Alessandro D’Ambrosi: “Cosa serve alla serialità italiana? Coraggio e follia”
Abbiamo intervistato Alessandro D'Ambrosi, il Romolo della serie Romolo + Giuly: La guerra mondiale italiana, un progetto folle di cui ci parla l'attore e realizzatore.
Lo conosciamo come Romolo, ma Alessandro D’Ambrosi è molto di più. Sceneggiatore, regista, vincitore di premi internazionali per i suoi cortometraggi – realizzati con la co-autrice Santa De Santis – e, ovviamente, attore. Raggiunta la notorietà con un personaggio della più colorita Roma Sud, D’Ambrosi è il Romolo della serie italiana Romolo + Giuly: La guerra mondiale italiana, andata in onda su Fox e recepita – nonché pensata – come un vero fenomeno di costume. Pupazzi che vogliono prendere in mano le redini del paese, scontri stile Street Fighter tra romani e milanesi, tutta una varietà di componenti parodistiche che ricercano nella satira un nuovo respiro per l’audiovisivo. Alessandro D’Ambrosi, insieme agli altri ideatori Michele Bertini Malgarini e Giulio Carrieri, ricerca nell’originalità il punto su cui spingere per trovare il coraggio di smuovere stilemi già visitati, avventurarsi in narrazioni sempre più curate, di cui ci parla proprio nella nostra intervista. E la parrucca bionda del primo episodio di Romolo + Giuly? Ora non ne può più fare a meno…
Romolo + Giuly: La guerra mondiale italiana sulla carta è un’operazione folle. A dire il vero, lo è anche vista messa in pratica in televisione. Quando avete capito che era possibile realizzare un progetto così pazzo? Ricordiamo che il primo accenno risale a qualche anno fa…
“Con gli altri autori della serie avevamo realizzato inizialmente un teaser che è poi finito su internet. Grazie a quello siamo diventati virali ed è stato per quel primo passo che siamo poi giunti fino alla Fox. Si comincia quindi dal web, ma voglio specificare che quello non era il nostro terreno primario. Noi veniamo comunque da esperienze di tipo cinematografico. In ogni caso avevamo capito che la rivalità tra Roma Nord e Roma Sud poteva svilupparsi in qualcosa di buono e, così, abbiamo cominciato testando la nostra idea, che ci ha portato poi alla prima serata. Lo spunto da cui partiamo quando ci mettiamo al lavoro è sempre ciò che ci fa ridere, ancor di più quello che ci piacerebbe vedere sullo schermo. Esploriamo l’irreale, il grottesco, la satira. Come un Giorgio Mastrota, solitamente accomodante, che invece nella nostra serie si trasforma nel Keyser Söze della situazione. Avevamo capito che il web era il posto in cui lanciare Romolo + Giuly, ma solo per poter poi raggiungere altri obiettivi e rendere la nostra cifra stilistica riconoscibile e apprezzata, come spero sia avvenuto.”
E quale sarebbe, per te, la definizione migliore con cui inquadrare Romolo + Giuly: La guerra mondiale italiana?
“Romolo + Giuly: La guerra mondiale italiana non segue i canoni in maniera pedissequa, abbiamo principalmente cercato di trasporre, nel nostro modo di fare commedia, il malcostume italiano. Perché la serie è questo, non è solo una comedy, ma un prodotto in cui riportate e rivedere i costumi e le usanze che ci contraddistinguono. Trovavamo perciò giusto spingere il pedale della follia, anche se, volendoci soffermare bene sui tempi di oggi, la realtà che noi abbiamo proposto non è poi così lontana da quella che viviamo tutti i giorni.”
C’è un momento che, guardandolo ora con occhio esterno, ti fa particolarmente ridere? Una sequenza o una battuta precisa?
“Gli eventi più divertenti avvenuti sul set sono anche quelli che mi sono gustato maggiormente rivedendo la serie. Come tutte quelle follie nel dipingere Roma Nord con cose come, ad esempio, l’accordo matrimoniale. Ma devo dire che per me è difficile astrarmi da ciò che ho girato. Forse, pensandoci bene, la puntata di Romolo a Milano mi ha divertito in maniera particolare, perché mi ha permesso di cambiare calibro. C’è anche la parte sul Pigneto, che rispecchia un po’ la mia visione del quartiere romano, e questo è dovuto al fatto che ci sono delle istanze che mi appartengono ed ho voluto metterle sia nel personaggio che nella serie.”
E che ci dici della parrucca bionda? La usi per andare a rimorchiare anche adesso?
“Dopo aver messo la parrucca bionda la prima volta ho capito che non sarei più stato capace di farne a meno. Anche perché mi è chiaro che con quella riesco a rimorchiare molto di più che con i miei capelli scuri. A dire la verità stavo anche valutando direttamente l’idea della tinta…”
La cosa che forse non molti sanno è che tu, oltre ad aver già partecipato come attore in altri progetti, sei anche un regista e uno sceneggiatore. Come pensi di riuscire a conciliare questi tuoi vari aspetti?
“Sono dieci anni che mi occupo oramai anche di sceneggiatura e regia e principalmente lo faccio accanto a Santa De Santis. Con lei ho vinto premi in tutto il mondo e ora siamo alla lavorazione del nostro primo lungometraggio. È un lavoro che mi porto dietro e di cui non riuscirei a fare a meno, trovo sia un’attività che completa perfettamente il mio spettro artistico e che mi appartiene molto. Ho fatto anche lavori di recitazione mainstream come può essere Un medico in famiglia, per fare un esempio, ma tutto ha contribuito a potermi esprimere meglio sotto vari punti di vista, da quello dell’attore a quello dello sceneggiatore fin anche alla persona. Sono quindi contento della mia alternanza tra ruolo recitativo e ruolo autoriale.”
Alessandro D’Ambrosi: “L’originalità italiana? C’è, ma bisogna avere il coraggio per portarla avanti.”
E non hai paura che il personaggio di Romolo possa, in qualche maniera, rimanerti troppo addosso?
“No, direi di no. Con Romolo, certamente, è avvenuto l’exploit, ma è solo uno dei miei personaggi. Tra l’altro era la prima volta che mi concedevo un ruolo così sopra le righe, solitamente con il mio viso mi mettono sempre a fare il bravo ragazzo, stavolta invece è stato più divertente. Penso poi che Romolo non sia soltanto comicità, ha anche la sua componente più ingenua e impulsiva, il che ci ha permesso di calarlo in diverse situazioni. Ha significato anche indagare differenti registri e portare così a termine un’esperienza per me completa e che mi ha soddisfatto molto. Poi i feedback che ho ricevuto sono stati bellissimi, la gente si è talmente affezionata al personaggio che quando mi chiama per strada non dice Alessandro, ma mi urla dietro “Romolo!”. Non credo però che sia un ruolo che mi porterà ad una cristallizzazione, fino ad ora ho comunque recitato parti anche non in dialetto e, sia nel passato che nel presente, mantengo una grande varietà di ruoli. Mi piace cambiare pelle e trovo che questo sia l’unico motivo per cui poi qualcuno decide di fare l’attore. Molte volte in questi casi si rischia anche di diventare se stessi dei personaggi e non è esattamente ciò che mi auguro. Però, in ogni caso, se proprio Romolo dovesse diventare il mio cavallo di battaglia, non mi dispiacerebbe poi tanto.”
Allontanandoci un attimo da Romolo + Giuly, ma rimanendo comunque in un ambito molto vicino, volevo chiederti: qual è il tuo rapporto con la serialità e cosa pensi aggiunga oggi al panorama dell’audiovisivo?
“Amo molto le serie, soprattutto quelle on demand che ti permettono di fruire di un prodotto tutto d’un fiato. Netflix in questo è un fenomeno, riesce a conciliare il livello di regia a quello di sceneggiatura combinandolo in un contesto di serialità, ma proponendo operazioni che assomigliano molto a quelle cinematografiche. Ci sono delle serie che possono essere lunghissime, a cui è permesso di esprimere la propria narrazione per immagini, e questo mi rende felice perché mi permette di passare più tempo davanti lo schermo a vederle. È così: Netflix ha operato un’educazione e rieducazione alla serialità.”
Ci sono serie a cui sei legato o che hanno influenzato anche i tuoi lavori?
“Le serie a cui sono più legato? Friends è quella sitcom che rivedo almeno una volta l’anno, insieme a Scrubs è il meglio che si può scovare nel passato. Ultimamente ho visto anche The Crown che mi ha fatto impazzire, mentre non seguo per nulla Game of Thrones, che per molti è invece proprio una fede. Una serie che non sono mai riuscito a vedere per intero è Lost, talmente intricata che ad un certo punto ti perdi completamente e perde lei stessa il filo, rischiando l’effetto di intreccio alla Beautiful. Sai un’altra serie drama che mi è piaciuta tanto? Sherlock, è davvero un prodotto innovativo, pieno di ritmo e intrigo, cosa che, tra l’altro, nelle serie tv straniere è sempre più frequente.”
Alla fine, a suo modo, Romolo + Giuly è uno spiraglio di diversità seriale, se si guarda all’Italia. Quale pensi possa essere la strada, oggi, per riuscire a portare al pubblico altri lavori del genere?
“Prima di tutto ci vuole il coraggio dei network, l’affidarsi a qualcosa che non suoni come una sicurezza. C’è anche bisogno di un certo sperimentalismo e l’Italia è piena di gente con tantissime idee nuove. Forse non si dà ancora il massimo sotto il punto di vista della scrittura ed è un argomento su cui bisogna soffermarsi e imparare, ma comunque di qualità inventiva ce n’è e bisogna dargli spazio. Bisogna affidarsi al proprio gusto personale, fare in modo che sia molto specifico per dargli poi una propria identità, che sia tanto forte da potersi imporre contro le regole di mercato. Insieme ai miei collaboratori manteniamo sempre una fedeltà molto pronunciata verso la nostra sensibilità artistica e teniamo sempre conto che stiamo scrivendo, ogni volta, qualcosa che ci piacerebbe vedere sullo schermo. Si tratta dell’elaborare ciò che ti piace, di essere onesti e fedeli al proprio percorso. Noi con Romolo + Giuly abbiamo fatto così, abbiamo inserito I Griffin, I Simpson, Mel Brooks, i Monty Python. Abbiamo sostenuto la nostra originalità e la capacità di sperimentare ci ha portato fino alla Fox. Non è un caso, infatti, che sempre alla Fox si deve guardare per il successo di Boris, che dieci anni fa è stato un vero caso che ha sbaragliato il mondo delle serie tv italiane. Quella sì che ha aperto una strada. Noi ci distacchiamo da Boris, anche se c’è sempre quella comicità acida e molto libera, ma, come dicevo, l’abbiamo fatta nostra e, soprattutto, alla nostra maniera. Così è uscita una serie che segue almeno il nostro gusto.”