maestria del tratto, il film avesse alla base delle belle idee, ma sono state sviluppate e realizzate solo in parte. Insomma, non sempre esagerare o confondere è sinonimo di originalità.