Intervista a Giorgio Giampà: “Comporre colonne sonore è come viaggiare”
Tra Italia e tutto il mondo, il compositore Giorgio Giampà si racconta, tra le sue colonne sonore preferiti e la curiosità che lo spinge in questo mestiere.
Un talento che si divide tra Italia e il resto del mondo. Una musica che si lascia influenzare dalla conoscenza dell’ambiente circostante e cerca di coglierne il cuore pregnante, pur rimanendo fedele al proprio gusto e alla propria personale sensibilità. È così che il compositore di colonne sonore Giorgio Giampà è arrivato ad una nomination ai Premi Fénix, il massimo riconoscimento cinematografico dei paesi latinoamericani. Con un film presentato al Sundance Film Festival 2018 e distribuito da Netflix, la possibilità di esplorare le varie forme dell’audiovisivo tra lungometraggi e serie tv e con l’intenzione di imparare il più possibile da qualsiasi opportunità, Giampà racconta di sé e del suo sound nella nostra intervista, dove ripercorriamo i suoi ultimi lavori e sogni futuri. Ad esempio? Fare le musiche di Harry Potter, magari in una versione inaspettata e divertente…
Italia, ma anche Russia, Messico, Svezia e tanti altri luoghi… Le destinazioni delle tue musiche sono ogni volta diverse e così varie, come riesci a gestire il lavoro nel tuo Paese e insieme nel resto del mondo?
“Lavorare in giro per il mondo mi piace tantissimo, è tra le cose più belle per me. Mi permette di poter concentrarmi su linguaggi e colori diversi. La luce arriva in maniera differente rispetto ad ogni terra in cui ci si trova, un film finlandese puoi riconoscerlo al primo sguardo se si osservano le vernici usate e il modo in cui vengono illuminate. Così avviene dappertutto e l’ultimo luogo in cui ho potuto notare questa particolarità è il Messico. Adoro le foto di quella selvaggia terra, così diversa da qualsiasi altro posto. In questo momento il mio senso di appartenenza verso l’Italia è un po’ complesso, soprattutto quando e se vivi a Roma. Giro il mondo fin da quando ero un ragazzino, verso i sedici e diciassette anni già suonavo in altri paesi e questo mi ha permesso di non pormi mai dei confini. Sembra banale, ma sono più le barriere pseudo politiche quelle che esistono, non frontiere vere e proprie. Tutti siamo liberi e dovremmo avere la possibilità di muoverci per il mondo, è davvero ciò che più di tutto permette alla mente di aprirsi.”
C’è, tra quelli in cui sei stato e per cui hai lavorato, un paese che più di tutti ti ha ispirato e di cui hai sentito l’influenza nelle tue melodie?
“Senz’altro il Messico, ma probabilmente perché è il più recente. Ho contribuito a film per la Russia, la Svezia, il Canada, in ogni luogo si è predisposti a trovare del bello ed è difficile vivere delle situazioni che, infine, non ti rimangono impresse. Ho trovato la Russia un posto interessantissimo. Qualche anno fa ero un vero appassionato di letteratura russa, leggevo molto Dostoevskij e nell’aria ho colto quello spirito di cui parlava nei suoi libri lo scrittore e che finché non ci vai è difficile comprendere in profondità. La Svezia, invece, è un paese molto preciso e pacato, mentre a Montréal, in Canada, ho respirato un’atmosfera bellissima.”
E cos’è che ti condiziona maggiormente mentre componi? L’idea delle radici del paese da cui proviene il film o la storia che racconta?
“La storia è ciò che governa. Questo lavoro richiede che si mantenga piena fedeltà a ciò che è stato pensato per il racconto. Ma non significa che non sia possibile portare fattori del luogo in cui il film verrà poi ambientato. Quando è stato composto Tiempo Compartido era importante il fatto che fosse girato in Messico e lo era anche che si percepisse dalla colonna sonora. Il Messico ha una natura molto violenta, esplosiva, anche aggressiva e questo ha fatto sì che il mio lavoro venisse influenzato. A volte capita anche quando non te ne rendi conto. Bisogna tenere uno sguardo sulla luce, le location, le sensazioni proposte. La musica ne risente inevitabilmente, ma è un linguaggio che sa benissimo adattarsi a tali situazioni.”
Come vivi, dunque, il tuo processo di creazione delle colonne sonore?
“Scrivere una colonna sonora è come fare un viaggio. E, in qualche modo, sento di vivere questo procedimento anche come farebbe un attore. La mia è stata una gavetta lunga in cui ho studiato diversi settori del cinema, dalla fotografia alla recitazione. E proprio per quest’ultima mi sono ritrovato a leggere Stanislavskij, che mi ha aiutato a comprendere come, allo stesso modo in cui un attore entra nella parte, la musica deve così penetrare all’interno di un’opera. In più Stanislavskij incitava molto all’essere curiosi, diceva che poteva capitarti di dover interpretare un personaggio della Nuova Guinea, ma non essendo magari mai stato in quella terra dovevi cercare la maniera più adeguata per interpretarlo. Fare musica è relazionarsi anche con ciò che non hai visitato. C’è bisogno di tanto studio dietro, di uno spiccato senso per la ricerca e, soprattutto, quella curiosità di cui parlava il teorico teatrale.”
Giorgio Giampà: “Come un attore deve entrare completamente in un personaggio, così la musica deve penetrare in un’opera”
Le esperienze che stai vivendo sono molte e delle più varie. Cosa puoi dirci del Sundance Film Festival? Che ricordo hai conservato e come è stato sapere che un film con la tua musica veniva presentato ad un evento di tale spessore cinematografico?
“Andare ai festival mi è sempre piaciuto molto, incontri persone di luoghi in cui potresti non andare mai. Li ho sempre vissuti come se mi trovassi all’Esposizione Universale di Parigi in cui andavano confluendo diverse personalità, artisti e personaggi illustri. E così ho fatto anche con il Sundance. È un festival dalla forte vocazione sociale e questo significa che mentre ti trovi a viverlo fai conoscenza con individui piuttosto interessanti. È un festival che mette insieme divi di Hollywood e identità delle più disparate. È stato un momento certamente di impatto, ma mai come sapere che un film per cui hai composto le musiche, essendo un prodotto originale Netflix, finirà su di una piattaforma streaming che tocca un numero vastissimo di paesi.”
Il film di Sebastian Hofmann Tiempo Compartido ti ha portato anche una nomination per il Premio Fénix, che costituisce il massimo riconoscimento cinematografico per i paesi latinoamericani. Come ti sei sentito alla notizia della candidatura?
“Per me ricevere la nomination è stato fantastico, proprio perché si trattava di un premio latinoamericano, in cui a votare sono giornalisti e maestranze che non necessariamente mi conoscono e so quindi per certo che hanno apprezzato il mio lavoro. Solitamente si sa, ai premi c’è sempre una sorta di cerchia di conoscenze con curiosi spostamenti di voti e tutto il resto. Insomma, un po’ come con gli Oscar, dove il giudizio non si basa puramente sulla bellezza del prodotto. Per loro venivo dal nulla e questo mi fa intendere che hanno trovato davvero valida la mia musica. È una delle soddisfazioni avvenute dopo il passaggio al Sundance, ma non è la sola: la colonna sonora è uscita con Varèse Sarabande, un’etichetta incredibile con una serie di nomination ai premi Oscar alle spalle. Era una cosa assolutamente impensabile per me.”
E qual è il paradigma che segui per accettare o meno determinati lavori?
“Mi piace provare sempre cose differenti. Ora, per esempio, sto cercando di lavorare su di un documentario in Costa Rica. Mi piace entrare in contatto con posti lontani da quelli in cui vivo. È come se domani mi chiedessero di partire per realizzare un’opera in Mongolia: accetterei subito! Questo non significa che, vista la mia passione per luoghi insoliti, non mi piacerebbe poter partecipare ad una produzione hollywoodiana. Me la immagino come un luna park.”
Essendoti messo in gioco in entrambi i campi, trovi ci sia una differenza sostanziale dal comporre la musica per un lungometraggio e comporne una per una serie televisiva?
“Sì, è tutta nel modo di lavorare. Nel cinema bisogna concentrarsi più sulle immagini che vengono girate. In una serie tv devi invece focalizzarti sul concept della storia. È difficile e dispendioso mettersi a lavorare su ogni singola puntata. Con Il Cacciatore ho scritto tenendo presente l’intero racconto e leggendo anche il romanzo da cui la serie è stata tratta. Ci sono dei puristi che non apprezzerebbero questo tipo di procedimento, ma per me bisogna fare, fare e ancora fare!”
E quello che fai non è poco! Nonostante candidature a premi prestigiosi, lavori in diversi paesi e la suddivisione tra cinema e serie tv, continui a dedicarti comunque anche a realtà più piccole e separate. Come ci riesci?
“Se c’è qualcosa che vedo e mi piace sono più che felice di poter dare una mano. Come è accaduto per il progetto italiano della serie sull’attività di Emergency in Italia per le persone che non hanno possibilità economiche. Succede troppe volte che, a causa di carenza di soldi, le persone inizino a trascurare come prima cosa la propria salute ed è bene mostrarlo e sostenere tali iniziative. Sono felicissimo di aver potuto dare a questo progetto la mia musica.”
Quali sono le colonne sonoro che più apprezzi della storia del cinema? E ci sono compositori contemporanei, perciò anche giovani, che ti trovi ad ammirare?
“Colonne sonore che amo? Tante. È una lista infinita destinata a crescere. Su tutti, però, la colonna sonora che probabilmente avrei voluto comporre è quella di Shinichirô Ikebe per il film Sogni di Akira Kurosawa. Ma anche quella di Jonny Greenwood per Il Petroliere di Paul Thomas Anderson è bellissima, tra le migliori del nuovo secolo insieme a quella di Blade Runner. Contemporanei? Mica Levi è un genio. È anche molto giovane ed è già così competente. La sua colonna sonora di Under the Skin mi fa venire i brividi. Molto brava è anche Hildur Guðnadóttir, che oltre all’ultimo Soldado ha composto delle musiche davvero molto belle.”
Qual è il tuo sogno musicale che ti piacerebbe realizzare?
“Mi sarebbe piaciuto così tanto poter lavorare alle musiche di Harry Potter. È impossibile, lo so, ma poter fare qualcosa di simile sarebbe davvero divertente. Hai presente quella versione folle di Superman che cade per sbaglio nell’Unione Sovietica? Magari potrei fare la musica per questa versione alternativa di Harry Potter!”