Georges Méliès: le 10 magie del padre del cinema fantastico
L'8 dicembre 1861 nasceva un artista completo e uno sperimentatore inarrestabile: Georges Méliès. Il primo vero cineasta della storia del cinema, il primo a comprendere le enormi potenzialità narrative delle immagini in movimento.
Forse non tutti sanno che se ad avere l’intuizione iniziale del cinema sono stati i fratelli Auguste e Louis Lumière, a comprendere le potenzialità artistiche del mezzo è stato invece il parigino Georges Méliès. Un illusionista, un circense, un imprenditore, che nel dicembre 1895 assiste alla prima ormai mitologica proiezione pubblica del cinematografo e capisce che quell’aggeggio – così ingombrante, così incomprensibile – può diventare non solo fonte di guadagno ma anche dare visibilità ai suoi sogni e alla sua creatività.
I Lumière infatti, nonostante l’avessero inventato, credevano che il cinema avrebbe avuto vita breve, e anche per questo si dedicano quasi esclusivamente alla ripresa documentaria. Operai che escono dalle fabbriche, persone che camminano per le strade, treni che arrivano nelle stazioni: è questo l’immaginario dei due fratelli, totalmente scardinato dal visionario Méliès che nel giro di poco più di 15 anni – indicativamente dal 1896 al 1915 – crea di fatto il genere fantastico e quello fantascientifico, mettendo in atto alcune strabilianti magie che rappresentano le antenate di quelli che oggi chiamiamo effetti speciali. Ma quali sono i portentosi miracoli a cui ha dato vita “il Giotto della Settima Arte”, come lo definì lo storico Georges Sadoul?
Georges Méliès e le magie rintracciabili nei suoi film, da Una notte terribile a Viaggio nella Luna
Georges Méliès e l’animazione
Figlio di un piccolo industriale delle scarpe, Georges Méliès nasce come prestigiatore e teatrante, al punto da acquistare un teatro tutto suo dando vita spettacoli di cui è spesso egli stesso spettatore. Quando riesce a mettere mano al cinematografo – costruito grazie all’aiuto del suo ingegnere, dopo che i Lumière gli negano la possibilità di acquisto di uno dei loro apparecchi – Méliès dapprima imita i due inventori, realizzando solo riprese dal vivo, e poi dà libero sfogo alla fantasia attingendo alla sua esperienza sul palcoscenico.
Nasce così Una notte terribile (1896), in cui un uomo non riesce a dormire perché tormentato da un ragno gigante. Il soggetto è fantastico, ma non c’è ancora spazio per i trucchi cinematografici che scoprirà di lì a breve. Tutto è quindi giocato su un’unica magia di tipo teatrale: l’animazione dell’aracnide, col quale il protagonista – il medesimo Méliès – interagisce fisicamente. Siamo alle prove generali: il regista francese prende le misure con la gestione degli spazi e delle tempistiche, ovvero con le enormi potenzialità del mezzo.
Georges Méliès e il trucco della sparizione
Leggenda vuole che Méliès abbia scoperto e inventato il montaggio cinematografico per puro caso, mentre sta girando a Parigi all’aperto: all’improvviso la macchina da presa si blocca, ripartendo poco dopo. Controllando le conseguenze di quell’imprevisto, ore dopo, vede un prodigio: la carrozza inquadrata ad un tratto scompare, e al suo posto appare un carro funebre. Il gioco è fatto: grazie ad una rudimentale stop motion è possibile far sparire e riapparire i personaggi al centro delle sue scene, sostituirli e trasformarli.
È quello che accade, ad esempio, in Escamotage d’un dame chez Robert-Houdin (1896), il più antico esempio di sospensione della storia del cinema. Lo stratagemma consiste nell’interruzione della ripresa da parte dell’operatore, nell’uscita di scena della protagonista e nella continuazione della sequenza a partire da una nuova situazione. Collegando poi le due scene senza pause, sembrerà che sia davvero avvenuta una sparizione. Impossibile e irreale, ma soprattuto diabolica per l’impreparato pubblico di allora.
Georges Méliès e l’horror
E se Méliès avesse inventato anche l’horror? In Le manoir du diable (1896) si narra addirittura di Mefisto, che all’interno di un castello prende sembianze umane dopo aver fatto il suo ingresso in scena come pipistrello. Il diavolo non solo prepara una misteriosa e ribollente miscela capace di forgiare scheletri e streghe, ma fa sparire anche un gruppo di suore e affronta un valoroso cavaliere armato di crocifisso.
Per quanto l’ipotesi orrorifica sia affascinante, e nel filmato appaiano elementi riutilizzati successivamente nelle opere dell’impressionismo tedesco, siamo in verità di fronte a una sorta di pantomima, il cui intento principale è quello di far divertire anzitutto il pubblico, più che spaventarlo. Perché il cinema di Méliès è anche fortemente umoristico, votato all’intrattenimento e al sogno (o incubo?) a occhi aperti.
Georges Méliès e l’esposizione multipla
Assieme alla fantasmagoria dell’arresto della ripresa, in breve nei cortometraggi di Méliès appare una nuova magia, stavolta di tipo prettamente fotografico: l’esposizione multipla. Un risultato che si ottiene mediante la sovrapposizione di due o più immagini, impressionate su pellicola in momenti diversi. L’effetto, oltre che straniante, può anche essere spaventoso e spettrale, e il cineasta francese lo utilizza fin da subito con grande maestria e ingegno.
Fra gli esempi più illustri spiccano Un uomo di testa (1898), in cui il medesimo Méliès gioca addirittura con tre sue teste appoggiandole su due tavoli vicini e facendole cantare, e Il ritratto misterioso (1899), che lo pone di fronte a un autoritratto che chiacchiera e dialoga col suo originale. Per quanto questi espedienti possano risultare ai nostri occhi elementari, in verità funzionano anche ai giorni nostri: quante leggende metropolitane si basano su fotografie in cui appaiono fantasmi o persone assenti al momento dello scatto?
Georges Méliès e la dissolvenza
Parente strettissima dell’esposizione, la dissolvenza entra presto a far parte del corredo tecnico utilizzato da Méliès. Il fatto che un’immagine possa gradualmente scomparire, e che al suo posto possa comparirne un’altra, è una transizione che ha molto a che fare con l’idea di narratività, di storia a tutto tondo, e difatti sarà molto usata dall’autore parigino soprattutto nella fase avanzata della sua carriera, quando non si accontenterà più di situazioni uniche ma imbastirà vere e proprie avventure in più quadri.
Esistono vari tipi di dissolvenza, e Méliès li utilizzerà tutti: quella a chiudere, in cui al posto dell’immagine compare un fondo nero; quella ad aprire, in cui all’opposto si passa dall’inquadratura nera alla visione di un luogo/personaggio; e quella incrociata, la più articolata e per questo la più affascinante, in cui si passa gradualmente da un’immagine a un’altra, dando appunto la sensazione della continuità e della fluidità logica degli eventi.
Georges Méliès e l’uso del colore nei suoi film
Se vi capita di imbattervi in un film di Georges Méliès a colori, non siete di fronte ad un abile falso. Nel suo teatro di posa situato a Montreuil (una curiosità: era interamente costruito in vetro, per poter sfruttare la luce del sole), l’artista si ingegna per aumentare la sensazione di verosimiglianza e immedesimazione iniziando a dipingere le sue pellicole. Come possiamo immaginare, il procedimento era complesso e minuzioso: si trattava di colorare i fotogrammi uno a uno, riuscendo a mantenere l’effetto della trasparenza.
Una tecnica troppo dispendiosa e che richiedeva troppo tempo per la sua realizzazione; più logico sarà – per il cinema delle origini americano ma non solo, dal 1910 circa in poi – passare direttamente alla cosiddetta imbibizione, ovvero all’immersione totale della pellicola in un unico colore. Questo accade ad esempio in Nascita di una nazione (1915) di Griffith, in cui ad ogni colore corrisponde uno stato d’animo: le sequenze totalmente colorate di rosso sono quelle più tese, quelle imbevute di blu corrispondono a momenti di calma e serenità, e così via.
Georges Méliès e la tecnica dell’ingrandimento
Col cinema tutto è possibile, non esistono limiti alla fantasia e le leggi della natura possono annullarsi. Spostando la cinepresa avanti e indietro Méliès scopre un altro prodigio: l’ingrandimento e il rimpicciolimento dei soggetti inquadrati. Questo stratagemma, abbinato ad esempio a quello dell’esposizione, può far nascere nuove impensabili magie. Grazie ad un mascherino (e a un contromascherino, grazie ai quali l’inquadratura viene divisa in due o più parti) il suo montaggio diventa pura metamorfosi.
Come accade in L’uomo dalla testa di caucciù (1901), in cui Méliès gonfia e sgonfia la propria testa a piacimento, mostrando ormai una perfetta padronanza degli effetti speciali a propria disposizione. Sempre interessato all’effetto comico delle sue rappresentazioni, Méliès concluderà la sua gag addirittura facendo esplodere la sua testa, rovesciando il tavolo e facendo anche cadere gli astanti per comunicare al pubblico l’impressione di movimento e sorpresa.
Georges Méliès e il racconto a quadri in Viaggio nella Luna
I tempi sono maturi per la realizzazione dei veri capolavori di Méliès: Viaggio nella Luna (1902, con il famoso razzo che colpisce la Luna nell’occhio) e Viaggio attraverso l’impossibile (1904). Siamo di fronte ai più coesi e riusciti film a quadri (o a stazioni) del cineasta, in cui cioè le storie sono composte da più inquadrature. Inquadrature sempre fisse e che comprendono di fatto un intero episodio, ovviamente, ma che rendono perfettamente l’idea di una sceneggiatura, di una trama orizzontale in cui a ogni evento ne consegue un altro.
Col racconto a quadri si possono raccontare storie complesse, della durata anche di 15/20 minuti (al posto dei canonici 2/3). Méliès attinge dunque a piene mani dall’immaginario fantastico e fantascientifico di Jules Verne, ma anche dal racconto storico e/o favolistico (Cendrillon, 1899, primo film che narra della favola di Cenerentola; Giovanna d’Arco, 1900) e da quello d’attualità (L’Affaire Dreyfus, 1899, bandito in Francia per aver provocato risse e accese discussioni).
Georges Méliès e il kolossal
Dopo l’horror, il kolossal: sempre forzando un po’ la mano possiamo affermare che nella maturità della sua carriera cinematografica, dopo aver sperimentato in pratica tutti i generi possibili, Méliès abbia realizzato il primo – passateci il termine – blockbuster della storia del cinema: La civiltà attraverso le epoche (1907), ambizioso dramma storico in miniatura che mostra esempi della brutalità umana, da Caino e Abele a Luigi XIII Re di Francia.
Un grande impiego di mezzi e di attori, che nella sua maestosità scenografica e nel suo ampio respiro contenutistico getta le basi per altre grandi produzioni “colossali” quali Cabiria (1914) di Giovanni Pastrone e il sopraccitato Nascita di una nazione (1915) di David Wark Griffith. Sono questi gli anni del maggior successo commerciale di Méliès, al quale corrisponde tuttavia un clamoroso errore: invece di noleggiare le sue opere, come già faceva ad esempio la casa di produzione Pathé, Méliès vende le proprie pellicole agli esercenti, perdendone di fatto ogni volta la proprietà.
Georges Méliès e l’arte del sogno
Se prendiamo tutte le magie create da Georges Méliès in vent’anni e le immaginiamo trasposte in un unico film, ci rendiamo conto di quanto il suo contributo non sia solo stato importante, ma fondamentale: senza di lui non ci sarebbe il cinema che guardiamo oggi nelle sale, che dà forma compiuta e verosimile ai sogni più bizzarri e impensabili della mente. Per questo Méliès è stato il primo vero regista della storia, il primo a rendere arte un attrezzo pensato inizialmente solo per la ripresa ordinaria della realtà.
Uomo dei primati, Méliès spopolerà in Europa e in America, andando tuttavia in bancarotta quando il mercato progressivamente si disinteresserà alla sua attività artigiana. Ma questa storia non può che avere un piccolo lieto fine: la sua opera sarà infatti riscoperta dai surrealisti, che gli dedicheranno una retrospettiva (la prima della storia del cinema), nobilitando così la sua vita e permettendogli di ottenere nel 1931 la Legion d’Onore direttamente dalle mani di Louis Lumière. Lo stesso Louis Lumière che oltre trent’anni prima gli aveva negato la possibilità di utilizzare la sua invenzione.