Novecento: recensione del film di Bernardo Bertolucci
Ambientato in Emilia, terra natale del regista, Novecento è un film che funge da monito a quel cinema corpulento e generoso di Bertolucci, con due grandissimi Robert De Niro e Gérard Depardieu nel cast.
Alfredo e Olmo nascono il 27 gennaio 1901 in due case a cinquanta metri l’una dall’altra nella campagna della Bassa Padana, mentre a Milano muore Giuseppe Verdi. Il primo è figlio dei padroni, il secondo dei servi contadini. I due sono destinati a condividere, oltre al compleanno, vicissitudini private e politiche. All’unisono coi due neonati, vagisce, infatti, anche il Novecento, secolo che segue, come il corpo umano e come la campagna, i cicli della natura: dall’estate dell’infanzia e dell’adolescenza spensierate alla primavera della rinascita, che coincide con il giorno della Liberazione, attraverso l’autunno della maturità e l’inverno della morte, fasi sovra-storiche che si sovrappongono simbolicamente alla documentazione filmica dei decenni bui del Fascismo e della Seconda Guerra Mondiale, in un contratto inscindibile negoziato tra le ragioni della finzione e quelle della verità storica che solo nel mito trovano il loro eterno compromesso.
Novecento, un film-romanzo monumentale che intreccia Storia e allegoria
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Tutto in Novecento, lungometraggio-monstrum (più di cinque ore, nella versione integrale) del 1976 di Bernardo Bertolucci, il primo girato, con molta libertà creativa e cast internazionale, dopo quell’Ultimo Tango a Parigi che aveva fatto penare il regista per i guai giudiziari e la censura, si srotola sul duplice piano della lettera e della figura, già a partire dalle scelte onomastiche per i personaggi: Olmo (Gerard Depardieu), come l’albero che si radica nella terra e dalla terra non si sposta; Anita (Stefania Sandrelli), la donna da Olmo amata e morta per dare alla luce la loro bambina, come la moglie di Garibaldi; Ada (Dominique Sanda) e Alfredo (Robert de Niro), l’aristocratica e il borghese, con quella A che segnala, nella sua ricorrenza fonica, il loro primato sociale; Attila (Donald Sutherland), il fascista-demonio il cui nome è sufficientemente auto-esplicativo e nondimeno somiglia, non senza echi freudiani, a quello del padre di Bertolucci, il poeta Attilio, in una paronomasia che suggerisce la riaffermazione marcatamente autoriale della volontà di combattere cinematograficamente il Padre e le sue predicazioni, l’autorità in tutte le sue manifestazioni repressive e obsolescenti.
È un cinema corpulento e generoso, quello espresso in Novecento di Bertolucci, che persegue, in un banchetto concettualmente ed esteticamente sontuoso, l’aspirazione alla sintesi di tutti i modelli letterari possibili: quello del romanzo popolare, coi suoi personaggi e i suoi intrecci multipli, le vicende delittuose e gli amori leciti e illeciti; quello del saggio filosofico, non privo di vigore ideologico, che ragiona astrattamente sulla Storia mentre la illustra concretamente; quello della poesia, nella sua duplice anima narrativa e lirica, con l’epos dei servi e dei padroni in lotta e l’intimismo dei dolori, piccoli e grandi, che frastagliano l’ordinario procedere delle esistenze minute.
Novecento e il cinema sfrenato e impuro di Bertolucci, che evita semplificazioni e riduzionismo
Se Ultimo Tango a Parigi chiudeva nello spazio di un appartamento parigino l’infinito riprodursi dei desideri e delle pulsioni tra i due poli archetipici del maschile e del femminile in una dialettica che si manifesta attraverso l’erotismo non addomesticato, Novecento s’apre alla polifonia in concerto e dissonanza, dando al microcosmo il respiro, leggermente più ampio, di una campagna narrativamente fertile che resta, però, sempre al di là degli steccati che la separano, anche allegoricamente, dalla città sognata. Il legame con la terra, origine e fine, appetito simultaneo di fuga e di ritorno, è in Novecento magnificato senza mistificazioni idilliche: come in tutto il suo cinema, anche qui Bertolucci rigetta la purezza per l’impurità e, sullo schermo, non insabbia, ma innerva grazie ad una immagine spessa, quasi plastica, la violenza dell’universo umano e animale, il corpo esultante e quello avvizzito, la morte naturale e quella innaturale, l’amore che nasce e l’amore che finisce, guardando, così, allo stare al mondo come a un fenomeno biologico, che ha una sua bellezza organica alla materia, intrinseca alla sua tragica, sensuale caducità.
Novecento di Bernardo Bertolucci, uscito nelle sale italiane il 3 settembre del 1976, torna in sala grazie a Lucisano Media Group per commemorare il regista, scomparso all’età di 77 anni il 26 novembre 2018.
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