Amen: spiegazione del finale del film di Costa-Gravas
La spiegazione dello splendido e terribile, ad ogni modo potente, finale della pellicola di Konstantinos Gravas.
Amen è un interessante e coraggioso film del 2002 dello storico regista greco, naturalizzato francese, Konstantinos Gravas, noto con il soprannome di Costa-Gravas (il suo primo lungometraggio risale addirittura al 1965).
L’autore, vincitore del premio Oscar per la miglior sceneggiatura non originale nel 1983 per Missing – Scomparso, riesuma per l’occasione la figura del militare tedesco ufficiale delle Waffen-SS e membro dell’Istituto d’Igiene delle SS, Kurt Gerstein, e adatta per il grande schermo l’opera dello scrittore tedesco Rolf Hochhuth (anche co-sceneggiatore della pellicola) Il Vicario del 1963. L’obiettivo è scendere in campo con un lavoro che si prenda l’onere di denunciare l’atteggiamento della Chiesa Cattolica nei confronti dell’Olocausto e soprattutto l’atteggiamento acquiescente del fu Papa Pio XII nei confronti del Nazismo.
Amen adempie perfettamente a questo obiettivo e, dove possibile, riesce anche ad approfondire altri aspetti legati alla percezione della Shoah sia tra i tedeschi che tra tutti gli altri popoli del mondo occidentale.
Amen: Il mondo in silenzio
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Piena Seconda Guerra Mondiale, Kurt Gernstein (Ulrich Tukur), un illustre chimico membro dell’Istituto d’Igiene delle SS, scopre che lo Zyklon B, da lui realizzato per disinfestazioni, viene usato dai soldati nazisti per gassare intere famiglie ebree nei campi di concentramento sparsi in tutta Europa. Totalmente sconvolto e incapace di vivere con questa consapevolezza, decide di rivolgersi alla Chiesa cattolica, essendo lui un uomo profondamente religioso, nella speranza che le alte cariche del Vaticano possano fare qualcosa affinché lo sterminio cessi.
Da parte loro, sia le le piccole realtà locali sia le alte cariche della Chiesa, reagiranno sempre con un’inaspettata e totale chiusura persino nell’ascoltare la testimonianza di Gernstein, figuriamoci prenderla seriamente in considerazione. Finché farà la sua comparsa Riccardo (Matthieu Kassovitz), un prete gesuita, che cercherà di portare all’orecchio di Papa Pio XII l’urlo disperato delle migliaia di persone uccise ogni giorno nelle camere a gas.L’unica speranza è che il Papa condanni pubblicamente la Shoah perpetrata dagli uomini di Hitler.
Il significato del film Amen: “Così sia”
Amen nasce con la volontà di riaprire dei capitoli molto dolorosi e mai completamente dimenticati, come fece il caso editoriale di Hochhuth al momento dell’uscita, riuscendo pienamente.
La pellicola è un documento potente per la sua grande abilità nel non scadere mai nel banale e nella retorica, ma di affrontare un tema così spinoso con grande piglio oggettivo. Mai nelle conversazioni tra i personaggi o nelle azioni su schermo si percepisce un giudizio o uno schieramento, e, cosa più importante, i mille e più volti della paura di intervenire contro l’operato di Hitler e le motivazioni per cui si è assecondato questo terribile genocidio, sia dalla parte nazista sia dalla parte che poi ha vinto la guerra, vengono mostrati senza preferenze o censure.
A quest’ultimo scopo risulta fondamentale il dualismo che si crea tra Gernestein, rappresentante di una morale tedesca sconvolta di fronte all’orrore del pensiero nazista, e il Dottore (Ulrich Mühe), un capitano delle SS portabandiera di un tedesco consapevole dell’assurdità delle parole di Hitler, ma fermamente disposto a sotterrare ogni lembo di coscienza pur di continuare a vivere, trasformandosi inevitabilmente in un mostro.
Questo ricchissimo e complesso rapporto è parallelo alla estenuante, disperata lotta di Riccardo, un uomo solo con la missione di smuovere le fondamenta di un’imbellettata e inamovibile gerarchia ecclesiastica, che ha fatto dell’immobilismo il segreto della sua millenaria sopravvivenza.
Amen: la spiegazione del finale (spoiler)
Dopo la morte di Riccardo, orfano della devozione verso le sue sacre vesti e persino svuotato della fede verso Dio, in uno dei campi di concentramento in Polonia, la guerra sta ormai volgendo al termine e Gernstein e il Dottore stanno per andare incontro ai loro destini.
Il primo riuscirà finalmente a testimoniare le atrocità di cui è stato spettatore e, suo malgrado, primo fautore, stilando rapporti in tutte le lingue da lui conosciute sotto la custodia degli Alleati. Ma ciò nonostante sarà comunque considerato reo di non essere stato un buon cattolico e di non aver fatto tutto quanto fosse in suo potere per fermare lo sterminio. Questa fatale e risolutiva accusa è ciò che distrugge definitivamente l’ultimo bricioli di capacità di sopportazione rimasta nell’animo del soldato. Essere condannato per ciò contro cui ha combattuto con tutto se stesso è troppo da sopportare e dunque decide di togliersi la vita in cella.
D’altro canto il Dottore trova rifugio in uno dei conventi di Roma, riuscendo a gettarsi alle spalle tutte le atrocità che ha compiuto e con la prospettiva di una nuova vita in Argentina.
Il terribile messaggio che arriva allo spettatore dal finale di Amen è che gli ideali di fratellanza, uguaglianza, carità e la voglia di battersi per ciò che è giusto non sono di questo mondo, mentre l’odio e la violenza più malata e incomprensibile si. La capacità dell’uomo di giustificare la propria immobilità riguardo le sofferenze altrui e persino di lodarsi per la sua grande resistenza al dolore procurato dalla consapevolezza di tali atrocità è sbalorditiva. Per vivere in questa realtà bisogna diventare dei mostri, ma vale la pena vivere così? Oppure la scelta migliore è quella di sacrificare se stessi per salvare la propria coscienza? Siamo sicuri che il destino del Dottore sia poi infine migliore di quello di Kurt e Riccardo?
Quello che è sicuro è che la sacralità e l’umanità non si trovano nelle ricche sale d’orate della Città del Vaticano, ma nei freddi e desolati teatri di morte dei campi di lavoro.