TFF36 – Il mangiatore di pietre: recensione
Luigi Lo Cascio è il protagonista de Il mangiatore di pietre, film che non riesce a coinvolgere il pubblico nella sua parte thriller/noir.
Il mangiatore di pietre è un film freddo. Non solo perché è ambientato ai piedi delle alpi piemontesi, dove la neve e il vento sono talmente taglienti da perforare la pelle e giungere direttamente nelle ossa. Né perché la storia dei personaggi dell’opera di Nicola Bellucci si addentra in passati in carcere e omicidi presenti. Il mangiatore di pietre è un film freddo perché poco lascia allo spettatore che si ritrova a viverne il racconto, lontano dagli eventi e da questa sorta di noir montano, che nulla ha da impressionare se non per la natura rigida e ostile in cui è nato.
Cesare (Luigi Lo Cascio) è uscito dal carcere. Ha mantenuto la parola e non ha fatto alcun nome, passando in solitaria i mesi di prigionia. Tornato in libertà, nei territori che confinano con la Francia, solo il silenzio e la sua lupa gli fanno compagnia. Fin quando non sarà l’omicidio di Fausto (Emiliano Audisio), socio dell’uomo e appartenente alla stessa banda di passeur di cui faceva parte, a risanarlo dal torpore. Un nuovo incarico da tenere nascosto, un assassinio da risolvere, mantenere un profilo basso per tenere lontano le rogne. Ritrovare vecchi amici e scoprire nuovi alleati: per Cesare è arrivato il momento di scavalcare ancora una volta le catene montuose.
Il mangiatore di pietre – Quando la natura è più irruenta e forte di un film
È una terra arrabbiata quella che ospita Il mangiatore di pietre, nebulosa quando la neve diventa talmente irruenta e abbondante da non far scorgere il benché minimo oggetto all’orizzonte, e riflettendo questa coltre di offuscamento anche nell’intera opera. Tratto dall’omonimo romanzo scritto da Davide Longo, il regista Nicola Bellucci si affida alla collaborazione con gli sceneggiatori Hans W. Geissendörfer e Marco Colli e, insieme, cercano di rendere duro come il paesaggio che viene rappresentato il racconto sul pericolo mestiere di passeur, con tutte le contraddizioni, i pericoli e l’umanità che serve per affrontarlo.
Ma l’altura che decidono di valicare è troppo elevata e il loro puntare al massimo per superarla non viene raggiunto nella maniera adeguata. Il mangiatore di pietre, infatti, non rispecchia il lavoro di certo faticoso, ma insieme gratificante del passato di Cesare. Svolge, invece, l’esatto opposto. Se il protagonista e i suoi compagni di banda avanzavano nonostante qualsiasi intemperie per permettere ai clandestini di compiere il pericoloso percorso dal Piemonte al suolo francese, il film sembra non assumersi lo stesso rischio, incartandosi su se stesso per uscirsene poi con risvolti e conclusioni del tutto ipotizzati.
Il mangiatore di pietre – Un film freddo, senza suspance né la tensione
Nella storia e nei suoi incastri, i personaggi de Il mangiatore di pietre si trovano ben integrati e cercano con determinazione di assumersi le proprie responsabilità, di districarsi nelle indagini dell’uccisione di Fausto e mettere in atto i compiti che aveva lasciato a metà quando quest’ultimo era ancora in vita. Ma il film non ha la stessa presa sugli spettatori, di cui l’opera non è in grado di sostenere l’interesse e decidendo come di procedere in solitaria, lasciando il pubblico indietro, in simbiosi con quel protagonista ombroso e inavvicinabile. E non è un male che i dialoghi siano ridotti al minimo, visto la vena da enunciazioni con cui vengono interpretati, riempiti nei momenti di silenzio da una musica costante e, per questo, altamente insoffribile.
Un thriller che non solo non crea suspance, ma non conduce nemmeno l’attenzione del pubblico lì dove si ritroverà a condurre i propri passi il passeur protagonista, rendendo lo spettatore distante e impassibile, in un clima cinematografico, per l’appunto, solamente freddo.