TFF36 – The Mover (Atlas): recensione
Un film che trova la propria rappresentazione proprio nel protagonista Walter: così impenetrabile all’apparenza eppure, alla fine, soltanto con una storia già raccontata.
I rimpianti a cui si cerca di rimediare. Le seconde occasioni che la vita ti offre e che è bene saper affrontare. The Mover è il primo lungometraggio del regista tedesco David Nawrath – dal titolo originale Atlas -, un ritratto grigio di un uomo grigio, rappresentato nel grigiore di una periferia che non sembra poter fare sconti. Soprusi e criminalità sovrastano regole e rigore in favore di lavori scomodi e violenza sconsiderata, in cui è, infine, la conservazione della famiglia a prevalere. O, almeno, è quello che si cerca di portare avanti e preservare.
Walter (Rainer Bock) è un uomo silenzioso. Solitario anche, tanto nella sua modesta casa quanto in mezzo ai colleghi di lavoro. Quest’ultimo un mestiere tra i meno ragguardevoli: recarsi a casa di persone sul lastrico e avviare lo svuotamento della loro casa sotto sfratto. Una mansione da svolgere senza alcun tatto e che Walter ha sempre portato a termine. È l’incontro con una famiglia a suscitare nell’uomo quella remora che, prima, non aveva mai avuto e che rischia per incastrarlo in una situazione da cui non sarà possibile uscire senza alcun graffio.
The Mover – Come tentare di risanare il proprio passato
Il protagonista Walter trasporta via gli oggetti delle dimore delle altre persone. Poltrone, sedie, tavoli, televisioni. Un pareggiamento dei patti di cui l’uomo è solo un intermediario, un mezzo per riportare ordine, in cui una delle due parti non ha modo di replicare. La passività di un uomo che reprime se stesso e così i segreti che lo hanno ammutolito per una vita. Una remissività che costringe a dei confini che Wlater si è auto-stabilito per trattenersi e rimanere nell’ombra, ma che l’entrata di un giovane padre e la sua famiglia hanno risvegliato.
Recuperare per mettere un cerotto sul proprio passato è il nucleo taciuto, ma pressante, dell’opera The Mover. Se l’occupazione del protagonista è, solitamente, quella di sottrarre, arriva il momento per Walter di risistemare le cose. Pezzi di vita che donano occasioni inaspettate e che, purtroppo, non sempre il film riesce a portare a termine. Stabilito il clima e l’andamento della pellicola, l’opera di David Nawrath sembra frenarsi pian piano con il suo procedere, riprendendo la marcia verso il terzo atto, ma rimanendo per tutto il tempo distante dallo spettatore.
The Mover – Le risoluzioni facili per un film che non riesce a procedere fluidamente
L’ambiguità del personaggio principale permette di comprendere subito il peso di una giovinezza che ha costretto Walter nell’oscurità e al vivere con un costante senso di punizione per ciò che ha commesso negli anni. Ma, dopo la percezione dell’inizio, anche la sua figura va perdendo di interesse agli occhi dello spettatore, per finire a riacquistarla nella maniera più risuonata e più inadatta che nel momento della sceneggiatura si potesse ideare. Un colpo di scena che fa crollare quel muro di questioni irrisolte del protagonista, sembrando più una maniera facile per creare l’effetto di stupore, che funzionando poi adeguatamente per lo svolgimento dell’opera. Un cambio di prospettiva che certamente rimette in moto un racconto che, nel frattempo, si era frenato, ma che sceglie il cliché più scontato per cercare di risanarsi.
The Mover aveva dalla sua l’atmosfera dei quartieri popolari, l’irruenza di una fetta di mondo criminoso e anche un personaggio che, pur non particolarmente originale, avrebbe potuto suscitare interesse nel pubblico. Ma il film non è in grado di gestire i propri tempi, impantanandosi e fuoriuscendo dalla staticità creata con furbizia non richiesta. Un film che trova la propria rappresentazione proprio nel protagonista Walter: così impenetrabile all’apparenza eppure, alla fine, soltanto con una storia già raccontata.