Philip K. Dick: i 10 migliori film e serie tv tratti dai suoi romanzi
Se amate la fantascienza di Blade Runner, Minority Report e The Man in the High Castle, è tutto merito di Philip K. Dick. Un autore rivoluzionario, che ha cambiato il nostro modo di guardare al futuro dell'umanità.
Il cinema ama Philip K. Dick. Soprattutto dopo la sua morte – avvenuta prematuramente nel 1982 – buona parte della sua opera è diventata modello e base della nuova fantascienza: la settima arte, la letteratura, i fumetti e la musica hanno subìto – e tutt’ora subiscono – la potentissima influenza culturale di un autore visionario e postmoderno, precursore dei movimenti artistici avantpop e cyberpunk.
Approfittando dell’uscita della terza stagione di The Man in the High Castle (prodotta da Amazon), ripercorriamo i migliori adattamenti cinematografici e seriali di Philip K. Dick: una storia lunga oltre trent’anni, fatta di mondi visionari/distopici, pessimismo filosofico, irruzioni sovrannaturali e continui cortocircuiti fra realtà e illusione.
Il meglio di Philip K. Dick da Il cacciatore di androidi (da cui è tratto Blade Runner) a Electric Dreams
Blade Runner (Ridley Scott, 1982)
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Il primo adattamento cinematografico di Philip K. Dick è probabilmente il migliore: Blade Runner nel 1982 sconvolge il mondo della fantascienza impegnata, offrendo un’alternativa alla space opera lucasiana di Star Wars e alle derive horror di Alien. Tratto da Il cacciatore di androidi (ma noi preferiamo il titolo alternativo Ma gli androidi sognano pecore elettriche?), Blade Runner racconta di un disperato mondo futuro molto somigliante al nostro, in cui i cosiddetti replicanti – robot dalle sembianze umane – vengono fabbricati e usati nelle colonie extra-terrestri.
Un capolavoro indiscusso, che ha permesso di far conoscere l’arte e il talento di Dick ad un pubblico vasto e generalmente anche non appassionato di letteratura sci-fi. Il seguito Blade Runner 2049 (Denis Villeneuve, 2017), pur ispirandosi alla pellicola originale, non è tratto da nessun romanzo successivo dello scrittore.
Atto di forza (Paul Verhoeven, 1990)
Ci vogliono ben otto anni perché si ritorni nuovamente ad attingere all’operato di Philip K. Dick: ci pensano il regista olandese Paul Verhoeven (reduce dal successo planetario di RoboCop, 1987) e l’attore austriaco Arnold Schwarzenegger (nel momento più alto della sua carriera). Lo spunto è un racconto di Dick che negli anni ha conosciuto svariati titoli: da Memoria totale a Ricordiamo per voi, fino a Chi se lo ricorda. Questa volta, oltre che nel tempo, si viaggia anche nello spazio: nel 2084 l’operaio Douglas Quaid desidera ardentemente visitare Marte, già ampiamente colonizzato, per trovare una risposta ai suoi sogni.
La trasposizione, che rimane fedele al testo originale più nella prima parte che nella seconda, è piuttosto efficace e coinvolgente: Atto di forza è un ottovolante, che pur attingendo a piene mani dall’universo distopico di riferimento, flirta anche amabilmente con l’alleggerimento comico.
Screamers – Urla dallo spazio (Christian Duguay, 1995)
Girato senza troppe pretese e con un budget limitato, Screamers ripercorre uno dei temi portanti della letteratura dickiana: l’alternanza e la (con)fusione fra esseri umani e alter ego robotici. La principale – e sostanziale – differenza fra racconto originale e film riguarda l’ambientazione: mentre nel racconto Modello Due (in originale Second Variety) la guerra decennale che ha sconquassato il mondo è ambientata sulla Terra, e riguarda essenzialmente la Guerra Fredda fra Russia e Stati Uniti d’America, la trasposizione filmica predilige uno scontro galattico che si svolge su una lontana colonia terrestre.
Vari elementi di Modello Due sono anche presenti nella serie televisiva Battlestar Galactica, in cui una civiltà umana sparsa su un gruppo di pianeti è in conflitto con una temibile razza cibernetica, i Cyloni.
Matrix (The Wachowskis, 1999)
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Prima che i puristi insorgano: la trilogia di Matrix non è assolutamente correlata in modo ufficiale ai multiversi di Philip K. Dick. Eppure, non c’è alcun dubbio che Lana & Lilly Wachowski ne abbiano ampiamente subito l’influenza. Anzi, se Matrix è quel capolavoro che ancora oggi viene emulato e ammirato, è proprio in virtù della calibratissima miriade di stimoli e citazioni che contiene (dai fumetti ai videogame, dalle arti marziali alla letteratura di fantascienza). Neo e i suoi sodali si muovono in un mondo che mescola due diversi piani della realtà, dominato dall’alienazione e dal controllo di un’entità superiore che scruta il destino degli esseri umani.
Da Dick viene ripresa anche l’idea di déjà vu, inteso come fenomeno psichico che altera i ricordi o che all’opposto palesa una modificazione evidente nella realtà che si sta vivendo (in Matrix è la doppia apparizione di un gatto che ripete le medesime azioni, di fronte allo sguardo attonito di Neo).
Minority Report (Steven Spielberg, 2002)
Abilissima sintesi di messinscena spettacolare e riflessione filosofico-sociale, Minority Report rilancia la carriera di Tom Cruise e rinverdisce al contempo la filmografia di Steven Spielberg, arenatasi l’anno precedente sul difficilissimo progetto A.I. – Intelligenza artificiale. Lo spunto è il breve racconto Rapporto di minoranza, in cui si narra di un futuro prossimo venturo in cui l’umanità ha completamente eliminato la criminalità grazie allo sfruttamento di tre veggenti detti precog. Nell’ottica del grande spettacolo hollywoodiano, la pellicola vira su un happy end totalmente assente nell’originale dickiano.
Il film ha poi ispirato una omonima serie tv creata da Max Borenstein, trasmessa dalla Fox nel 2015 e ambientata a dieci anni di distanza dagli eventi raccontati nella pellicola di Spielberg.
Paycheck (John Woo, 2003)
Fantascienza, thriller e avventura fanno nuovamente capolino anche in Paycheck, forse il più sottovalutato degli adattamenti dickiani. Liberamente tratto da Labirinti della memoria – e per capire quanto liberamente basterebbe mettere a confronto le due trame –, il film del maestro action John Woo ci porta nel mondo di Michael Jannings, un uomo che affitta il suo cervello ad una misteriosa corporazione.
Nonostante diverse difficoltà produttive (inizialmente il regista avrebbe dovuto essere Brett Ratner, mentre il protagonista designato Matt Damon rinunciò lasciando campo libero a Ben Affleck), Woo non si limita alla normale amministrazione ma gioca col pubblico da un lato citando Hitchcock e dall’altro personalizzando la vicenda con il suo consueto marchio di fabbrica: gli inseguimenti mozzafiato.
A Scanner Darkly – Un oscuro scrutare (Richard Linklater, 2006)
Per rendere più tangibile e immersiva l’esperienza allucinata e allucinante di riferimento, Richard Linklater per girare nel 2006 A Scanner Darkly riprende una tecnica già utilizzata in Waking Life (2001): il rotoscopio, che permette di disegnare in acquerello sulle scene precedentemente filmate in live action. L’effetto, decisamente straniante, restituisce alla perfezione la sensazione di scollamento dalla realtà del protagonista Bob, un agente infiltrato della narcotici che si mescola ad un nutrito gruppo di tossicodipendenti per scoprire la provenienza di una nuova droga, detta “sostanza M”.
Il romanzo Un oscuro scrutare è forse l’opera più personale e autobiografica di Philip K. Dick, quella in cui si riflette il periodo di abuso di anfetamine che lo porterà al ricovero in una comunità terapeutica.
I guardiani del destino (George Nolfi, 2011)
Già sceneggiatore per Steven Soderbergh (Ocean’s Twelve, 2004) e per Paul Greengrass (The Bourne Ultimatum, 2007), George Nolfi esordisce nel 2011 alla regia attingendo al racconto breve di Dick Squadra riparazioni. La storia dell’uomo che scopre che circostanze insolite ma non casuali stanno condizionando la sua vita viene utilizzata come premessa per uno sviluppo più articolato e, soprattutto, per una deriva maggiormanente sentimentale.
Restano tuttavia ben visibili i riferimenti ad alcuni topoi dickiani, come il disorientamento dei personaggi (che rende caotica anche l’esperienza dello spettatore), il riferimento alla religione o comunque ad un’entità superiore che decide le sorti dell’umanità e la dicotomia realtà/illusione, con la presa di coscienza del protagonista che improvvisamente rinsavisce dopo un’esistenza di menzogne.
The Man in the High Castle (Frank Spotnitz, 2015)
Nel 2015 Amazon Studios, il produttore Ridley Scott e lo showrunner Frank Spotnitz decidono di mettere mano ad uno dei romanzi più densi, attuali e politici di Philip K. Dick: La svastica sul sole, incredibile storia alternativa di un mondo in cui le potenze dell’Asse (Germania e Giappone su tutte) avrebbero vinto la Seconda Guerra Mondiale e dominerebbero la Terra.
Il testo – vincitore nel 1963 del Premio Hugo – viene trasposto non come film ma come serie tv, concedendogli così un ampio respiro soprattutto nel tratteggio di poetiche e personaggi. Trovano riscontro così alcuni temi ricorrenti di Dick, come l’oppressivo stato di polizia e il ricorso alla guerra – o più generalmente al conflitto – come strumento per mantenere il potere economico. Una curiosità: il romanzo era destinato ad avere dei seguiti, che non sono mai stati scritti. Tuttavia, in alcune edizioni, è possibile leggere due capitoli del libro successivo.
Electric Dreams (Ronald D. Moore, 2017)
Electric Dreams segna il tentativo di dare una forma coesa agli oltre 120 racconti scritti da Dick. Nella serie tv antologica distribuita da Amazon (al pari di The Man in the High Castle), ogni episodio è a sé stante, e le dieci puntate prodotte finora possono essere viste in ordine sparso (seguendo quindi un po’ il medesimo procedimento di Black Mirror).
Per quanto il progetto possa definirsi interessante, la tiepida accoglienza riservata a Electric Dreams – prodotta, fra gli altri, da Bryan Cranston – apre a nuove riflessioni: lo sfruttamento intensivo del talento visionario di Philip K. Dick può portare ad una fisiologica assuefazione nel pubblico, che oggi non vive più la distopia contenuta nei media come un’eccezione ma come una regola. La produzione dickiana è sterminata, ma non infinita: per non andare incontro alla disaffezione è lecito augurarsi che in futuro la sua eredità venga gestita con maggiore lungimiranza.