Malerba: recensione del film di Simone Corallini
Malerba porta al cinema la malattia e il problema dell'integrazione attraverso un thriller.
La diversità di due fratelli con una malattia neurocutanea alimenta il thriller di Malerba. Il regista Simone Corallini affronta i pregiudizi della società e di noi stessi attraverso Orazio e Gabriele. Due uomini segnati sul viso dalla neurofibromatosi, dopo tante delusioni hanno reagito in modo contrario, il primo ha perso la fiducia, mentre il secondo spera ancora.
La vera difficoltà nell’integrarsi è nell’essere considerati come gli altri e avere la possibilità di esprimersi. Orazio (Antonio de Matteo) sentendosi preso in giro ha deciso di comportarsi come degli altri: facendo buon viso a cattivo gioco nella sua veste da macellaio. Gabriele (Luca Guastini) invece, essendo più sensibile è più restio all’apparenza, ma poi mostra i suoi sentimenti più profondi con grande coraggio. Sarà proprio questa sua predisposizione a mettere in crisi il loro rapporto. La scintilla è Arianna (Manuela Parodi), la nuova collega di Gabriele, che irrompe nella loro quotidianità dandogli la possibilità di avere una vita normale. Lei è la prova che le cose possono cambiare e dato che Orazio non è pronto a farlo i due si scontrano in modo molto duro e sincero.
In Malerba Corallini ama indugiare sui dettagli e dare ampio spazio alla musica
Due reazioni antitetiche di cui i protagonisti sono i veicoli, che riguardano ognuno di noi davanti la scelta che determina chi siamo. C’è chi subdolamente cova rancore e cerca vendetta e chi invece trova la forza di perdonare e si innamora ancora della vita.
Il film pone l’attenzione sulle malattie invalidanti a livello sociale, più che fisico, e sui rapporti umani. Quindi anche sulle logiche della collettività e quelle dell’isolamento.
Malerba utilizza il cinema di genere per tradurre questo malessere del contatto con l’altro attraverso atmosfere di tensione. Simone Corallini ha girato delle immagini simboliche che riescono a comunicare emotivamente grazie all’accompagnamento della colonna sonora. La musica è predominante, sembra dettare i tagli del montaggio come un videoclip.
La sceneggiatura viene messa in secondo piano; sono poche le battute, piuttosto la trama si chiarisce con la ripetizione di alcuni elementi. Il regista mostra i protagonisti in situazioni misteriose, che conducono verso il segreto dei fratelli. L’uso dei primi piani e l’indugiare sui particolari rende chiaro il percorso che sta conducendo Malerba, anche se rallenta drasticamente il ritmo del film.
Corallini propone una sua visione chiara, anche se non ne dimostra il pieno controllo. Malerba sarebbe potuto essere un thriller-horror con dei mostri del terrore, come il lupo mannaro. Invece il regista ha voluto trattare con grande tatto l’argomento della malattia, favorendone una visione “umanizzata”. Orazio e Gabriele sono due ragazzi comuni, con delle bolle sul viso e sul corpo. Così gli spettatori comprendono il sottile confine tra chi è malato e chi si sente malato, dato che sono percepiti come mostri solo per la loro diversità estetica.
La difficoltà di Malerba è nel trovare un equilibrio espressivo
Malerba è realistico e non utilizza metafore letterarie per raccontare il nostro presente, ma ne fa solo un accenno. Per questo motivo il film sembra avere un piede in due scarpe: esprimendosi con due linguaggi visivi diversi.
Le atmosfere di suspense non arrivano a un colpo di scena che ne controbilancia la tensione, indebolendo il ritmo e l’intensità. Si fa riferimento ad atti crudeli che non vediamo, nonostante il film cerca di parlarci con le immagini.
Da una parte c’è la volontà di affrontare il tema attraverso uno spunto creativo originale, ma dall’altra cerca di giustificare il male. Con un punto di vista soggettivo ridimensiona le azioni dei fratelli a un piano in cui le loro motivazioni appaiono false. Se viene giustificato il crimine come reazione all’isolamento questo è razionalizzato e allora tutto diventa accettabile. Insomma c’è una vittima ma la colpa sembrerebbe più del sistema che di se stessa e di chi l’ha influenzata. Un finale troppo buonista per un thriller che fa riferimento all‘immaginario horrorifico.