Ötzi e il mistero del tempo: recensione del film di Gabriele Pignotta
Ötzi e il mistero del tempo è un fantasy prodotto e girato in Italia, in Alto Adige. Ispirato da una vera mummia ritrovata nel 1991, il film è una scommessa vinta del cinema di genere nostrano.
Chi dice che il cinema di genere prodotto in Italia non funziona? Ötzi e il mistero del tempo risponde a modo suo a questa domanda, confezionando un prodotto efficace, accattivante e – nel complesso – convincente. Risultato della sinergia tra One More Pictures e Rai Cinema, Ötzi è un racconto che unisce la dimensione locale a un respiro internazionale, rendendo fruibile e interessante anche per il mercato straniero una storia interamente ambientata tra le montagne altoatesine. Un plauso all’idea di servirsi di un bene culturale importante, ma di fama tutto sommato limitata agli appassionati del settore, per mettere in piedi una storia che va a toccare i temi classici del genere fantasy: la formazione del giovane protagonista e la magia come metafora di autodeterminazione della propria identità.
Ötzi e il mistero del tempo: un fantasy tra le montagne dell’Alto Adige
Kip (Diego Delpiano) è un ragazzino cresciuto tra le montagne insieme alla madre Helena (Deirdre Mullins), a cui è particolarmente legato, e al padre Carl (Vinicio Marchioni). Helena è una figura particolare: quotata antropologa, collabora con il museo di Bolzano per ricostruire la storia della mummia del Similaun, scoperta nel 1991 da Eirka e Hemut Simon durante un’escursione. Ötzi – questo è il soprannome dato ai resti dell’homo sapiens sapiens ritrovato tra i ghiacci – è un mistero attorno al quale gli studiosi si sono interrogati a lungo, soprattutto per via dei sessantuno tatuaggi sparsi in tutto il corpo e del corredo funebre lasciato attorno a quella che sembrerebbe una morte rituale.
Durante una delle sue spedizioni di studio tra le montagne, Helena scompare, lasciando Kip alle prese con mille domande e una difficile elaborazione del lutto. Deciso a cambiare aria per superare il dolore, il padre Carl pensa bene di organizzare un repentino trasferimento a Dublino, costringendo il figlio a separarsi dai ricordi e – soprattutto – dai suoi due affezionati compagni di gioco e di avventure, i fratelli Anna (Amelia Bradley) e Elmer (Judah Cousin). Prima della partenza, però, il ragazzino insiste per andare a visitare la mummia tanto amata dalla madre, conservata al museo cittadino: è qui che la magia prende vita, riportando nel presente il famigerato sciamano dell’età del rame Ötzi (Michael Smiley).
Ötzi e il mistero del tempo: la magia come metafora
Naturalmente, ogni racconto di magia altro non è che una grande e poetica metafora di temi molto più concreti, necessari per l’educazione di ogni giovane spettatore. Da che mondo è mondo, l’arte di far incantesimi è un mezzo per raccontare l’energia e le peculiarità che ogni vita ha dentro di sé e la capacità di poter trasformare il proprio ambiente partendo dal lavoro su se stessi. Allo stesso modo, Kip – aiutato dal simpatico uomo preistorico Ötzi – impara il valore del tempo, che si può accelerare, rallentare, ma mai fermare. Il ragazzo affronterà la morte della madre maturando la consapevolezza di quel sottile confine tra ricordo e nostalgia, tra mancanza e ossessione: molte storie per i cosiddetti young adults partono proprio dalla perdita di un genitore, ci avete mai fatto caso?
L’importanza di “lasciar andare” i propri attaccamenti diventa una lezione fondamentale nella maturazione del personaggio principale – ben interpretato dal giovane Delpiano – che, per contrappasso, scopre che il suo superpotere consiste proprio nel fermare il tempo.
Ötzi e il mistero del tempo: il cinema di genere italiano? Si può fare.
Nonostante siano piuttosto evidenti le differenze tra i progetti hollywoodiani ad altissimo budget e la produzione One More, più modesta e artigianale, convincono anche le scene più strettamente fantasy, che risultano in ogni caso assolutamente dignitose. L’astuzia del regista sta proprio nell’usare espedienti tecnicamente semplici (come il fermo immagine o l’accelerazione e decelerazione del movimento), ma narrativamente coerenti: senza strafare, senza fare il passo più lungo della gamba si possono mettere a frutto tutte le risorse a disposizione, portando in scena uno spettacolo che – nel suo complesso – non ha molto da invidiare a produzioni più ambiziose.
Allo stesso modo va a convergere nel felice risultato, la performance piacevolmente cartoonesca degli interpreti: su tutti la mummia-vivente Ötzi (Smiley, che ha alle spalle ruoli in Rogue One: A Star Wars Story e The Lobster) e la villain Gelica – una Alessandra Mastronardi sorprendentemente a suo agio nei panni di un personaggio del tutto diverso dal solito. Il rischio dei protagonisti-adolescenti è schivato da un terzetto di giovanissimi attori capaci, precisi, credibili: paradossalmente a sembrare più di tutti un pesce fuor d’acqua è proprio il professionista Vinicio Marchioni.
A chiudere la lista dei pro di Ötzi e il mistero del tempo, c’è la fotografia di Tuomo Virtanen, innamorato del paesaggio montano dell’Alto Adige. Il film è un’occasione per fantasticare sul nostro patrimonio archeologico e paesaggistico e un’operazione creativa e – stranamente – non retorica di valorizzazione delle bellezze nostrane. Al di là degli inciampi tecnici e narrativi – che ci sono, inutile negarlo – basta pensare alla reazione entusiasta del pubblico del Giffoni Film Festival 2018, durante il quale il film è stato presentato, per sancire il successo di un progetto che merita senza dubbio un’occhiata, a prescindere dall’età dello spettatore.
Il film sarà nelle sale cinematografiche a partire dall’8 novembre, distruibuito da One More Pictures.