Aquaman: recensione
Aquaman di James Wan è un action movie divertente, pur nella sua assoluta prevedibilità. Dopo una serie di tentativi andati male, DC Comics ci riprova con un prodotto tutto sommato convincente
Anno nuovo, nuovo blockbuster DC Comics. Arriva nelle sale dal 1 gennaio 2019 Aquaman, ultimo capitolo della saga della Justice League. Dopo una serie di insuccessi, che sono costati alla casa madre un mare di critiche e prese in giro, DC mette in campo il suo personaggio meno noto, meno epico, meno iconico e ci riprova. E vince.
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Il risultato è un cinecomic chiassoso, scanzonato, la cui trama fa acqua da tutte le parti ma – nel complesso – divertente e appagante, un prodotto di puro intrattenimento che non va troppo per le lunghe e offre al pubblico ciò che vuole: azione, ironia, un evidente senso dell’epica, diatribe dinastiche e una prevedibile love story. A risollevare le sorti di un’attività cinematografica deludente, il malese James Wan, noto per i successi horror di Saw (2004) e L’evocazione – The Conjuring (2013).
Aquaman la linea comica della Dc Comics
Sin dalla scelta dell’interprete principale (l’ex Khal Drogo Jason Momoa), DC ha messo in chiaro il tono farsesco con cui sarebbe andata ad affrontare questa sua nuova incursione nella Settima Arte. Andando a piazzare nel trono di Atlantide uno dei sex symbol dell’ultima generazione di attori, la produzione ha giocato una mossa spiccatamente ammiccante, sorniona e – a dirla tutta – ruffiana. Tanto per avvalorare questa operazione, ha scritto il personaggio di Arthur Curry/Aquaman adattandolo al carattere gioviale e gigione dell’attore che si è distinto, nella sua vita pubblica, per la rara capacità di prendersi poco sul serio.
Momoa si destreggia in gag di valore variabile in quasi ogni suo dialogo, spezzando il tono solenne con cui gli altri personaggi si relazionano agli eventi. Sembra, nella maggior parte dei casi, una linea piuttosto forzata, scritta (male) a tavolino per strappare il sorriso agli spettatori.
Aquaman, l’eroe che viene dal mare
Il film ha lo scopo, ormai quasi obbligato, di raccontare le origini di uno dei personaggi dei più ambiziosi film corali che vedono combattere fianco a fianco gli eroi dell’Dc Extended Universe. Ecco, così, che ripercorriamo – in maniera piuttosto lineare – la storia di Arthur Curry, l’uomo-pesce, nato dall’amore struggente tra la regina di Atlantide Atlanna (Nicole Kidman) e il guardiano del faro di Boston, Thomas (Temuera Morrison). L’unione dei due mondi, quello sotto e quello sopra la superficie terrestre, è più volte ripetuta dalla madre-coraggio e Regina di Atlantide in maniera anche eccessivamente responsabilizzante. La mission del personaggio principale è, dunque, anticipata già nella prima mezz’ora del film: d’altra parte la letteratura recente (e non) ci insegna che il destino dei mezzosangue è quello di diventare rappresentanti di tutta l’umanità, annullando i concetti di razza e confine.
Chiaramente, il ritorno in patria di Arthur, erede legittimo di Atlantide ma sempre vissuto sulla terra, andrà a disturbare equilibri pre-esistenti e, in particolar modo, i piani del fratellastro ben integrato e strenuo difensore del Regno, il tremendo principe Orm (Patrick Wilson). Tra i due fratelli (figli della stessa madre, ma – ovviamente – non dello stesso padre) si accende uno scontro epocale, attorno al quale si schierano tutti gli altri personaggi secondari e, in particolar modo, la principessa Mera (Amber Heard) e il consigliere di corte Nuidis Vulko (Willem Defoe), entrambi decisamente a favore del nostro eroe e il villain ultra tecnologico Black Mantha (Yahya Abdul-Mateen II), che vive col solo scopo di distruggere Aquaman.
Aquaman: pro e contro
In generale, Aquaman lascia scorrere i suoi 143 minuti in maniera piuttosto piacevole. Nonostante le numerose pecche di sceneggiatura, la regia riesce a essere estremamente coinvolgente, specialmente nelle tante (davvero tante) scene di azione. Certo, ci si serve di alcuni trick narrativi piuttosto ripetitivi – ad esempio le esplosioni che interrompono la conversazioni in momenti cruciali – e, alla quinta sequenza di scazzottamenti e inseguimenti, la spettacolarità inizia a scemare. Il concept visivo di Atlantide e le creature marine che la abitano sono realizzati con una CGI dagli esiti piuttosto altalenanti, restituendo spesso e volentieri l’effetto-pupazzone che rende, sì, il tutto più fiabesco, ma anche decisamente artificiale.
La caratterizzazione dei personaggi (colorati, eccessivi, sembra una versione action de La Sirenetta) e il modo in cui interagiscono fra loro sono a dir poco banali: ognuno di loro agisce esattamente secondo stereotipo chiarendo immediatamente che non ci saranno grosse sorprese e che tutto andrà come deve. Paradossalmente, anzi, l’essere a tratti assolutamente fuori luogo di Momoa rende il tutto più interessante. Fa eccezione, ma solo per i più sentimentali, la dinamica amorosa tra Atlana e Thomas, talmente forte da spingerli ad affrontare il mondo, il tempo, la morte.
Aquaman parla il linguaggio del mito
A differenza degli eroi Marvel, esseri umani resi speciali dalla necessità o da eventi eccezionali, gli eroi DC sono semidei che scendono sulla terra per salvare l’umanità. Non fa eccezione Aquaman, che possiamo assimilare al Dio del Mare Poseidone, fratello di Zeus e padre delle creature acquatiche. Così come nella genealogia degli eroi classici, il nostro Arthur è un semidio, nato dall’unione innaturale tra due specie apparentemente inconciliabili. Inoltre, come in ogni buon mito fondativo che si rispetti, anche Aquaman dovrà affrontare delle prove simboliche per potersi sedere sullo scranno reale: in questo caso, il protagonista dovrà riuscire a trovare il leggendario tridente del primo re di Atlantide a cui può accedere solo chi è davvero degno.
Forse è per questo che il film di Wan riesce a farsi perdonare – tutto sommato – anche le sciatterie più evidenti: Aquaman parla il linguaggio del mito, un vocabolario primordiale in cui gli eroi vincono sempre, trovano l’amore, la pace trionfa e la violenza – la sana e virile violenza – è giustificata se finalizzata al bene.