Hates – House at the end of the street: recensione del film
Un thriller condito da alcuni elementi che rimandano all'horror, che intrattiene e funziona solo in parte, sprecando un buon potenziale di partenza.
Hates – House at the end of the street è un film thriller statunitense del 2012, diretto da Mark Toderai con protagonisti Jennifer Lawrence, Max Thieriot ed Elisabeth Shue. Uscito l’anno successivo nelle sale cinematografiche italiane è anche disponibile sul catalogo Netflix.
Jennifer Lawrence è Elissa, una ragazza diciassettenne che si è da poco trasferita da Chicago nella periferia di una tranquilla cittadina rurale, con la madre (Elisabeth Shue) appena divorziata. Quattro anni prima, nella casa vicina alla loro nuova dimora, la giovane Carrie Ann, poi misteriosamente scomparsa, era stata accusata d’avere ucciso i due genitori, lasciando come unico superstite il fratello Ryan (Max Thieriot), ora abitante solitario della casa. Nonostante la contrarietà della madre, per le voci sulla particolarità del ragazzo emarginato, Elissa inizia ad intrattenere un rapporto sempre più intimo con lui, trovandolo dolce e premuroso, ma la realtà dei fatti è molto diversa da quella che inizialmente appare e a poco a poco emergerà un inquietante mistero.
Hates – House at the end of the street: un thriller dalle sfumature horror con elementi convenzionali e alcuni spunti psicologici
Hates – House at the end of the street è stato promosso come un horror ma di fatto si caratterizza come un thriller psicologico, dove le venature orrorifiche sono molto vaghe e limitate ad alcuni sporadici momenti. L’impianto di partenza è complessivamente interessante nonostante una base abbastanza classica per il genere. Troviamo alcuni elementi canonici, intorno ai quali si sviluppa la vicenda, come la casa misteriosa, un efferato omicidio passato, i nuovi vicini e il rapporto tra i ragazzi, in cui emergerà una personalità disturbata.
Al fianco dei cliché si presenta però un tentativo di costruzione psicologica dei personaggi principali; capiamo che il passato di Ryan ha influenzato il suo presente, così come le vicende familiari di Elissa e sua madre Sarah hanno avuto delle conseguenze sul loro attuale rapporto e il loro modo di agire nelle relazioni sociali. La volontà è quella di incentrare la narrazione sull’ambiguità della percezione del reale, presentando in un primo momento gli eventi in una determinata maniera per poi ribaltarne la prospettiva e sottolineando allo stesso tempo la difficoltà della protagonista nel dare una lettura corretta di ciò che le si presenta di fronte.
Hates – House at the end of the street: è, nonostante tutto, un film che si lascia guardare
Il regista cerca un’immedesimazione dello spettatore nella soggettività di Elissa ma i meccanismi messi in campo risultato eccessivamente superficiali e approssimativi. È difatti proprio in primis la regia a peccare nel complessivo funzionamento del film, risultando scomposta, isterica e inutilmente confusionaria, anche nei momenti meno concitati del racconto. Inoltre il ritmo della narrazione è troppo lento per un thriller – soprattutto volendolo presentare come un horror – con colpi di scena che tardano ad arrivare, tensione che fatica a mantenersi elevata e sussulti troppo sporadici.
Se da un lato la prima parte desta un certo interesse per come vengono presentati i personaggi e le loro principali sfaccettature caratteriali, dall’altro ci troviamo di fronte ad un intreccio narrativo che non decolla e si perde nella seconda parte della sua evoluzione. Gli accenni alle vicende passate dei protagonisti non vengono adeguatamente approfonditi e l’unico spunto significativo sulla personalità di Ryan viene presentato fuori tempo massimo (poco prima dei titoli di coda), così come il passato della madre e le difficoltà nel rapporto con la figlia – elementi che avrebbero potuto dare un’introspezione funzionale e tutt’altro che superflua agli eventi – vengono lasciati solo a livello di superficie. Anche la parte più “poliziesca” e potenzialmente coinvolgente, con le scene d’azione e colluttazione, si risolve in una forma eccessivamente convenzionale, seppur non annoi.
A livello recitativo troviamo una buona performance di Jennifer Lawrence, seppur non adeguatamente valorizzata dalla regia di Toderai. La Lawrence è ben calata nel personaggio con una mimica sfaccettata che rende bene tensioni e interrogativi dell’adolescente protagonista. Al suo fianco una discreta interpretazione da parte della Shue e una sufficiente resa di Max Thieriot, per quanto risulti lievemente forzata in alcuni passaggi.
Hates – House at the end of the street si presenta dunque come un film sicuramente guardabile, ma con un potenziale che sulla carta era alto mentre nella resa complessiva risulta monco e soffocato, segnato da un intrattenimento che funziona solo a tratti e senza la necessaria compattezza e fluidità richiesta ad un film del genere.