RomaFF13 – Diario di tonnara: recensione del film di Giovanni Zoppeddu

Parla di pesca e di vita l’esordio alla regia di Giovanni Zoppeddu. Un documentario tra natura, tradizione, lavoro e religione.

È stato presentato alla 13ª Festa Del Cinema di Roma, dove ha trionfato in nome del pubblico Il vizio della speranza, anche un documentario che segna l’esordio alla regia di Giovanni Zoppeddu. Ambientato tra il piccolo borgo di Bonagia, vicino Trapani, e l’isola di Carloforte in Sardegna, Diario di tonnara ci apre lo sguardo su un mondo antico e in simbiosi con il mare.

“Palazzo sommerso”. È così che i tonnaroti chiamano quelle architetture di reti subacquee che danno e hanno dato da vivere a intere località marinare: le tonnare. Tonnara non è semplicemente una barca o una rete, ma un sistema di pesca. In mare decine di uomini si lasciano coordinare dal Rais, gettano le reti e successivamente le tirano in barca con i preziosi tonni, pescioni senza squame né denti aguzzi, lisci e pacifici, che possono raggiungere anche 300 chili. A terra, di fronte al porticciolo, in un fabbricato, lavorano uomini e donne per pulire, tagliare e inscatolare le carni. Una filiera di produzione gastronomica artigianale raccontata nel passato di Bonagia e nel presente di Carloforte.

Il film è partito dal libro omonimo di Ninni Ravazza, ex-sub di tonnara che è anche voce narrante del film. “Ho cercato di raccontare tutti i riti del mare che ruotano intorno alla vita dei proprietari di tonnara, dei rais e anche dell’ultimo dei tonnaroti, cercando di dipingerli come quello che sono: personaggi mitologici in grado di mettere la propria vita e le proprie risorse a disposizione della comunità”. Ha spiegato il regista. “Ho trovato assonanze con i riti della terra, legati alla fertilità, cercando di legarli insieme ad un unico filo conduttore”.

Diario di Tonnara. Tra memoria, natura, cultura e lavoro

Le memorie scavano nel secolo scorso, quando ancora la dimensione della pesca era una questione di uomo/natura, prima della grande crisi delle tonnare degli anni 2000. Scorrono fluide tra presente e passato le immagini di repertorio prese dall’Istituto Luce e le scene di vita odierna dei marinai girate in 2k. Non mattanze e sangue sulle spiagge come siamo stati abituati spesso a guardare nel caso di questo tipo di pesca e documentari, ma l’organizzazione e la vita dei marinai a priori. La vita quotidiana di uomini e donne deputati al mare e alla sua faticosa ricchezza. Il sostentarsi sfidando la natura da una parte e il rispetto per essa religioso dall’altra è una dicotomia fortissima presente in molta parte di questo lavoro. Se le antiche immagini del secolo scorso vengono dai documentari di Vittorio De Seta, Francesco Alliata e Folco Quilici, in bianco e nero o technicolor, il montaggio con le testimonianze odierne regala la dimensione senza tempo del rapporto inscindibile tra uomo, natura e lavoro.

Diario di tonnara. Imprenditori leggendari

I tonnaroti, le preghiere, i canti per tirar su il “palazzo sommerso”, i tonni che battono le loro code, muti e generosi fanno sì che il film doni al pubblico tutta l’atmosfera della vita salata in barca. I racconti leggendari sul Rais Momo e Don Nino, storico capotonnara l’uno e imprenditore lungimirante che rilanciò la tonnara di Favignana e quella di Bonagia l’altro, ci parlano di un’imprenditoria a gestione davvero familiare, umana negli intenti e nei principi, della quale il presente di algoritmi e multinazionali anonime ma onnipresenti stanno cancellando la memoria a grandi colpi di spugna. Il documentario non è soltanto opera cinematograficamente valida, ma costituisce un prezioso ritratto sociale del lavoro sulla natura, peschiero e conserviero, di cui si è perso il ricordo tra chilometri di scaffali di lattine di tonno d’ogni taglia, colore e marca lungo i corridoi infiniti di centri commerciali onnivori di passato e tradizioni quanto buchi neri.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.7