La casa dei libri: recensione del film di Isabel Coixet
La recensione de La casa dei libri, il film diretto da Isabel Coixet con protagonisti Emily Mortimer, Patricia Clarkson e Bill Nighy
La casa dei libri, il film della regista e sceneggiatrice catalana Isabel Coixet, è la deliziosa cartolina di un villaggio balneare che non esiste, la fittizia cittadina di Hardborough, nel Suffolk. Come il suo setting di casette di pietra dai tetti bassi e grigi strette tra il porticciolo e le colline, anche il film è un prodotto ‘impacchettato’ in modo impeccabile, ma che ben presto illanguidisce nella sua stessa maniera e finisce per pagare il pegno della propria furbizia.
Leggere ‘Lolita’ nel Suffolk, la sfida di Florence alla grettezza della provincia
1959. Florence Green (Emily Mortimer) è una donna non più giovanissima, vedova di guerra. Per reagire alla morte di un marito molto amato, con cui condivideva la passione per la letteratura, decide di convertire un’antica casa abbandonata di Hardborough in una libreria che vende solo libri selezionatissimi e propone, per la prima volta in una realtà sociale disertata dalla cultura e di mentalità angusta, titoli aggiornati come i romanzi distopici di Ray Bradbury e scandalosi come Lolita di Nabokov. Ad accogliere la sua iniziativa di rinnovamento culturale trova, però, solo la diffidenza dei più e l’aperta ostilità dell’influente Mrs. Gamart (Patricia Clarkson), che non accetta di perdere il primato di donna più ‘illuminata’ del paese. Gli unici a capirla sono Edmund Brundish (Bill Nighy), un anziano misantropo che vive recluso in casa con la sola compagnia dei libri, e Christine (Honor Kneafsey), una pre-adolescente che aiuta la sua famiglia numerosa lavorando nel doposcuola in libreria.
Un’occasione mancata di esplorare, attraverso il mélo, il desiderio di rompere le regole
Tratto dal romanzo omonimo, non più recentissimo, di Penelope Fitzgerald, La casa dei libri traduce dal letterario al filmico la vicenda di una donna certamente coraggiosa, che rifiuta di piegarsi alla tirannia del lutto e prova a ricominciare, credendo di poter vendere, prima che oggetti, idee. La materia a disposizione era stimolante, pur nella semplicità di una parabola femminile (chissà anche femminista) destinata ad accartocciarsi nella disillusione verso una società che non vuole veramente cambiare le sue logiche polverose di clientelismo e di cortigianeria. Ma, se nei contenuti il film poteva seguire la traccia sobriamente rivoluzionaria di una rivendicazione anti-nostalgica e di un inno alla voglia quasi rabbiosa di sfidare frontalmente le regole imposte, nella forma si traduce in un period drama dei più ‘nostalgici’ e tradizionali, recitato bene, ma non altrettanto ben scritto, con alcuni scivolosi precipizi nella sottolineatura melliflua, attraverso l’uso ‘espressionistico’ e un po’ kitsch dei violini, dei momenti più emotivi.
Come il sonoro, anche la fotografia enfatizza la struggente bellezza di ambienti e paesaggi già naturalmente lirici, ma il sospetto è che l’abilità tecnica nella costruzione estetica del film cerchi di camuffare la vuotezza creativa e una più profonda vacuità ideativa. Diversamente da opere affini per temi e atmosfere come Brooklyn di John Cowley (con Saoirse Ronan protagonista, nel 2015 fu candidato agli Oscar), che universalizza l’indagine sul conflitto interno tra desiderio d’emancipazione e senso d’appartenenza, La casa dei libri si mantiene nella comfort zone del film d’intrattenimento di consumo e tradisce, così, l’arte nobile del melodramma per farne un surrogato sì godibile in sonnacchiose serate d’autunno, ma nulla più di questo.